Stati Uniti, le aziende si allineano a Trump e alla nuova cultura anti-woke: DEI al capolinea

Dopo anni di investimenti, le multinazionali a stelle e strisce stanno smantellando i propri programmi di inclusione. E c’è sempre meno spazio per i diritti

di MARCO PILI
6 febbraio 2025
"Celebrate Pride", il tool al quale Zuckerberg aderì nel 2015 (FB: Mark Zuckerberg)

"Celebrate Pride", il tool al quale Zuckerberg aderì nel 2015 (FB: Mark Zuckerberg)

Sono bastate ventiquattro ore al neopresidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, per firmare decine di ordini esecutivi. Un numero di decreti presidenziali senza precedenti che, fin dal suo insediamento nella stanza dei bottoni più importante al mondo, mira a sovvertire un ordine sociale definito a più riprese debole o, per utilizzare un inglesismo, “woke”.

Il termine, privo di una traduzione univoca in italiano, è tornato in auge negli anni ’10 del 2000, emergendo dalla coda lunga del postmaterialismo teorizzato nel corso degli anni ’70 dal filosofo Inglehart. Un abbandono della preminenza dei valori materiali e consumistici che, in questo caso, si riferisce all’atteggiamento di coloro i quali esprimono la propria consapevolezza nei confronti di temi più astratti come, ad esempio, razzismo, discriminazioni di ogni genere e ingiustizie sociali.

USA GOVERNMENT TRUMP TRANSGENDER
Donald Trump

La tendenza, sospinta da un clima sociale e politico apparentemente favorevole, aveva invogliato molte persone a manifestare per i diritti di coloro che, quotidianamente, subiscono discriminazioni, incontrando spesso il beneplacito di numerose aziende di grandi dimensioni e, nel caso statunitense, della politica democratica. Sia Biden che Obama, a suo tempo, si sono occupati di implementare i livelli di inclusività all’interno della pubblica amministrazione, invitando le numerose multinazionali presenti sul territorio a fare altrettanto.

La sfioritura dei programmi DEI

Non si è rivelata certo un caso, dunque, la fioritura passata di numerosi programmi DEI (diversity, equity e inclusion) all’interno delle principali factories a stelle e strisce, dichiaratesi negli anni scorsi vere e proprie paladine dell’integrazione. Aziende che, dopo il ritorno di Trump sullo scranno più alto dell’intera piramide politica statunitense, non hanno certo perso tempo nell’abrogare tutti i passi avanti fatti sotto l’egida delle precedenti amministrazioni targate elefantino.

USA TRUMP INAUGURATION
Mark Zuckerberg (Ceo Meta), Lauren Sanchez Jeff Bezos (Ceo Amazon) alla proclamazione di Donald Trump

Da Amazon a Meta, passando per Ford, Walmart, ma anche per la più celebre catena di fast food al mondo, McDonald’s, sono decine le aziende che hanno scelto, compiendo l’ennesima giravolta sulla pelle delle persone, di abolire le politiche aziendali pensate per garantire pari diritti e opportunità lavorative al di là di genere, orientamento sessuale, disabilità, età e credo religioso. Progetti che, come è possibile comprendere con estrema facilità, non si conciliano facilmente con l’immaginario populista propugnato da Donald Trump.

MAGA, il lato peggiore dell’anarchia capitalista

Nel mentre MAGA, nell’immaginario collettivo niente più che uno slogan, si sta avvicinando sempre più alla realtà. In quella che, apparentemente, sembra una vera e propria contrapposizione nei termini, l’anarchia capitalista voluta da Trump e dal suo entourage rischia più che mai di danneggiare, con le sue evidenti esternalità negative, numerosi milioni di persone, riducendo il tutto a una logica orientata unicamente al profitto.

E se Facebook, dopo le foto con lo sfondo arcobaleno postate da Zuckerberg nel 2019 a sostegno della comunità Lgbtq+, ha ben deciso di sospendere ogni pratica legata all’inclusività, c’è chi resiste. Ad un annuncio lapidario come: “costruiremo i migliori team con i migliori candidati possibili senza tener conto di alcun fattore” diramato da Meta, infatti, Apple ha risposto in modo contrario. Il colosso di Cupertino, capitanato da Tim Cooper, ha respinto al mittente le pressioni provenienti da Washington, rimanendo una delle poche factories della Silicon Valley a mantenere in vigore i programmi osteggiati dall’opposizione repubblicana “anti-woke”.

Gli attacchi alle DEI: dove si lede la dignità delle persone

Infine, non potevano certo mancare, nel mondo del ritrovato free speech dei canali di comunicazione che, negli anni passati, avevano effettuato un’efficace operazione di “rainbow washing”, numerosi commenti istituzionali contro i programmi DEI in relazione ai più recenti fatti di cronaca. Lo sciacallaggio politico adoperato, in particolar modo, dallo stesso Trump, non ha infatti perso tempo nello scagliarsi contro i piani di inclusione in occasione sia dei devastanti incendi di Los Angeles che, nei giorni scorsi, del tragico incidente aereo di Washington.

Usa, oltre 30 i corpi recuperati dopo l'incidente aereo
Il recupero dei detriti nelle acque del Potomac dopo l'incidente tra un aereo e un elicottero militare (AFP)

A farne le spese, nel primo caso, era stata la responsabile del dipartimento dei Vigili del fuoco del capoluogo californiano, Kristin Crowley, accusata di essere una “assunzione DEI” unicamente in funzione del suo genere e del suo orientamento sessuale. La vigile del fuoco, non a caso, è la prima donna, nonché la prima persona dichiaratamente omosessuale a ricoprire quel tipo di incarico. Due elementi che, in attesa di eventuali accertamenti per negligenza, per Trump e suo figlio le sono già valsi un’ammenda per la presunta reazione tardiva nei confronti dei roghi.

Stessa sorte per coloro che, nella notte tra il 29 e il 30 gennaio, stavano lavorando nella torre di controllo dell’aeroporto Reagan, di fronte alla quale un aereo civile si è scontrato con un elicottero militare. Analogamente, per il neoeletto presidente degli Stati Uniti, la colpa sarebbe non solo dei programmi DEI ma, in particolar modo, delle persone con disabilità. Il tutto, ancora volta, senza la benché minima parvenza di indagini in grado di corroborare queste esternazioni.

Ciò che è certo, è che nell’era del free speech delle piattaforme social ogni comportamento sembra ormai essere tollerato. Anche le discriminazioni a fini politici, guidate a più riprese da un giustizialismo che non lascia scampo a processi, tentativi di individuare la realtà dei fatti o, più banalmente, al rispetto delle persone, non sono escluse da questo rinnovato concetto di “libertà”.