Sempre più aridi. Una frase che funzionerebbe, in effetti, anche come metafora della nostra civiltà. Solo che qui parliamo proprio della terra, del nostro pianeta, che si sta progressivamente ‘seccando’. A dirlo è un rapporto dello UN Science Policy Interface – organismo ONU incaricato di fornire ai decisori politici analisi scientifiche affidabili – secondo cui il 40% delle terre emerse è già classificato come arido.
Un dato in crescita rispetto al 37,5% di trent’anni fa: se a inizio anni ’90 tre quarti della superficie terrestre avevano già subito un inasprimento dell’aridità, oggi questi fenomeni interessano un’area pari a 4,3 milioni di chilometri quadrati in più, un’estensione maggiore di quella del Canada. In sostanza, nel 2020, 2,3 miliardi di persone vivevano in zone aride, il doppio rispetto al 1990. Le proiezioni più cupe lasciano ipotizzare un ulteriore raddoppio entro il 2100.
Siccità e aridità: che differenze ci sono
Le cause dell'inaridimento sono molteplici, ma il riscaldamento globale è ritenuto tra i principali responsabili: l’aumento delle temperature accelera l’evaporazione, e riduce di conseguenza la disponibilità di acqua nel suolo e favorendo la graduale degradazione degli ecosistemi. Per capire bene di cosa stiamo parlando va precisato che 'aridità' non ha lo stesso significato di 'siccità': come infatti evidenzia il Segretario esecutivo dell’UNCCD, Ibrahim Thiaw, la siccità è un fenomeno transitorio, mentre l'aridità riflette un cambiamento climatico stabile e duraturo. In pratica una volta che un’area diventa arida, la reversibilità è estremamente difficile.
“A differenza delle siccità, periodi temporanei di scarse precipitazioni, l’aridità rappresenta una trasformazione permanente e inesorabile”, ha specificato Thiaw. “Le siccità finiscono. Quando il clima di un’area diventa più secco, tuttavia, si perde la capacità di tornare alle condizioni precedenti. I climi più secchi che ora interessano vaste terre in tutto il mondo non torneranno a essere come erano e questo cambiamento sta ridefinendo la vita sulla Terra”.
L’impatto della progressiva desertificazione
Come detto il fenomeno è generale, ma ovviamente ci sono zone più colpite di altre: secondo il rapporto, tra il 1990 e il 2015 l’Africa ha perso circa il 12% del suo Pil a causa dell’aumento delle condizioni di aridità. E le perdite previste sono ancora più gravi: il continente africano perderà circa il 16% del suo PIL e l’Asia quasi il 7% nel prossimo mezzo decennio. Nonostante in alcune parti del mondo si siano intensificati i disastri legati all’acqua, come le inondazioni e le tempeste, più di tre quarti delle terre emerse sono diventate permanentemente più secche negli ultimi decenni. Secondo il rapporto della Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione (UNCCD), circa il 77,6% del territorio terrestre ha sperimentato condizioni più secche nei tre decenni precedenti al 2020 rispetto al precedente periodo di 30 anni.
L'aridità impatta in particolar modo sull'agricoltura e dunque sulla disponibilità di cibo. Secondo l’UNCCD nei prossimi anni si prevedono cali di milioni di tonnellate per colture chiave come mais, grano e riso. In Africa, ad esempio il raccolto di mais potrebbe dimezzarsi entro il 2050. Un Pianeta più arido significa poi anche meno acqua disponibile: si stima che entro la fine del secolo oltre due terzi delle terre emerse immagazzineranno meno risorse idriche. Fatto questo che potrebbe generare ulteriori conseguenze negative se non catastrofiche, andando a incidere anche sulla salute, a causa dell'aumento delle malattie legate alla malnutrizione e alle condizioni igienico-sanitarie precarie. Senza contare l'incremento dei flussi migratori e l'aumento delle tensioni geopolitiche.
Le mosse da adottare
Cosa fare? Secondo gli esperti ONU, ridurre le emissioni di gas serra è un passo fondamentale, così come proteggere gli ecosistemi rimasti intatti, restaurare quelli degradati e garantire una gestione sostenibile delle risorse idriche. “Per decenni, gli scienziati del mondo hanno segnalato che le nostre crescenti emissioni di gas serra sono alla base del riscaldamento globale”, dice Barron Orr, scienziato capo dell’UNCCD. Che aggiunge: “La combustione di combustibili fossili sta causando un’essiccazione permanente in gran parte del mondo, con impatti potenzialmente catastrofici che potrebbero spingere le persone e la natura ancora più vicine a punti di svolta disastrosi. Mentre ampie zone del territorio mondiale diventano più aride, le conseguenze dell’inazione diventano sempre più gravi e l’adattamento non è più un optional, è un imperativo”.