Sapevamo che potesse aumentare le malattie cardiovascolari ed influenzare anche l’incidenza tumorale, ma non che fosse anche all’origine di molte forme di demenza e degenerazione cerebrale. Che l’inquinamento atmosferico rappresentasse una catastrofe per la nostra salute è un dato di fatto oramai acclarato, oggi però il sospetto è infatti che, alle nocività note, si aggiunga anche l’aumento delle varie forme di demenza, soprattutto in età avanzata.
A sostenerlo è lo studio Ambient air pollution and clinical dementia: systematic review and meta-analysis, pubblicato su The BMJ da Elissa Wilker, Marwa Osman e Marc Weisskopf dell’Harvard TH Chan School of Public Health di Boston, secondo cui “l’esposizione all’inquinamento atmosferico da particolato fine (PM2.5) è collegata a un aumento del rischio di demenza, anche a livelli inferiori agli attuali di qualità dell’aria negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Europa”. In pratica, per ogni 2 microgrammi per metro cubo (µg/m3) di aumento della concentrazione media annua di PM2.5, “il rischio complessivo di demenza è aumentato del 4%”. Inoltre, secondo i ricercatori , “anche l’esposizione al biossido di azoto e all’ossido di azoto potrebbe essere un fattore di rischio per la demenza”, rispettivamente dei 2% per ogni aumento di 10 μg/m3 e del 5% per ogni aumento di 10 μg/m3. Non ci sarebbe invece nessuna associazione tra ozono e demenza. Va detto che si tratta ancora di studi preliminari e dunque è necessaria cautela nell’interpretazione dei risultati. Tra le altre cose, a complicare il quadro, c’è il fatto che, al novero di quelli utilizzati per la ricerca, mancano del tutto studi provenienti dai Paesi a basso e medio reddito. Una questione non secondaria considerate le complesse interrelazioni tra stato socioeconomico, gruppo etnico, inquinamento atmosferico. Tuttavia, secondo i ricercatori, visto l’enorme numero di casi di demenza, l’identificazione dei fattori di rischio modificabili e attuabili per ridurre il peso della malattia “avrebbero un enorme impatto personale e sociale. Insomma, qualora le evidenze emerse dallo studio venissero confermate e rafforzate da ulteriori approfondimenti, potremmo essere di fronte ad una svolta nell’approccio ad una malattia fortemente invalidante, che colpisce oltre ci sono 57 milioni di persone al mondo, in continuo aumento.
Per arrivare alle loro conclusioni, Wilker, Osman e Weisskopf hanno identificato 51 studi che riportano associazioni tra inquinanti atmosferici medi annuali con più casi di demenza negli adulti. Dopo aver valutato la qualità di ogni studio e il rischio di bias, i tre scienziati di Harvard hanno identificato 16 studi, dai quali risulterebbe appunto che “una maggiore esposizione all’inquinamento da particolato fine è associata a un aumento del rischio di demenza”, anche con un esposizione a limiti inferiori rispetto agli standard annuali dell’ Environmental Protection Agency (EPA) Usa ( 12 μg/m3), e ben al di sotto dei limiti di Regno Unito (20 μg/m3) e dell’Unione eEuropea (25 μg/m3). In un editoriale collegato allo studio, i ricercatori fanno notare che “le concentrazioni di PM2.5 nelle principali città variano considerevolmente, da meno di 10µg/m3 in alcune città (es. Toronto, Canada) a più di 100µg/m3 in altre (es. Delhi, India), quindi , l’inquinamento atmosferico ha il potenziale per influenzare sostanzialmente il rischio di demenza a livello globale”. L’esposizione al PM2.5 e ad altri inquinanti atmosferici è modificabile in una certa misura dai comportamenti personali, ma soprattutto attraverso la regolamentazione”. Insomma, concludono i ricercatori, per limitare i rischi, servirebbe “una legislazione globale e programmi politici incentrati sulla transizione verso fonti energetiche pulite e rinnovabili, riduzione del consumo energetico e cambiamenti nell’agricoltura. Qualsiasi effetto positivo sulla demenza e sulla salute generale sarebbe accompagnato da un impatto importante sui cambiamenti climatici e sulla biodiversità, pertanto, la riduzione dell’inquinamento atmosferico dovrebbe essere una priorità sanitaria e umanitaria globale”.