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La scienziata in missione per la sindrome di Down: "Enrico è stata la svolta della mia vita, anche lavorativa"

Rosa Anna Vacca, ricercatrice del Cnr e mamma di un 18enne con trisomia 21, ha lasciato i suoi studi per dedicarsi alla ricerca su questa malattia. Con le sue scoperte spera di dare una nuova speranza alle famiglie

di ELSA TOPPI -
8 novembre 2022
Sindrome di Down

Sindrome di Down

Quando nasce un figlio sei travolto da una tempesta di emozioni contrastanti. Quando nasce un figlio con la sindrome di Down ancora di più. Pensi al futuro, alle difficoltà che dovrai e dovrà affrontare, sei attanagliato da mille paure. Così è stato per Rosa Anna Vacca, scienziata e ricercatrice del Cnr, mamma di Enrico, nato con un cromosoma in più. "Conoscevo la sindrome di Down e pensavo alla disabilità intellettiva. Pensavo a tutte le difficoltà che avremmo dovuto affrontare noi e lui – racconta Rosa Anna Vacca -. Inoltre in ospedale mi dicevano che un figlio con la trisomia 21 avrebbe avuto bisogno di talmente tante attenzioni da compromettere anche il mio lavoro al Cnr. E io tenevo tantissimo alla mia professione di ricercatrice. Insomma sentivo che il mondo mi stava crollando addosso. Tutti i campi della mia vita sarebbero stati sconvolti. Continuavo a ripetermi 'perché proprio a me?'”.

A che punto siamo con la ricerca sulla sindrome di Down

Rosa Anna Vacca, ricercatrice e scienziata del Cnr

Ma Rosa Anna è una donna di scienza e, più che cercare risposte, comincia a farsi domande. "I medici sostenevano che non ci fossero terapie specifiche per correggere la sintomatologia della trisomia 21 – spiega la ricercatrice -. Cominciai a chiedermi: a che punto è la conoscenza della ricerca su questa malattia? Possibile che non ci siano sperimentazioni cliniche in atto? Mi resi conto, leggendo la letteratura scientifica, che la conoscenza della sindrome, parliamo di 18 anni fa, si era fermata all’ identificazione di quelli che erano i geni del cromosoma 21". Ma dopo aver scandagliato testi e pubblicazioni sull’argomento, le balza agli occhi che nessuno aveva mai trovato la connessione fra le alterazioni genetiche e quelle funzionali nella sindrome di Down. "Studiando questi lavori mi resi conto che si cominciava appena a studiare qualcosa sul coinvolgimento dei mitocondri, le centrali energetiche della cellula, in questa patologia - racconta la scienziata -. Pensai: se i mitocondri non funzionano c’è meno energia nelle cellule e soprattutto nel cervello. È lì che si consuma la maggior parte dell’energia che produciamo. Bisognava individuare le alterazioni del metabolismo energetico nelle cellule per poi cercare di correggerle in qualche modo. Era più facile agire sul metabolismo alterato e non sui geni”. Così Rosa Anna, che aveva delle solide conoscenze sulla funzione dei mitocondri, frutto di anni di studio all’Istituto di Miomembrane, bioenergetica e biotecnologie molecolari del Cnr di Bari, decide che è il momento giusto di metterle a servizio per lo studio della malattia del figlio. "Se non lo avessi fatto – dice con una punta di commozione - mi sarei sentita in debito morale per il resto della vita. Le cose non accadono a caso, Enrico è venuto da me anche per questo".

Le disfunzioni mitocondriali

Abbandona il suo progetto di ricerca sulla morte programmata delle cellule nelle piante e comincia a cercare fondi per un nuovo studio delle sulle disfunzioni mitocondriali nella sindrome di Down. Trova i primi finanziamenti a Parigi, grazie alla fondazione Jerome Lejeune e fa delle scoperte importanti. "Abbiamo cominciato a scoprire che i mitocondri erano disfunzionali perché erano alterati i meccanismi che regolavano le funzioni mitocondriali. In più i mitocondri disfunzionali anziché produrre energia per le funzioni dell’organismo e del cervello, producevano radicali liberi che venivano accumulati nella cellula ed erano causa di stress ossidativo. Questi studi hanno aperto la strada alla progettazione di strategie terapeutiche nella sindrome di Down. Insieme alla collega del Cnr, Daniela Valenti, e alla pediatra al Federico II di Napoli, Iris Scala, abbiamo individuato molecole naturali presenti nelle piante, i polifenoli, che agiscono sulle alterazioni mitocondriali e permettono sia una migliore produzione di energia sia una riduzione dello stress ossidativo che, se presi nella primissima infanzia sotto controllo medico, possono prevenire diverse alterazioni legate alla sindrome".

Il supporto alle famiglie

Nel tempo la dottoressa Vacca ha ampliato i suoi studi sulle alterazioni mitocondriali nella disabilità intellettiva anche ad altre malattie del neuro sviluppo, come la sindrome di Rett, l’autismo, la x Fragile. Ma il suo lavoro, svolto con la mente e con il cuore, non si ferma solo al laboratorio. Spesso, infatti, prende parte a convegni per parlare alle famiglie della ricerca, dei suoi risultati e di quanto essa possa migliorare la qualità di vita di questi ragazzi. La gestione in famiglia non è sempre facile e la maggior parte delle volte ci si trova impreparati. Ma Enrico è diventato un punto di forza per tutti. “Mio figlio è una grande risorsa per tutta la nostra famiglia. Mi ha insegnato a saper attendere, a gioire per le piccole cose, ad amare e ad interagire con le persone senza pregiudizi e architetture mentali. Alle famiglie che hanno bimbi con queste difficoltà mi sento di dire che sono un valore aggiunto, che bisogna accoglierli, e che bisogna puntare sul lavoro di tanti ricercatori che, come me, stanno sperimentando terapie per migliorare la qualità di vita di questi bambini”. Enrico adesso ha 18 anni, frequenta l’Istituto Tecnico commerciale, eccelle nello sport agonistico di atletica leggera e attualmente, gareggiando con la FISDIR, è vice-campione italiano nei 100 metri piani. Tuttavia, un tassello negativo c’è in questa bella storia. Enrico è un ragazzo solare e allegro ma, nonostante ami stare con gli altri, spesso trova un muro. “Mio figlio trascorre la maggior parte del tempo a scuola o in attività strutturate – racconta Rosa Anna Vacca con amarezza - nessuno dei suoi coetanei 'normali' lo cerca. Mi rendo conto che la società non è preparata e l’integrazione sociale è ancora utopia. C’è ancora molto da fare per scardinare i pregiudizi verso la disabilità e in particolare verso questi ragazzi che la disabilità l’hanno scritta in faccia”.