Julian e Sebastian hanno due padri, Carlo e Christian. Qualcuno, il papà o la mamma, neppure ce l'ha. Altri bimbi hanno uno dei genitori che vive su una sedia a rotelle, o ha un altro tipo di disabilità, oppure un fratello o una sorella che ha il colore della pelle diverso dalla loro. Allora viene naturale chiedersi: ma quanti tipi di famiglie esistono? Una domanda innocente come quella che potrebbe fare un bambino. Proprio da questa riflessione – e da una richiesta molto simile a questa – è nata l'idea "Quante Famiglie", restyling del popolare gioco di memoria '10 Famiglie' di Clementoni, nato dalla collaborazione tra l’azienda marchigiana leader nell’ideazione e produzione di giocattoli, Show Reel Agency (content agency parte della digital media company Show Reel Media Group) e gli ideatori, i Papà per Scelta.
Carlo Tumino e Christian De Florio, sono i genitori di due gemelli di 4 anni, Juju e Seba, nati negli Stati Uniti con un programma di surrogacy. La coppia, felicemente sposata e residente a Rimini, è impegnata da tempo nella sensibilizzazione – anche attraverso i social – sulla tema delle famiglie arcobaleno, della genitorialità per le coppie Lgbt+, ma questa volta a dare loro l'imput è stata proprio la semplice domanda di uno dei figli: se esistesse un gioco specchio della loro famiglia, composta da due papà e due bimbi. Così in Christian e Carlo è nata la volontà di creare una proposta rappresentativa delle diverse realtà familiari ed è nato ‘Quante Famiglie’, un gioco che abbraccia tutti, diventando progetto sociale, culturale ed educativo. Un gioco dove gli adulti possono insegnare il rispetto per le differenze, e dove i bambini possano riconoscersi.
Come nasce l’idea del gioco “Quante Famiglie”? “Da un’esigenza specifica, una domanda super innocente che un giorno ci fece Julian: ‘Ma esiste un gioco in cui ci sono due papà?’. Ci siamo interrogati e alla fine abbiamo risposto semplicemente di no. Nel mondo dei giochi c’è una mancanza di rappresentazione di una tipologia di famiglia come la nostra e con Christian abbiamo iniziato a pensare sull’opportunità di poter fare una cosa di questo tipo. Perché poi il tema non era solo la mancanza di rappresentazione di famiglie omogenitoriali nei giochi, ma anche la disabilità, la multirazzialità… Le famiglie si possono declinare all’infinito. Nel gioco, infatti, ci sono le quattro carte vuote in cui ognuna può scegliere come rappresentarsi”.
Come si è sviluppata l’iniziativa e che tipo di messaggio volevate lanciare? “Crediamo che non esista un modello predefinito di famiglia, ma fortunatamente sono tante e tutte meravigliosamente differenti. Siamo partiti da questo perché capiamo quanto sia importante per ogni bambino riconoscersi e identificarsi in un gioco. Quindi abbiamo bussato alla porta di Clementoni e, con l’aiuto di Show Reel Agency, siamo riusciti a creare un progetto che fosse super inclusivo, che non parlasse solo di famiglie omogenitoriali ma di tutte le potenziali famiglie che si possono trovare all’interno delle mura domestiche”.
Anche attraverso un gioco si possono trasmettere valori importanti, quindi, come quello della diversità e dell'inclusione? “Il gioco è fondamentale, perché attraverso il gioco si crea l’identità del bambino. Quindi non può non sentirsi rappresentato in un gioco che parla di famiglie. Assolutamente crediamo che l’inclusione sia un must have. Inoltre tanti genitori ci hanno scritto chiedendoci consigli, suggerimenti, su come poter riuscire a insegnare l’inclusività ai bimbi. Quindi questo gioco risponde a un’esigenza non solamente nostra ma anche di tutte le altre famiglie contesti educativi in cui si vuole crescere una generazione di bambini e bambine in cui l’inclusione è parte del loro DNA”.
Per i bambini e le bambine è più semplice accettare o considerare la normalità la molteplice varietà di famiglie possibili rispetto ad un adulto? “Da che mondo è mondo il bambino è un contenitore vuoto, che è poi il suo valore aggiunto, perché non ha sovrastrutture di giudizi e pregiudizi nei confronti dell’altro e della diversità. Per questo è un gioco adatto in quella fascia di età in cui si costruisce l'identità e ci si deve sentire rappresentati. Soprattutto nella fase progettuale Show Reel Agency ci ha aiutato tanto e, quando è stato testato da Clementoni con altri bambini prima dello step finale, ci hanno raccontato quanto i piccoli fossero contenti di provarlo. Non erano solo incuriositi ma hanno probabilmente percepito un pezzettino di realtà che mancava e che non vedevano. I bambini hanno semplicemente bisogno di verità, di risposte e semplicità. Il gioco risponde a questa esigenza, è lo strumento più congeniale per raccontare le potenziali realtà che esistono nella società. Per far capire loro che c’è tanto diverso, ma quella diversità deve essere per loro una ricchezza per aggiungere tasselli al mondo circostante”.
Magari evitando categorizzazioni tipo "questo è da femmina", "questo da maschio"… “Sì infatti le illustrazioni si ‘Quante famiglie’ sono studiate da questo punto di vista. Noi non volevamo dare un ruolo, come accade nella versione precedente, ad esempio, in cui ci sono il papà numero uno, la mamma numero due, che sembrano identificare già una priorità maschile. Anche quello che fanno le varie personalità rappresentate, in termini sportivi, vuole abbattere quei luoghi comuni che vedono alcuni sport prevalentemente maschili o femminili, piuttosto che professioni da uomo o da donna… Il gioco va in questo senso: diversità non è solo una famiglia di due papà come la nostra, ma è in tutti gli aspetti della vita reale. Volevamo far sognare i bambini e le bambine che da grandi possono fare quello che vogliono”.
Cos’è oggi, per voi, la famiglia? Carlo: “È il luogo dove riesci a esprimere veramente te stesso, è quello in cui torni quando hai bisogno di sentirti sicuro, quel luogo in cui ti senti ascoltato. Riferito alla nostra, penso alla predilezione di Sebastian per il colore rosa: ecco è il luogo in cui ti senti libero di esprimere quelle che sono le tue predisposizioni senza essere giudicato, in cui vieni invece assecondato e in cui il ruolo genitoriale è quello di darti gli strumenti per crescere in maniera serena, equilibrata, senza sovrastrutture che ti dicano quello che puoi fare o non fare”.
Christian: “Mi verrebbe da dire che è quel luogo sicuro dove poterti sentire sempre a tuo agio, dove sentirti te stesso e poi dove si definiscono le identità e i caratteri delle persone, perché le influenze che riceviamo quando sono piccoli sono il nostro marchio di fabbrica che poi ci portiamo dietro tutta la vita. Sicuramente ha un ruolo fondamentale nella società, perché i valori importati che vengono trasmessi, i legami veri, sono indissolubili, e li costruisci in famiglia”.
"Pensiamo che la sostanza sia più importante della forma: la sostanza è la qualità dei legami che si vengono a creare a prescindere dal DNA!”.
Quando avete capito di essere pronti a fare i papà? Christian: “Io (l’ho raccontato nel libro) l’ho capito tardi, perché in famiglia ho avuto un po’ di problemi, quindi l’ho scoperto quando per la prima il mio papà ha avuto bisogno di me e si sono invertiti i ruoli. Lì ho capito cosa significava essere famiglia, cioè aiutarsi quando la vita non è sempre gentile e purtroppo accadono episodi spiacevoli. È lì che si misura il valore della famiglia, nel rimanere compatta e nel dimostrare quanto realmente si tiene agli altri. Ho capito che quello era un sentimento che avrei voluto coltivare e che quell’amore l’avrei voluto dare anche ai miei figli, sarei voluto diventare papà”.
Carlo: “Per me è stato un po’ un percorso inverso, è stato semplicemente una prosecuzione di quella che è stata la mia infanzia e adolescenza, con tutti – ovviamente – i conflitti che ci possono essere tra figli e genitori. Ma è stato talmente tanto bello essere figlio che mi sarebbe piaciuto comunque regalare le stesse emozioni ai miei figli, in questo caso ai gemelli”.
Come si gestiscono nella vita quotidiana due bambini di 4 anni? Avete un’arma segreta? “Non si gestiscono. Si impara sul campo. Una cosa che mi dissero, e che poi capii quanto fosse vera, è che tutto è molto naturale, ti accorgi che hai tutti gli strumenti. E poi è una palestra di vita: il bambino per fortuna ti fa capire se fai le cose giuste o no, e quindi anche tu hai modo di tarare il modo di essere genitore. Ti devi mettere in discussione tanto, bisogna essere sensibili e attenti a leggere le esigenze. Bisogna fare pace con gli errori che si fanno tutti i giorni, con i sensi di colpa assolutamente naturali. E soprattutto vanno ascoltati i propri figli: bisogna porsi dal basso verso l’alto, perché hanno un punto di vista totalmente diverso da quello che abbiamo noi adulti. Magari influenzarli nella giusta direzione. Ogni tanto mettiamo i tappi – scherzano –. Ma ci deve essere soprattutto un bilanciamento tra vita di coppia, vita familiare e vita personale“.
Non ci si deve quindi sentire ‘meno genitori’ se si dà spazio, a volte, alla vita di coppia “È fondamentale. Non si può essere genitori felici se prima non si parte dalle origini, del perché si è venuta a formare una famiglia, provando ad alimentare il sentimento di due persone che si vogliono bene. Spesso vogliamo tornare a quelle origini in cui siamo io e Christian. È fondamentale non dimenticarsi che prima si è coppia e poi genitori”.
L’augurio che fate a Julian e Sebastian Christian: “Che vivano, un domani, in un mondo più inclusivo e più gentile di questo, ed è anche il motivo per cui i loro genitori si stanno adoperando. Speriamo che questa nostra mission serva a qualcosa perché se nel nostro piccolo stiamo provando a cambiare il mondo è proprio per spianare la strada a loro”.
Carlo: “Io mi auguro semplicemente che smettano di essere considerati come i figli di due papà che hanno fatto una scelta impopolare ma vengano semplicemente considerati due brave persone che, come ogni altro ragazzo o ragazza, cercano il loro posto nel mondo”.
Dove vedete la luce? “L’abbiamo vista innanzitutto quando finalmente (Julian e Sebastian) hanno dormito tutta la notte. Proprio la luce in fondo al tunnel, ci tengo a ribadirlo – dicono ridendo – perché spesso non l’abbiamo vista. Poi la vediamo nei loro occhi. Quando spesso le persone ci giudicano per le nostre scelte impopolare, la gratificazione più grande è vedere la felicità dei nostri figli quando esplorano il mondo e sorridono con quegli occhi lì. Credo che non potevamo fare scelta migliore che dare a Julian e Sebastian questo dono bellissimo: la famiglia”.