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Perché le trentenni non sono donne per coppie? "Odio il Natale" lo spiega bene

La serie su Netflix mette al centro le donne e dimostra con semplicità che gli stereotipi sociali sono un'astrazione che spesso si scontra con la realtà dei fatti

di MARGHERITA AMBROGETTI DAMIANI -
18 dicembre 2022
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Su Netflix è sbarcata una serie che, a dispetto del titolo, ha molto a che fare con questioni politiche e sociali che ci riguardano (e manco poco). "Odio il Natale" è uno di quei prodotti che, sotto mentite spoglie, ci guardano dritti negli occhi e ci spiegano - con parole semplicissime - che costruire una società (in senso stretto) un po’ più giusta di quella in cui siamo inseriti è quantomeno pensabile. Sei episodi da una mezz’ora circa con lo scintillio del Natale in una Venezia – a tratti – inedita, perfetta per il mai fuori moda "basta che funzioni". Sullo sfondo il richiamo a "Love Actually", un capolavoro della commedia all’inglese che racconta l’amore – e tutti i suoi derivati – per quello che sono e non per quello che vorremmo diventassero. Al netto della bravura di Pilar Fogliati – Gianna, nella serie – e di un cast costellato di volti più o meno noti della serialità all’italiana, "Odio il Natale" è un piccolo grande capolavoro prodotto da Matilde e Luca Bernabei e diretto da Davide Mardegan e Clemente De Muro, capace di spiegarci in un paio di sere un concetto abbastanza complesso da interiorizzare: gli stereotipi sociali sono un’astrazione che, il più delle volte, va a sbattere con la realtà dei fatti. E quale miglior momento per dimostrare plasticamente questa teoria del periodo dell’anno in cui siamo – o dovremmo ambire a essere – tutti più buoni?

"Odio il Natale" è una serie su Netflix in sei puntate prodotta da Matilde e Luca Bernabei e diretto da Davide Mardegan e Clemente De Muro

La protagonista della situazione è Gianna. Trentenne non sposata, né accompagnata, né madre, fidanzata, compagna. Una donna, giovane, felice, realizzata. E, a detta dei più, sola. Una faccenda complicata da risolvere a tre settimane dalla cena di Natale in cui, per convenzione e convinzione, si sta in coppia. Avete presente la retorica secondo la quale il mondo sarebbe fatto per due, quella della metà della mela o, ancor peggio, del “si è completi solo in due”? In "Odio il Natale", con tutta la delicatezza possibile, avviene lo smembramento totale di questi pilastri della nostra società, dimostrando che una donna è donna anche senza una famiglia, che i sentimenti sono più complicati di come appaiono (soprattutto a Natale), che la stabilità di coppia, molto spesso, comporta sacrifici, accomodamenti e piccole infelicità quotidiane che, se non curate, rischiano di esplodere, scatenando inaspettati - ma neanche poi così tanto - conflitti termonucleari. Un’operazione verità quella di Odio il Natale che mette al centro, manco a farlo di proposito, il ruolo delle donne nel (loro) mondo e la loro eterna lotta ai ruoli standardizzati che, secondo qualcuno a seconda delle circostanze, dovrebbero interpretare. Una trasposizione in chiave molto pop dei principi di un femminismo che, ancora oggi, fa fatica ad attecchire. Elemento da non trascurare riguarda l’anagrafe della protagonista. Perché non è affatto vero che le cose oggi sono cambiate. La crisi sociale da cui non riusciamo a trovare via d’uscita rischia di far fare alle donne passi indietro anche nel rapporto di coppia. E le giovani e giovanissime non sono certo esenti da tale dinamica, anzi. Bene, quindi, parlarne. Molto più che bene raccontare modelli diversi, giusti, sani. Storie di donne che sole sono complete, che non hanno bisogno dell’altra metà della mela, il cui mondo non è fatto per due ma che, al momento giusto, è pronto per ospitare persone pronte a condividere e non invadere, che siano compagni di vita, di cammino o di una sera. Quello di "Odio il Natale" è un racconto positivo e semplice del femminismo. Non privo di piccole circostanze stereotipate, è vero. Ma se di trasposizione del reale bisogna parlare, forse è bene mettere da parte l’ipocrisia e non allontanarsi troppo da ciò che è, fosse anche solo per trovare meglio il bivio a cui svoltare. Non abbiamo a che fare con un trattato di filosofia, è indubbio. Ma, di sicuro, a chi capiterà di vederlo difficilmente non uscirà un sorriso consapevole.