Olimpiadi? I Cinque cerchi sono anche quelli di separazione. Storie di barriere di genere infrante

Nello sport è ancora presente una disparità di trattamento tra uomini e donne. Ma il divario si sta assottigliando, grazie alle conquiste degli ultimi anni

di GIOVANNI BOGANI
3 gennaio 2023
film-la-battaglia-dei-sessi

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Si chiama "Cinque cerchi di separazione. Storie di barriere di genere infrante dallo sport". È il libro che Federico Greco, storico dello sport e creatore del sito calcioromantico.com, ha pubblicato per Paginauno. Racconta storie di donne e di sport: la storia di una discriminazione di genere in alcuni casi vinta. Le donne stanno conquistando traguardi sempre più importanti. Dal 1° luglio di quest’anno le calciatrici della serie A possono avere contratti professionistici: insieme alle golfiste, sono le sole atlete professioniste nel nostro Paese.

Sara Gama e Barbara Bonansea, calciatrici della Juventus e della nazionale italiana, da luglio potranno avere contratti professionistici come tutte le giocatrici della Serie A

La storia della conquista dello sport da parte delle donne parte, come ricostruisce nel suo libro Federico Greco, da molto lontano. E si incrocia da sempre con due altre discriminazioni: quella razziale e quella di classe. De Coubertin, l’inventore delle moderne Olimpiadi, immaginava un atleta bianco e aristocratico, o quanto meno benestante: qualcuno che non aveva bisogno di guadagnare dallo spot. Le donne? Le donne erano tenute lontane dallo sport, che – si pensava – poteva pregiudicare la loro funzione considerata più importante: la fertilità e la maternità. Ma già dalle Olimpiadi di Parigi del 1900 le donne vennero ammesse ad alcune specialità: gli sport "eleganti", quelli nei quali lo sforzo fisico sembrava minore. Alle prossime Olimpiadi di Parigi, che si terranno nel 2024, 124 anni dopo, per la prima volta il numero di atleti maschi e femmine sarà uguale. Ma i "cinque cerchi di separazione" di cui parla Federico Greco includono anche molte storie di discriminazione, di obiettivi non raggiunti, di rifiuti.

Kathrine Switzer fu tra le prime donne a correre una maratona, quella di Boston del 1967, ma venne fermata durante la corsa quando i giudici scoprirono che era una donna

Stamata Revithi, una donna greca, voleva correre la Maratona alle Olimpiadi di Atene del 1896: le fu proibito di partecipare. E non andò meglio, nel 1967, a Kathrine Switzer che si iscrisse alla Maratona di Boston come K.V. Switzer: appena si resero conto che si trattava di una donna, i giudici la spinsero letteralmente fuori dal percorso. Sei anni dopo, sulla terra battuta sarebbe andata in scena quella partita di tennis mitica – e, in molti sensi, epocale – che oppose la campionessa Billie Jean King al maschio Bobby Riggs: era il 1973, e la partita – trasmessa in tv – fu conosciuta come "la battaglia dei sessi". Mentre, per quanto riguarda la discriminazione razziale, ci pensò Althea Gibson, nel 1956, prima afroamericana a vincere un Grande Slam, aggiudicandosi il Roland Garros. Ci sono, oggi, altre questioni. Quella del non binarismo, cioè delle persone che non si identificano nelle categorie uomo/donna, esplosa con il caso della sudafricana Caster Semenya, campionessa olimpica degli 800 metri piani, e tre volte campionessa mondiale della stessa specialità. Nel 2009 fu costretta a eseguire un test del sesso, i cui risultati non vennero resi noti, a tutela della sua privacy: ma i risultati del test le permisero di tornare a gareggiare con effetto immediato. C’è la questione dell’assenza di donne nei ruoli dirigenziali dello sport: e ovviamente, il gender pay gap, la differenza di retribuzione fra uomini e donne che fanno lo stesso sport, raggiungono gli stessi traguardi, ma non guadagnano gli stessi soldi.