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Home » Spettacolo » Marco Mengoni, il disco corale Materia (Pelle) modello di diversità: “Nel mio Dna una miriade di genie”

Marco Mengoni, il disco corale Materia (Pelle) modello di diversità: “Nel mio Dna una miriade di genie”

Col tour nei palasport il cantante porta sul palco il secondo capitolo della trilogia "Materia". Puntando sull'apertura, mentre la realtà sembra chiudere le porte ai diritti

Andrea Spinelli
8 Ottobre 2022
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Tra Ronciglione e il Golfo Persico. Marco Mengoni si fa il test del Dna e, sorpresa, scopre di essere per il 35% italiano e per il 16% iraniano-iracheno, il resto sparso una miriade di genie diverse in piena sintonia, quindi, col meticciato musicale che trasuda dal nuovo album “Materia (Pelle)”, secondo capitolo della trilogia avviata lo scorso autunno da “Materia (Terra)“. “Lo vedo come un disco corale, con musica africana, sudamericana, elettronica” ammette. “In ‘Ancora una volta’ in cui riprendo dei madrigali. Tanta roba”. Il terzo e ultimo pilastro del progetto arriverà forse a primavera, prima del ritorno negli stadi che l’estate prossima lo vedrà il 20 giugno a Padova con tappe il 24 a Salerno, il 28 a Bari, il primo di luglio al Dall’Ara di Bologna e il 5 a Torino. Intanto l’eroe di “Tutti i miei ricordi”, oltre al primo posto nell’airplay, si gode il tour nei palasport portato al debutto nei giorni scorsi a Mantova. S’è pure iscritto all’università, per studiare psicologia.

La cover di “Materia (Pelle)” secondo capitolo della trilogia di Marco Mengoni dopo “Materia (Terra)”

La parola chiave di questo nuovo disco disco è “apertura”. Preoccupato dei venti contrari che spirano qua e là?
“Non vorrei che alcuni principi in tema di diritti ormai assodati venissero rimessi in discussione e che alcuni estremisti del pensiero si sentissero in qualche modo legittimati. Soprattutto sul web. Pure da noi comincio a sentire discorsi strani e anacronistici che vorrebbero privare la donna della libertà di scegliere sul proprio corpo. Mi sembra di tornare indietro nel tempo. Ma non al ’73, direttamente alla preistoria”.

Dopo la terra, la pelle.
“I sottotitoli di questa trilogia non li ho decisi prima, ma voglio farlo di volta in volta a lavoro finito. ‘Pelle’, ad esempio, l’ho scelto perché è il termine che mi fa pensare di più a questo agglomerato di canzoni e di influenze; un disco vissuto come quelle rughe e quelle cicatrici che ci rendono uno diverso dall’altro“.

Marco Mengoni in tour nei Palasport prima della stagione estiva in cui tornerà negli stadi di tutta Italia  (Foto comunicarlo)

Tre dischi, tre anime diverse.
“Un disco di questo tipo è un work in progress soggetto a continue modifiche, visto che a modificarsi nel tempo è pure il tuo pensiero”.

Il primo capitolo di “Materia” aveva una bella impronta soul e rhythm’n’blues, questo guarda anche altrove.
“Una parte è un po’ clubby. Ci sono pure Mace, La Rappresentante di Lista, Bresh. Per questo lo vedo come un disco corale, con musica africana, sudamericana, ma anche canti gregoriani in ‘Ancora una volta’, in cui riprendo dei madrigali. Tanta roba, a tratti forse troppa”.

marco mengoni
Mengoni Live 2022 (Ph. Andrea Bianchera)

C’è pure Bersani.
“Per me Samuele è una specie di fratello maggiore. Gli ho mandato ‘Ancora una volta’ solo per avere un giudizio e lui mi ha risposto: in questo pezzo vorrei esserci anch’io. Sinceramente, non considero il nostro incontro un duetto, né un feat, ma solo un regalo immenso che ha voluto farmi”.

Dovendo fare delle scelte, in una ideale playlist cosa metterebbe?
“Siccome ci sono dei pezzi che hanno fatto crescere il disco aggregando via via attorno a loro poi tutti gli altri, partirei da ‘Unatoka Wapi’, che in lingua swahili significa ‘Da dove vieni?’ ed è un po’ il manifesto del progetto, con un testo ispirato da Frantz Fanon, un antropologo e psichiatra anticolonialista molto attento nelle sue opere al rispetto della dignità della persona. Aggiungerei ‘Ancora una volta’ e ‘Respira’ perché raccontano bene l’idea del disco. Proprio i tre pezzi che all’inizio del progetto avevo messo nel cassetto pensando a questo secondo disco”.

marco mengoni
Mengoni Live 2022 (Ph. Andrea Bianchera)

Tornerebbe a Sanremo?
“Con il pezzo giusto, sì. Perché il Festival è tornato ad essere una bella vetrina in cui presentare la propria musica. Un po’ come i Grammy in America. Ed è figo andare ai Grammy. È vero, all’Ariston ci sono una gara e una classifica, ma la storia ricorda che l’ultimo può avere successo in radio come il primo e quindi non è un problema. Per quanto mi riguarda, al momento non c’è niente però”.

“Caro amore lontanissimo” è un inedito di Sergio Endrigo inserito pure della colonna sonora di “Colibrì“, il film di Francesca Archibugi che verrà presentato giovedì prossimo alla Festa del Cinema di Roma.
“Me l’ha proposto Claudia Endrigo cinque anni fa. Il padre l’aveva abbozzato nel ’73 con Riccardo Sinigallia l’abbiamo ripreso e completato. Ritengo una magia il fatto di averlo in questo disco e nel film perché, avendo un arrangiamento orchestrale e una scrittura diversa da quella di oggi, finora non ero riuscito a trovargli un senso. Diciamo che sta in quel mio 35% italiano”.

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  • ✨Tra i pretendenti a un ruolo di protagonista del 73° Sanremo, Ariete è probabilmente quella con l’"X factor" più alto. E non tanto per aver partecipato da ragazzina al talent di Sky o per quel "non so che" capace di differenziare tutto quel che fa, ma perché in due anni è riuscita a diventare la musa “indie“ della Generazione X. 

Arianna Del Giaccio mostra la timidezza della debuttante. E che lei sia una "nuova persona" portata a cadere nei "soliti vecchi errori" lo racconta parlando del debutto davanti al popolo del Festival con Mare di guai, ballata in cui racconta la fine della relazione con la sua ex.

«Gli squali che si aggirano nella vasca di cui parlo sono le mie insicurezze e le mie ansie. Il peso delle aspettative, anche se non provo sensi di inadeguatezza verso quel che faccio. I pescecani basta conoscerli per sapere che non sono tutti pericolosi.»

 Intervista a cura di Andrea Spinelli ✍

#lucenews #qn #ariete #sanremo2023
  • Più luce, meno stelle. Un paradosso, se ci pensate. Più illuminiamo le nostre città, più lampioni, fari, led, laser puntiamo sulla terra, meno stelle e porzioni di cielo vediamo. 

Accade perché, quasi senza accorgercene, di anno in anno, cancelliamo dalla nostra vista qualche decina di quei 4.500 puntini luminosi che in condizioni ottimali dovremmo riuscire a vedere la notte, considerato che il cielo risulta popolato da circa 9.000 stelle, di cui ciascuno di noi può osservare solo la metà per volta, ovvero quelle del proprio emisfero. 

In realtà, già oggi, proprio per colpa dell’inquinamento luminoso, ne vediamo solo poche centinaia. E tutto lascia pensare che questa cifra si ridurrà ulteriormente, con un ritmo molto rapido. Al punto tale che, in pochi anni, la costellazione di Orione, potrebbe perdere la sua caratteristica ‘cintura’.

Secondo quanto risulta da uno studio pubblicato su “Science”, basato sulle osservazioni di oltre 50mila citizen scientist, solo tra il 2011 e il 2022, ogni anno il cielo in tutto il Pianeta è diventato in media il 9,6% più luminoso, con una forchetta di valori che non supera il 10% ma non scende mai sotto il 7%. Più di quanto percepito finora dai satelliti preposti a monitorare la quantità di luce nel cielo notturno. Secondo le misurazioni effettuate da questi ultimi infatti, tra 1992 e 2017 il cielo notturno è diventato più luminoso di meno dell’1,6% annuo.

“In un periodo di 18 anni, questo tasso di cambiamento aumenterebbe la luminosità del cielo di oltre un fattore 4”, scrivono i ricercatori del Deutsches GeoForschungs Zentrum di Potsdam, in Germania, e del National Optical-Infrared Astronomy Research Laboratory di Tucson, negli Stati Uniti. Una località con 250 stelle visibili, quindi, vedrebbe ridursi il numero a 100 stelle visibili. 

Il pericolo più che fondato, a questo punto, è che di questo passo inizieranno a scomparire dalla nostra vista anche le costellazioni più luminose, comprese quelle che tuti sono in grado di individuare con estrema facilità.

L
  • Per la prima volta nella storia del calcio, un arbitro ha estratto il cartellino bianco. No, non si tratta di un errore: se il giallo e il rosso fanno ormai parte di tantissimi anni delle regole del gioco ed evidenziano un comportamento scorretto, quello bianco vuole invece "premiare", in maniera simbolica, un gesto di fair play. Il tutto è avvenuto in Portogallo, durante un match di coppa nazionale tra il Benfica e lo Sporting Lisbona femminile.

Benfica-Sporting Lisbona femminile, quarti di finale della Coppa del Portogallo. I padroni di casa si trovano in vantaggio per 3-0 e vinceranno la sfida con un netto 5-0, ma un episodio interrompe il gioco: un tifoso sugli spalti accusa un malore, tanto che gli staff medici delle due squadre corrono verso le tribune per soccorrerlo. Dopo qualche minuto di paura, non solo per le giocatrici in campo ma anche per gli oltre quindicimila spettatori presenti allo stadio, il supporter viene stabilizzato e il gioco può riprendere. Prima, però, la direttrice di gara Catarina Campos effettua un gesto che è destinato a rimanere nella storia del calcio: estrae il cartellino bianco nei confronti dei medici delle due squadre.

Il cartellino bianco non influenza in alcun modo il match, né il risultato o il referto arbitrale; chissà che, da oggi in poi, gli arbitri non cominceranno ad agire più spesso, per esaltare un certo tipo di condotta eticamente corretta portata avanti anche dai calciatori.

#lucenews #cartellinobianco #calcio #fairplay
  • Son tutte belle le mamme del mondo. Soprattutto… quando un bambino si stringono al cuor… I versi di un vecchio brano ricordano lo scatto che sta facendo il giro del web. Quella di una madre che allatta il proprio piccino sul posto di lavoro. In questo caso la protagonista è una supermodella –  Maggie Maurer – che ha postato uno degli scatti più teneri e glamour di sempre. La super top si è fatta immortalare mentre nutre al seno la figlia Nora-Jones nel backstage dello show couture di Schiaparelli, tenutosi a Parigi.

La top model americana 32enne, che della maison è già musa, tanto da aver ispirato una clutch – non proprio una pochette ma una borsa che si indossa a mano che riproduce il suo volto –  nell’iconico scatto ha ancora il viso coperto dal make-up dorato realizzato dalla truccatrice-star Path McGrath, ed è coperta solo sulle spalle da un asciugamano e un telo protettivo trasparente. 

L’immagine è forte, intensa, accentuata dalla vernice dorata che fa apparire mamma Maurer come una divinità dell’Olimpo, una creatura divina ma squisitamente terrena, colta nel gesto di nutrire il proprio piccolo.

Ed è un’immagine importante, perché contribuisce a scardinare lo stigma dell’allattamento al seno in pubblico, sul luogo di lavoro e in questo caso anche sui social, su cui esistono ancora molti tabù. L’intera gravidanza di Maggie Maurer è stata vissuta in chiave di empowerment, e decisamente glamour. Incinta di circa sei mesi, ha sfilato per Nensi Dojaka sfoggiando un capo completamente trasparente della collezione autunno inverno 2022, e con il pancione.

Nell’intimo post su Instagram, Maggie Maurer ha deciso quindi condividere con i propri follower la sua immagine che la ritrae sul luogo di lavoro con il volto dipinta d’oro, una parte del suo look, pocoprima di sfilare per la casa di moda italiana, Schiaparelli. In grembo, ha sua figlia, che sta allattando dietro le quinte della sfilata. Le parole scritte a finco della foto, la modella ha scritto “#BTS #mommy”, evidenziando il lavoro senza fine della maternità, nonostante i suoi successi.

di Letizia Cini ✍🏻

#lucenews #maggiemaurer #materintà #mommy
Tra Ronciglione e il Golfo Persico. Marco Mengoni si fa il test del Dna e, sorpresa, scopre di essere per il 35% italiano e per il 16% iraniano-iracheno, il resto sparso una miriade di genie diverse in piena sintonia, quindi, col meticciato musicale che trasuda dal nuovo album "Materia (Pelle)", secondo capitolo della trilogia avviata lo scorso autunno da "Materia (Terra)". "Lo vedo come un disco corale, con musica africana, sudamericana, elettronica" ammette. "In 'Ancora una volta' in cui riprendo dei madrigali. Tanta roba”. Il terzo e ultimo pilastro del progetto arriverà forse a primavera, prima del ritorno negli stadi che l’estate prossima lo vedrà il 20 giugno a Padova con tappe il 24 a Salerno, il 28 a Bari, il primo di luglio al Dall’Ara di Bologna e il 5 a Torino. Intanto l’eroe di "Tutti i miei ricordi", oltre al primo posto nell’airplay, si gode il tour nei palasport portato al debutto nei giorni scorsi a Mantova. S'è pure iscritto all’università, per studiare psicologia.
La cover di "Materia (Pelle)" secondo capitolo della trilogia di Marco Mengoni dopo "Materia (Terra)"
La parola chiave di questo nuovo disco disco è "apertura". Preoccupato dei venti contrari che spirano qua e là? "Non vorrei che alcuni principi in tema di diritti ormai assodati venissero rimessi in discussione e che alcuni estremisti del pensiero si sentissero in qualche modo legittimati. Soprattutto sul web. Pure da noi comincio a sentire discorsi strani e anacronistici che vorrebbero privare la donna della libertà di scegliere sul proprio corpo. Mi sembra di tornare indietro nel tempo. Ma non al '73, direttamente alla preistoria”. Dopo la terra, la pelle. "I sottotitoli di questa trilogia non li ho decisi prima, ma voglio farlo di volta in volta a lavoro finito. 'Pelle', ad esempio, l’ho scelto perché è il termine che mi fa pensare di più a questo agglomerato di canzoni e di influenze; un disco vissuto come quelle rughe e quelle cicatrici che ci rendono uno diverso dall’altro".
Marco Mengoni in tour nei Palasport prima della stagione estiva in cui tornerà negli stadi di tutta Italia  (Foto comunicarlo)
Tre dischi, tre anime diverse. "Un disco di questo tipo è un work in progress soggetto a continue modifiche, visto che a modificarsi nel tempo è pure il tuo pensiero". Il primo capitolo di "Materia" aveva una bella impronta soul e rhythm’n’blues, questo guarda anche altrove. "Una parte è un po’ clubby. Ci sono pure Mace, La Rappresentante di Lista, Bresh. Per questo lo vedo come un disco corale, con musica africana, sudamericana, ma anche canti gregoriani in 'Ancora una volta', in cui riprendo dei madrigali. Tanta roba, a tratti forse troppa”.
marco mengoni
Mengoni Live 2022 (Ph. Andrea Bianchera)
C’è pure Bersani. "Per me Samuele è una specie di fratello maggiore. Gli ho mandato 'Ancora una volta' solo per avere un giudizio e lui mi ha risposto: in questo pezzo vorrei esserci anch’io. Sinceramente, non considero il nostro incontro un duetto, né un feat, ma solo un regalo immenso che ha voluto farmi". Dovendo fare delle scelte, in una ideale playlist cosa metterebbe? "Siccome ci sono dei pezzi che hanno fatto crescere il disco aggregando via via attorno a loro poi tutti gli altri, partirei da 'Unatoka Wapi', che in lingua swahili significa 'Da dove vieni?' ed è un po' il manifesto del progetto, con un testo ispirato da Frantz Fanon, un antropologo e psichiatra anticolonialista molto attento nelle sue opere al rispetto della dignità della persona. Aggiungerei 'Ancora una volta' e 'Respira' perché raccontano bene l’idea del disco. Proprio i tre pezzi che all’inizio del progetto avevo messo nel cassetto pensando a questo secondo disco".
marco mengoni
Mengoni Live 2022 (Ph. Andrea Bianchera)
Tornerebbe a Sanremo? "Con il pezzo giusto, sì. Perché il Festival è tornato ad essere una bella vetrina in cui presentare la propria musica. Un po' come i Grammy in America. Ed è figo andare ai Grammy. È vero, all’Ariston ci sono una gara e una classifica, ma la storia ricorda che l’ultimo può avere successo in radio come il primo e quindi non è un problema. Per quanto mi riguarda, al momento non c’è niente però". "Caro amore lontanissimo" è un inedito di Sergio Endrigo inserito pure della colonna sonora di "Colibrì", il film di Francesca Archibugi che verrà presentato giovedì prossimo alla Festa del Cinema di Roma. "Me l’ha proposto Claudia Endrigo cinque anni fa. Il padre l’aveva abbozzato nel ’73 con Riccardo Sinigallia l’abbiamo ripreso e completato. Ritengo una magia il fatto di averlo in questo disco e nel film perché, avendo un arrangiamento orchestrale e una scrittura diversa da quella di oggi, finora non ero riuscito a trovargli un senso. Diciamo che sta in quel mio 35% italiano".
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