È il caso che sta tenendo banco sulle pagine dei media e social di tutto il mondo da almeno due giorni. L’incontro di pugilato alle Olimpiadi di Parigi 2024 tra Angela Carini e Imane Khelif. E non per meriti sportivi ma per le polemiche che hanno circondato il match, che si è chiuso dopo appena 46 secondi col ritiro dell’italiana per il troppo dolore provato sui colpi ricevuti – questa la sua versione ufficiale e a lei ci atteniamo –, e le critiche, le accuse, gli insulti e le vere e proprie aggressioni verbali sulla 25enne algerina.
Una discussione “indecorosa” quella in atto sulla pugile intersex, sulla quale c’è stato “uno sciacallaggio mediatico e social lesivo della dignità di un’atleta e, in primis, di una persona”, secondo il gruppo di associazioni intersex Forum Vcs (Aisia Odv, IntersexEsiste Aps, Intersexioni, Genitori e bimb* intersex mai più soli), insieme all'associazione Certi diritti.
Per loro il caso di Imane Khelif – come quello precedente di Caster Semenya e altri simili –rappresenta “una pagina molto triste dello sport mondiale che dovrebbe diffondere inclusività, partecipazione e rispetto dell'individuo tra i propri valori fondanti”.
Le associazioni intersex: “Contro Khelif una violenza”
Khelif, si legge nella dichiarazione congiunta del gruppo, “è una donna intersex e ha soddisfatto tutti i requisiti stabiliti dal Comitato olimpico internazionale (Cio) per partecipare alle competizioni femminili, inclusi quelli sui livelli di testosterone. Ciò significa che, secondo le normative attualmente in vigore, lei era idonea a quel ring. Non altrettanto idonei a commentare la vicenda, invece, molti leoni da tastiera, giornalisti e non. È tristemente paradossale che una condizione come la nostra balzi all'onore delle cronache solo in caso di strumentalizzazioni politiche, quando essa sembra essere un presunto e non dimostrato 'vantaggio' rispetto al resto della popolazione, mentre – quando si parla dei nostri diritti negati – viene totalmente ridotta al silenzio”.
“Le persone intersex, lo ricordiamo, sono nate con variazioni delle caratteristiche del sesso che includono un ampio spettro di condizioni, cromosomiche, fenotipiche e ormonali – evidenziano le associazioni –. La maggior parte sono donne, altre uomini, altre non binarie, ma tutte legittimamente meritevoli di tutela. Spesso nel corso della propria vita subiscono decisioni non consensuali, chirurgiche e non, sui propri corpi, con la presunzione di normalizzarli, ma con l'unica conseguenza di mutilarli fisicamente, psicologicamente e socialmente”.
La polemica di questi giorni “aggiunge un’ulteriore violenza che segna ogni componente della nostra comunità. Escludere un’atleta sulla base di caratteristiche genetiche o ormonali limita la libertà individuale e il principio di uguaglianza che dovrebbero essere diffusi e tutelati ogni giorno, in ogni sede”, incalzano gli autori della dichiarazione. “Da parte di tutt* noi va la nostra più sincera solidarietà a Imane, al suo diritto alla competizione, al suo impegno ad autodeterminarsi come atleta e come persona, nei margini che le sono consentiti dalle competizioni sportive – concludono –, e i nostri migliori auguri, speranzos*, anzi, sicur*, che una polemica di questo tipo non fermerà la sua voglia di vincere e le proprie ambizioni, che, per fortuna, sanno superare le peggiori diffamazioni”.
Gaynet: “Ha vinto e perso come tutte le altre donne boxeur”
Se anche solo la presenza dell’algerina aveva fatto discutere, l’uscita di scena di Angela Carini, le sue parole dopo il match lampo, il suo pianto e il ricordo del padre non hanno fatto altro che alimentare il fuoco dell’indignazione. Chiariamoci, non stiamo giudicando la napoletana per i suoi comportamenti o la sua decisione, ma ancora una volta c’è stata strumentalizzazione da parte politica e non solo, su un “tema ultradelicato” per dirla con le parole di Federica Pellegrini, che invece andrebbe analizzato con altri toni e in altri contesti più opportuni.
“Le lacrime di Carini durante l'intervista sono il risultato di una pressione incredibile – dettata anche dal fatto che gli atleti e le atlete non vanno lì per partecipare, secondo tanti nostri colleghi, ma per vincere, questo ci si aspetta da loro – sollevata dall'internazionale destrorsa di politici e realtà pro-life che hanno dipinto la sua avversaria quasi come un essere sovraumano”. Lo afferma in una nota Gaynet, sulla vicenda del ritiro della boxeur italiana Angela Carini nel match olimpico contro l'avversaria algerina Imane Khelif, sostenendo che “le hanno fatto credere di combattere con Hulk”.
Diversi criteri
Non solo contro una donna che mostrerebbe caratteristiche fisiche maschili – quanti l’hanno apostrofata “un uomo” – ma un essere quasi soprannaturale, fortissimo. Ci siamo forse dimenticate che nel pugilato esistono categorie di peso ben precise e rigorose, quindi entrambe le pugili dovevano rientrare nei 66kg previsti per la loro? Sembra proprio di sì, visto che fin da subito il loro scontro è stato descritto come quello tra Davide e Golia. “La realtà è che Khelif, di cui tutto il mondo oggi si chiede cosa abbia nella mutande, ha vinto e perso come tutte le altre donne boxeur. Ai mondiali di pugilato dilettanti del 2018 era 17esima, a quelli del 2019 33esima, alle Olimpiadi di Tokyo ha perso ai quarti di finale per 5 a 0 – aggiungono da Gaynet –. Ai mondiali di pugilato dilettanti del 2022 è stata battuta in finale. La realtà dei fatti è che qualcuno ha notato il suo aspetto mascolino nel 2023 e a quel punto sono partiti i test di verifica del sesso, che per la federazione di boxe, esclusa dal Cio, sono ancora il parametro principale –conclude Gaynet –. Diverso invece il criterio applicato per le Olimpiadi in corso, in linea con le linee guida internazionali del 2021. La questione è quindi meramente strumentale per chi come Elon Musk e Salvini lottano tutti i giorni contro i diritti delle persone trans (tirate nel polverone senza ragione) e intersex".
La vicenda di Imane Khelif, di Angela Carini, di tutto quello che invece di restare fuori dalla palestra è salito fin sopra il ring, ha davvero poco a che fare con lo sport e soprattutto coi suoi valori più alti di fratellanza e sorellanza, di solidarietà, rispetto e inclusività. E inevitabilmente macchia l’immagine stessa dei Giochi olimpici con una retorica dell’ingiustizia che si lega in modo pericoloso a quella della “vittoria ad ogni costo”, anche e soprattutto a scapito dell’altro/a.