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Home » Attualità » Iran, cantano “Bella ciao” a scuola. Studentesse con e senza velo insieme contro la repressione

Iran, cantano “Bella ciao” a scuola. Studentesse con e senza velo insieme contro la repressione

Un 17enne ucciso a colpi di arma da fuoco durante le proteste: lo riporta la Bbc spiegando che è deceduto per i danni al fegato e ai reni causati dai proiettili

Barbara Berti
20 Ottobre 2022
Iran, cantano "Bella Ciao" a scuola

Iran, cantano "Bella Ciao" a scuola

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In Iran continuano le proteste contro il regime, in nome di Mahsa Amini, la 22enne curda morta lo scorso 16 settembre a Teheran dopo essere stata arrestata dalla polizia morale perché non portava il velo in modo corretto. Nelle ultime ore sta circolando un video dove un gruppo di studentesse si prendono la mano e intonano “Bella ciao”, la canzone considerata l’inno della resistenza dei partigiani contro i nazifascisti e ora divenuta inno delle proteste iraniane.

Un frame del video delle studentesse che cantano "Bella Ciao"
Un frame del video delle studentesse che cantano “Bella Ciao”

Nel video si vedono le studentesse, di spalle: alcune portano l’hijab altre no, a indicare che a dividerle nella lotta che stanno portando avanti non sarà il credo religioso. Il video è l’ultimo diffuso da alcune studentesse iraniane nel corso dei “mercoledì bianchi”, una campagna nata nel 2018 a Teheran, quando giovani donne si toglievano il velo in una pubblica piazza per sventolarlo come una bandiera (bianca, appunto).

La canzone è cantata in lingua persiana. Un passaggio recita: “O tutti insieme o anche da sola / bella ciao bella ciao / ci svegliamo al chiaro di luna / noi che resteremo svegli fino all’indomani / alla fine le nostre mani romperanno / in tutto il mondo la catena dell’oppressione”.

Un ragazzo di 17 anni ucciso durante una manifestazione

Abolfazl Adinezadeh, 17 anni (Twitter)
Abolfazl Adinezadeh, 17 anni (Twitter)

E sempre nelle ultime ore, è emersa la notizia di un ragazzo di 17 anni ucciso durante le proteste in Iran. Lo riporta la Bbc, specificando che l’8 ottobre, l’adolescente Abolfazl Adinezadeh, aveva saltato la scuola per partecipare a una delle manifestazioni innescate dalla morte di Mahsa Amini. Le forze di sicurezza iraniane gli avrebbero sparato a bruciapelo con un fucile, ben 24 colpi. Dopo aver partecipato alla protesta, il 17enne non sarebbe più tornato a casa. Inizialmente, i genitori di Abolfazl non avevano idea di cosa gli fosse successo. Solo il giorno successivo, sarebbero stati contattati dalle autorità, che avrebbero detto loro di andare a prendere il figlio alla stazione di polizia locale. Quando sono arrivati, gli sarebbe stato detto che era morto e di “non parlare con i media della questione”. Le autorità non hanno commentato la notizia. Ma il suo certificato di morte, ottenuto dalla Bbc, dice che è morto a causa di danni al fegato e ai reni causati da ferite da proiettili da caccia. “Che crimine aveva commesso, per colpirlo allo stomaco 24 volte?”, ha chiesto il padre di Abolfazl durante i funerali. Secondo le fonti della Bbc, agenti della sicurezza in borghese erano presenti durante il funerale del 17enne per scoraggiare chi voleva esprimere pubblicamente la sua rabbia, mentre ad alcuni partecipanti è stato chiesto di eliminare i video della funzione dal loro cellulare.

Secondo l’agenzia degli attivisti per i diritti umani iraniani Hrana, da quando le manifestazioni sono iniziate, almeno 244 manifestanti, inclusi 32 bambini, sono stati uccisi dalle forze di sicurezza durante la repressione. La stessa agenzia stima che più di 12.500 persone siano state arrestate, molti sono giovani e bambini.

 

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  • Nicoletta Sipos, giornalista e scrittrice, ha vissuto in Ungheria, in Germania e negli Stati Uniti, prima di raggiungere Milano e lì restare. Il suo romanzo “La guerra di H”, un romanzo fortemente ispirato a fatti realmente accaduti.

L’autrice indaga in maniera del tutto nuova e appassionante un momento drammatico, decisivo della storia del nostro continente: la Seconda guerra mondiale. A raccontare l’ascesa e la disfatta del Nazismo è stavolta la voce di un bambino tedesco, che riporta con semplicità e veracità le molte sofferenze patite dal suo popolo durante il conflitto scatenato da Hitler, focalizzando l’attenzione del lettore sul drammatico paradigma che accomuna chiunque si trovi a vivere sulla propria pelle una guerra: la sofferenza. Pagine toccanti, le sue, tanto più intense perché impregnate di fatti reali, emozioni provate e sentite dai protagonisti e condivise da quanti, tuttora, si trovano coinvolti in un conflitto armato. La memoria collettiva è uno strumento potente per non commettere gli stessi errori. 

"Imparai poco alla volta – scrive il piccolo Heinrich Stein, protagonista del romanzo – che nel nostro strano Paese la verità aveva più volti con infinite sfumature”.

👉Perché una storia così e perché ora?
“Ho incontrato il protagonista di questa mia storia molto tempo fa, addirittura negli anni ’50, ossia in un’epoca che portava ancora gli strascichi della guerra. Diventammo amici, parlammo di Hitler e della miseria della Germania. Poco per volta, via via che ci incontravamo, lui aggiungeva ricordi, dettagli, confessioni. Per anni ho portato dentro di me la testimonianza di questa storia che si arricchiva sempre più di dettagli. Molte volte avrei voluto scriverla, magari a quattro mani con il mio amico, ma lui non se la sentiva. Io stessa esitavo ad affrontare questa storia che racconta una famiglia tedesca in forte sofferenza in una Germania ferita e umiliata. La gente ha etichettato tutto il popolo tedesco durante il nazismo come crudele per antonomasia. Non si pensa mai a quanto la gente comune abbia sofferto, alla fame e al freddo che anche il popolo tedesco ha patito”.

✍ Caterina Ceccuti

#lucenews #giornodellamemoria #27gennaio
  • È dalla sua camera con vista affacciata sull’Arno che Ornella Vanoni accetta di raccontare un po’ di sé ai lettori di Luce!, in attesa di esibirsi, sabato 28 gennaio sul palco della Tuscany Hall di Firenze, dov’è in programma una nuova tappa della nuova tournée Le Donne e la Musica. Un ritorno atteso per Ornella Vanoni, che in questo tour è accompagnata da un quintetto di sole donne.

Innanzitutto come sta, signora Vanoni?
“Stanca, sono partita due mesi dopo l’intervento al femore che mi sono rotto cadendo per una buca proprio davanti a casa mia. Ma l’incidente non mi ha impedito di intraprendere un progetto inaspettato che, sin da subito, mi è stato molto a cuore. Non ho perso la volontà di andare avanti. Anche se il tempo per prepararlo e provare è stato pochissimo. E poi sono molto dispiaciuta“.

Per cosa?
“La morte dell’orso Juan Carrito, travolto e ucciso da un’auto cercava bacche e miele: la mia carissima amica Dacia (Maraini, ndr) l’altro giorno ha scritto una cosa molto bella dedicata a lui. Dovrò scrollarmi di dosso la malinconia e ricaricarmi in vista del concerto“.

Con lei sul palco ci sarà una jazz band al femminile con Sade Mangiaracina al pianoforte, Eleonora Strino alla chitarra, Federica Michisanti al contrabbasso, Laura Klain alla batteria e Leila Shirvani. Perché questa scelta?
“Perché sono tutte bravissime, professioniste davvero eccezionali. Non è una decisione presa sulla spinta di tematiche legate al genere o alle quote rosa, ma nata grazie a Paolo Fresu, amico e trombettista fantastico del quale sono innamorata da sempre. Tempo fa, durante una chiacchierata, Paolo mi raccontò che al festival jazz di Berchidda erano andate in scena tante musiciste bravissime. E allora ho pensato: ’Se sono così brave perché non fare un gruppo di donne? Certo, non l’ha fatto mai nessuno. Bene, ora lo faccio io“.

Il fatto che siano tutte donne è un valore aggiunto?
“In realtà per me conta il talento, ma sono felice della scelta: è bellissimo sentire suonare queste artiste, vederle sul palco intorno a me mi emoziona“.

L
  • Devanshi Sanghvi è una bambina di otto anni che sarebbe potuta crescere e studiare per gestire l’attività di diamanti multimilionaria appartenente alla sua facoltosissima famiglia, con un patrimonio stimato di 60 milioni di dollari.

Ma la piccola ha scelto di farsi suora, vivendo così una vita spartana, vestita con sari bianchi, a piedi nudi e andando di porta in porta a chiedere l’elemosina. Si è unita ai “diksha” alla presenza di anziani monaci giainisti. La bimba è arrivata alla cerimonia ingioiellata e vestita di sete pregiate. Sulla sua testa poggiava una corona tempestata di diamanti. Dopo la cerimonia, a cui hanno partecipato migliaia di persone, è rimasta in piedi con altre suore, vestita con un sari bianco che le copriva anche la testa rasata. Nelle fotografie, la si vede con in mano una scopa che ora dovrà usare per spazzare via gli insetti dal suo cammino per evitare di calpestarli accidentalmente.

Di Barbara Berti ✍

#lucenews #lucelanazione #india #DevanshiSanghvi
  • Settanta giorni trascorsi in un mondo completamente bianco, la capitana dell’esercito britannico Harpreet Chandi, che già lo scorso anno si era distinta per un’impresa tra i ghiacci, è una fisioterapista che lavora in un’unità di riabilitazione regionale nel Buckinghamshire, fornendo supporto a soldati e ufficiali feriti. 

Ha dimostrato che i record sono fatti per essere battuti e, soprattutto, i limiti personali superabili grazie alla forza di volontà e alla preparazione. E ora è diventata una vera leggenda vivente, battendo il record del mondo femminile per la più lunga spedizione polare – sola e senza assistenza – della storia.

Il 9 gennaio scorso, 57esimo giorno del viaggio che era cominciato lo scorso 14 novembre, la 34enne inglese ha raggiunto il centro del Polo Sud dopo aver percorso circa 1100 chilometri. Quando è arrivata a destinazione nel bel mezzo della calotta polare era felice, pura e semplice gioia di aver raggiunto l’agognato traguardo: “Il Polo Sud è davvero un posto incredibile dove stare. Non mi sono fermata molto a lungo perché ho ancora un lungo viaggio da fare. È stato davvero difficile arrivare qui, sciando tra le 13 e le 15 ore al giorno con una media di 5 ore di sonno”.

Di Irene Carlotta Cicora ✍

#lucenews #lucelanazione #polosud #HarpreetChandi #polarpreet
In Iran continuano le proteste contro il regime, in nome di Mahsa Amini, la 22enne curda morta lo scorso 16 settembre a Teheran dopo essere stata arrestata dalla polizia morale perché non portava il velo in modo corretto. Nelle ultime ore sta circolando un video dove un gruppo di studentesse si prendono la mano e intonano “Bella ciao”, la canzone considerata l’inno della resistenza dei partigiani contro i nazifascisti e ora divenuta inno delle proteste iraniane.
Un frame del video delle studentesse che cantano "Bella Ciao"
Un frame del video delle studentesse che cantano "Bella Ciao"
Nel video si vedono le studentesse, di spalle: alcune portano l'hijab altre no, a indicare che a dividerle nella lotta che stanno portando avanti non sarà il credo religioso. Il video è l’ultimo diffuso da alcune studentesse iraniane nel corso dei “mercoledì bianchi”, una campagna nata nel 2018 a Teheran, quando giovani donne si toglievano il velo in una pubblica piazza per sventolarlo come una bandiera (bianca, appunto). La canzone è cantata in lingua persiana. Un passaggio recita: "O tutti insieme o anche da sola / bella ciao bella ciao / ci svegliamo al chiaro di luna / noi che resteremo svegli fino all'indomani / alla fine le nostre mani romperanno / in tutto il mondo la catena dell'oppressione".

Un ragazzo di 17 anni ucciso durante una manifestazione

Abolfazl Adinezadeh, 17 anni (Twitter)
Abolfazl Adinezadeh, 17 anni (Twitter)
E sempre nelle ultime ore, è emersa la notizia di un ragazzo di 17 anni ucciso durante le proteste in Iran. Lo riporta la Bbc, specificando che l’8 ottobre, l’adolescente Abolfazl Adinezadeh, aveva saltato la scuola per partecipare a una delle manifestazioni innescate dalla morte di Mahsa Amini. Le forze di sicurezza iraniane gli avrebbero sparato a bruciapelo con un fucile, ben 24 colpi. Dopo aver partecipato alla protesta, il 17enne non sarebbe più tornato a casa. Inizialmente, i genitori di Abolfazl non avevano idea di cosa gli fosse successo. Solo il giorno successivo, sarebbero stati contattati dalle autorità, che avrebbero detto loro di andare a prendere il figlio alla stazione di polizia locale. Quando sono arrivati, gli sarebbe stato detto che era morto e di "non parlare con i media della questione". Le autorità non hanno commentato la notizia. Ma il suo certificato di morte, ottenuto dalla Bbc, dice che è morto a causa di danni al fegato e ai reni causati da ferite da proiettili da caccia. "Che crimine aveva commesso, per colpirlo allo stomaco 24 volte?", ha chiesto il padre di Abolfazl durante i funerali. Secondo le fonti della Bbc, agenti della sicurezza in borghese erano presenti durante il funerale del 17enne per scoraggiare chi voleva esprimere pubblicamente la sua rabbia, mentre ad alcuni partecipanti è stato chiesto di eliminare i video della funzione dal loro cellulare. Secondo l'agenzia degli attivisti per i diritti umani iraniani Hrana, da quando le manifestazioni sono iniziate, almeno 244 manifestanti, inclusi 32 bambini, sono stati uccisi dalle forze di sicurezza durante la repressione. La stessa agenzia stima che più di 12.500 persone siano state arrestate, molti sono giovani e bambini.  
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