"Non mi sono mai rinchiuso nella tana. Non mi sono mai nascosto, non sono andato in una grotta. Ho continuato a vivere, ad andare al ristorante. Ho guidato la mia automobile, gioco a tennis, ho continuato a frequentare i miei amici e a stare in mezzo alla gente". Kevin Spacey, l’attore di maggior talento della sua generazione, due premi Oscar vinti, a scintillare nella memoria di tutti gli spettatori per le sue interpretazioni ambigue, beffarde, enigmatiche ed eleganti – da "I soliti sospetti" a "S7ven", da "American Beauty" alla serie "House of Cards" – non era scomparso. Siamo stati noi spettatori a perderlo, cinematograficamente, per cinque anni. Da quando l’attore è stato inghiottito dall’onda del #MeToo, con una causa vinta, ma altri procedimenti ancora in corso. Lo ritroviamo adesso, a Torino. Dove lunedì 16 gennaio ha ricevuto la Stella della Mole, premio istituito dal Museo del cinema diretto da Domenico De Gaetano, e dove ha tenuto una affollatissima masterclass. Prima della cerimonia, la mattina, lo abbiamo incontrato. Rilassato, sereno. Per colazione, cappuccino e Coca-cola. Insieme.
Mr. Spacey, come racconterebbe il suo presente? Come lo vive? "Io non sono mai stato uno che fa programmi a lungo termine. Non mi sono mai detto: 'Interpreterò a teatro il Riccardo II di Shakespeare' e poi, invece, è accaduto, nel teatro più prestigioso del mondo. Certo, volevo fare l’attore, e i miei genitori erano contrari. Ma la mia storia non è diversa da quella di tante altre persone che hanno dovuto lottare per il loro sogno". Adesso, quattro film indipendenti la vedono coinvolta. È un ritorno… "Anche quando ho iniziato nessun regista credeva in me: poi è venuto fuori il primo che ha scommesso sul giovane attore che ero, e tutto è cominciato. In qualche modo, è sempre stato così". Chi ha scommesso su di lei, adesso, è stato Franco Nero. "Sì, è vero. In un momento in cui tutti avevano paura di cercarmi, di offrirmi un ruolo, lui mi ha cercato, mi ha fatto tornare sul set. Mi ha chiamato, e mi ha detto: 'Non mi importa di niente altro, ti voglio nel mio film', che si chiama 'L'uomo che disegnò Dio'. È stato un gesto che non dimenticherò. Mi ha fatto un piacere immenso, in quanto persona e in quanto artista". Se potesse scrivere una lettera al se stesso giovane, che cosa gli direbbe? "Ahaha! Bella domanda. Sarebbe un bell’esercizio: potrei dire al me stesso ragazzo che ci sono tante cose che si fanno quando non si ha esperienza; potrei dirgli che si impara tanto, strada facendo. Ma in definitiva, non mi sento così diverso dal ragazzo che ero".
Torino, in questi giorni, l'ha cullata. È anche andato allo stadio, a vedere la partita del Toro, e le hanno offerto una maglia… Quali sono le altre città d’Italia che ha nel cuore? "Torino, da quando l’ho scoperta, mi ha conquistato. Ma mi ritengo molto fortunato per aver lavorato in molte città d’Italia. A Roma ho girato 'Tutti i soldi del mondo', e ho scoperto una città meravigliosa; a Napoli ho portato a teatro il 'Riccardo III' e ho trovato un pubblico eccezionale. A Ravello ho girato un film su Gore Vidal, e ho avuto la possibilità di visitare la Costiera amalfitana, un gioiello". Come vive i social, l’esasperazione per cui ognuno giudica la vita degli altri? "Non uso i social, non ne sento la necessità. Anzi, al contrario. Certe volte, quello che bisogna fare, per trovare risposte e possibilità di futuro, è rispettare il silenzio. Affrontare momenti di silenzio". In queste ore è scomparsa Gina Lollobrigida. Una grande protagonista del cinema italiano… "È un giorno molto triste per tutto il cinema italiano e mondiale. Era un’attrice passionale, ha avuto una vita incredibile e aveva un talento incredibile". Hollywood, al momento, gli ha voltato le spalle. Ma l’Italia no, e in particolare Torino: gente lo ferma per strada per un selfie, e in millecinquecento sono andati, ieri sera, alla proiezione di "American Beauty". Vedremo prossimamente l’attore americano in vari progetti indipendenti: "L’uomo che disegnò Dio", diretto da Franco Nero – e prodotto dal quasi omonimo Louis Nero – ma anche "C’era una volta in Croazia", film sul primo presidente croato, Franjo Tudjman, che portò la sua nazione all’indipendenza. In "Control", darà la voce ad un hacker che tiene in ostaggio la protagonista, chiusa nella sua automobile.