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Home » Attualità » Massimiliano chiede il suicidio assistito: “Intrappolato in un corpo che non funziona più”

Massimiliano chiede il suicidio assistito: “Intrappolato in un corpo che non funziona più”

Toscano, 44 anni, affetto da sclerosi multipla. L'uomo lancia il suo disperato appello con un video diffuso dall'associazione Luca Coscioni

Marianna Grazi
5 Dicembre 2022
"Vorrei essere aiutato a morire a casa mia": questo l'appello lanciato in un video - diffuso dall'associazione Coscioni - da "Massimiliano, toscano, 44 anni, da 6 anni affetto da sclerosi multipla" (ANSA)

"Vorrei essere aiutato a morire a casa mia": questo l'appello lanciato in un video - diffuso dall'associazione Coscioni - da "Massimiliano, toscano, 44 anni, da 6 anni affetto da sclerosi multipla" (ANSA)

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“Vorrei essere aiutato a morire a casa mia“. Dopo una vita trascorsa tra le mura di quell’abitazione, anni di gioie e dolori, di emozioni, persone e incontri, quello che “Massimiliano, toscano, 44 anni, da 6 anni affetto da sclerosi multipla” vorrebbe è solo poter chiudere gli occhi per sempre in quell’ambiente familiare. In un video diffuso dall’associazione Luca Coscioni l’uomo lancia questo disperato appello, un ultimo desiderio di chi non ha più la forza di lottare e chiede allo Stato italiano soltanto di lasciarlo libero di scegliere come e dove morire.

 

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Un post condiviso da Associazione Luca Coscioni (@associazione_luca_coscioni)

A causa della sua malattia, la sclerosi multipla appunto, Massimiliano non è “più autonomo in niente” e “peggiora giorno dopo giorno”. Il 44enne vive con il padre, di 80 anni. “- spiega – se non avessi paura del dolore, avrei già provato a togliermi la vita più di un anno fa, per questo vorrei essere aiutato a morire senza soffrire in Italia ma non posso perché non dipendo da trattamenti vitali”. “Sto pensando di andare in un altro Paese“, aggiunge. Sono sempre di più le persone che, in effetti, scelgono di recarsi in Svizzera, dove l’eutanasia è legale, per il loro ultimo viaggio. A volte grazie all’aiuto della stessa associazione Coscioni, e in particolare del tesoriere Marco Cappato, co-protagonista di alcuni degli ultimi casi di accompagnamento al fine vita nonché del più famoso alle cronache italiane, quello di dj Fabo. Nel video Massimiliano ha accanto il babbo: “Tutte le persone che mi vogliono bene rispettano questa scelta – spiega il 44enne -. I miei amici, le mie sorelle… anche mio padre. Fratelli di questa Italia io non credo più in questo Stato, se voi ci credete ancora, fate qualcosa ma fatelo subito”, implora. “Per amor di Dio, per amore” le parole dell’anziano genitore pronunciate in chiusura del video.

La Coscioni, nella nota che accompagna il filmati, diffuso anche sui social, spiega che “sono in costante aumento le richieste di aiuto, in tema di fine vita” che ogni giorno arrivano loro: “Negli ultimi 12 mesi sono oltre 9700 le persone che hanno chiesto informazioni sul fine vita. In particolare, più di 20 persone al mese (quasi una persona al giorno) hanno chiesto informazioni e il modulo per accedere al suicidio medicalmente assistito in Italia o contatti con le associazioni Svizzere”. Tra loro appunto Massimiliano che, non essendo “tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale”, non rientra nei casi previsti dalla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale sul caso Cappato\Dj Fabo per l’accesso alla procedura nel nostro Paese. Come invece accaduto a Federico Carboni, primo, e al momento unico, malato che è riuscito in quella che appare in tutto e per tutto come un’impresa. Il suo caso è stato una chiave di volta in Italia, dal quale hanno preso esempio e tratto speranza altri uomini e donne, con le loro malattie, le loro sofferenze, i loro desideri espressi ma ancora inesauditi. Tra i quali il marchigiano ‘Antonio’ (per il quale è già stato scelto il farmaco da utilizzare) e il vicentino Stefano Gheller, ma come dimostrano i dati sono davvero tante le persone che vogliono almeno avere la possibilità di scegliere se continuare in Italia la loro battaglia.

Marco Cappato
Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Coscioni

Cappato, tesoriere dell’associazione Coscioni, commenta così il nuovo caso di appello: “Dopo l’accompagnamento di Romano – l’82enne con cui si è recato pochi giorni fa in Svizzera per il suicidio assistito – e la mia autodenuncia, i capi dei partiti e i rappresentanti del Governo hanno scelto la strada del silenzio assoluto, forse nella speranza che noi prima o poi ci fermeremo o che la questione possa essere spazzata sotto il tappeto. Noi invece andiamo avanti. Insieme agli altri componenti dell’Associazione Soccorso civile, Mina Welby e Gustavo Fraticelli, chiediamo la partecipazione di altre persone che si vogliano assumere la responsabilità di aiutare chi chiede di interrompere la tortura di Stato nei loro confronti”.

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  • Nicoletta Sipos, giornalista e scrittrice, ha vissuto in Ungheria, in Germania e negli Stati Uniti, prima di raggiungere Milano e lì restare. Il suo romanzo “La guerra di H”, un romanzo fortemente ispirato a fatti realmente accaduti.

L’autrice indaga in maniera del tutto nuova e appassionante un momento drammatico, decisivo della storia del nostro continente: la Seconda guerra mondiale. A raccontare l’ascesa e la disfatta del Nazismo è stavolta la voce di un bambino tedesco, che riporta con semplicità e veracità le molte sofferenze patite dal suo popolo durante il conflitto scatenato da Hitler, focalizzando l’attenzione del lettore sul drammatico paradigma che accomuna chiunque si trovi a vivere sulla propria pelle una guerra: la sofferenza. Pagine toccanti, le sue, tanto più intense perché impregnate di fatti reali, emozioni provate e sentite dai protagonisti e condivise da quanti, tuttora, si trovano coinvolti in un conflitto armato. La memoria collettiva è uno strumento potente per non commettere gli stessi errori. 

"Imparai poco alla volta – scrive il piccolo Heinrich Stein, protagonista del romanzo – che nel nostro strano Paese la verità aveva più volti con infinite sfumature”.

👉Perché una storia così e perché ora?
“Ho incontrato il protagonista di questa mia storia molto tempo fa, addirittura negli anni ’50, ossia in un’epoca che portava ancora gli strascichi della guerra. Diventammo amici, parlammo di Hitler e della miseria della Germania. Poco per volta, via via che ci incontravamo, lui aggiungeva ricordi, dettagli, confessioni. Per anni ho portato dentro di me la testimonianza di questa storia che si arricchiva sempre più di dettagli. Molte volte avrei voluto scriverla, magari a quattro mani con il mio amico, ma lui non se la sentiva. Io stessa esitavo ad affrontare questa storia che racconta una famiglia tedesca in forte sofferenza in una Germania ferita e umiliata. La gente ha etichettato tutto il popolo tedesco durante il nazismo come crudele per antonomasia. Non si pensa mai a quanto la gente comune abbia sofferto, alla fame e al freddo che anche il popolo tedesco ha patito”.

✍ Caterina Ceccuti

#lucenews #giornodellamemoria #27gennaio
  • È dalla sua camera con vista affacciata sull’Arno che Ornella Vanoni accetta di raccontare un po’ di sé ai lettori di Luce!, in attesa di esibirsi, sabato 28 gennaio sul palco della Tuscany Hall di Firenze, dov’è in programma una nuova tappa della nuova tournée Le Donne e la Musica. Un ritorno atteso per Ornella Vanoni, che in questo tour è accompagnata da un quintetto di sole donne.

Innanzitutto come sta, signora Vanoni?
“Stanca, sono partita due mesi dopo l’intervento al femore che mi sono rotto cadendo per una buca proprio davanti a casa mia. Ma l’incidente non mi ha impedito di intraprendere un progetto inaspettato che, sin da subito, mi è stato molto a cuore. Non ho perso la volontà di andare avanti. Anche se il tempo per prepararlo e provare è stato pochissimo. E poi sono molto dispiaciuta“.

Per cosa?
“La morte dell’orso Juan Carrito, travolto e ucciso da un’auto cercava bacche e miele: la mia carissima amica Dacia (Maraini, ndr) l’altro giorno ha scritto una cosa molto bella dedicata a lui. Dovrò scrollarmi di dosso la malinconia e ricaricarmi in vista del concerto“.

Con lei sul palco ci sarà una jazz band al femminile con Sade Mangiaracina al pianoforte, Eleonora Strino alla chitarra, Federica Michisanti al contrabbasso, Laura Klain alla batteria e Leila Shirvani. Perché questa scelta?
“Perché sono tutte bravissime, professioniste davvero eccezionali. Non è una decisione presa sulla spinta di tematiche legate al genere o alle quote rosa, ma nata grazie a Paolo Fresu, amico e trombettista fantastico del quale sono innamorata da sempre. Tempo fa, durante una chiacchierata, Paolo mi raccontò che al festival jazz di Berchidda erano andate in scena tante musiciste bravissime. E allora ho pensato: ’Se sono così brave perché non fare un gruppo di donne? Certo, non l’ha fatto mai nessuno. Bene, ora lo faccio io“.

Il fatto che siano tutte donne è un valore aggiunto?
“In realtà per me conta il talento, ma sono felice della scelta: è bellissimo sentire suonare queste artiste, vederle sul palco intorno a me mi emoziona“.

L
  • Devanshi Sanghvi è una bambina di otto anni che sarebbe potuta crescere e studiare per gestire l’attività di diamanti multimilionaria appartenente alla sua facoltosissima famiglia, con un patrimonio stimato di 60 milioni di dollari.

Ma la piccola ha scelto di farsi suora, vivendo così una vita spartana, vestita con sari bianchi, a piedi nudi e andando di porta in porta a chiedere l’elemosina. Si è unita ai “diksha” alla presenza di anziani monaci giainisti. La bimba è arrivata alla cerimonia ingioiellata e vestita di sete pregiate. Sulla sua testa poggiava una corona tempestata di diamanti. Dopo la cerimonia, a cui hanno partecipato migliaia di persone, è rimasta in piedi con altre suore, vestita con un sari bianco che le copriva anche la testa rasata. Nelle fotografie, la si vede con in mano una scopa che ora dovrà usare per spazzare via gli insetti dal suo cammino per evitare di calpestarli accidentalmente.

Di Barbara Berti ✍

#lucenews #lucelanazione #india #DevanshiSanghvi
  • Settanta giorni trascorsi in un mondo completamente bianco, la capitana dell’esercito britannico Harpreet Chandi, che già lo scorso anno si era distinta per un’impresa tra i ghiacci, è una fisioterapista che lavora in un’unità di riabilitazione regionale nel Buckinghamshire, fornendo supporto a soldati e ufficiali feriti. 

Ha dimostrato che i record sono fatti per essere battuti e, soprattutto, i limiti personali superabili grazie alla forza di volontà e alla preparazione. E ora è diventata una vera leggenda vivente, battendo il record del mondo femminile per la più lunga spedizione polare – sola e senza assistenza – della storia.

Il 9 gennaio scorso, 57esimo giorno del viaggio che era cominciato lo scorso 14 novembre, la 34enne inglese ha raggiunto il centro del Polo Sud dopo aver percorso circa 1100 chilometri. Quando è arrivata a destinazione nel bel mezzo della calotta polare era felice, pura e semplice gioia di aver raggiunto l’agognato traguardo: “Il Polo Sud è davvero un posto incredibile dove stare. Non mi sono fermata molto a lungo perché ho ancora un lungo viaggio da fare. È stato davvero difficile arrivare qui, sciando tra le 13 e le 15 ore al giorno con una media di 5 ore di sonno”.

Di Irene Carlotta Cicora ✍

#lucenews #lucelanazione #polosud #HarpreetChandi #polarpreet
"Vorrei essere aiutato a morire a casa mia". Dopo una vita trascorsa tra le mura di quell'abitazione, anni di gioie e dolori, di emozioni, persone e incontri, quello che "Massimiliano, toscano, 44 anni, da 6 anni affetto da sclerosi multipla" vorrebbe è solo poter chiudere gli occhi per sempre in quell'ambiente familiare. In un video diffuso dall'associazione Luca Coscioni l'uomo lancia questo disperato appello, un ultimo desiderio di chi non ha più la forza di lottare e chiede allo Stato italiano soltanto di lasciarlo libero di scegliere come e dove morire.
 
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Un post condiviso da Associazione Luca Coscioni (@associazione_luca_coscioni)

A causa della sua malattia, la sclerosi multipla appunto, Massimiliano non è "più autonomo in niente" e "peggiora giorno dopo giorno". Il 44enne vive con il padre, di 80 anni. "- spiega - se non avessi paura del dolore, avrei già provato a togliermi la vita più di un anno fa, per questo vorrei essere aiutato a morire senza soffrire in Italia ma non posso perché non dipendo da trattamenti vitali". "Sto pensando di andare in un altro Paese", aggiunge. Sono sempre di più le persone che, in effetti, scelgono di recarsi in Svizzera, dove l'eutanasia è legale, per il loro ultimo viaggio. A volte grazie all'aiuto della stessa associazione Coscioni, e in particolare del tesoriere Marco Cappato, co-protagonista di alcuni degli ultimi casi di accompagnamento al fine vita nonché del più famoso alle cronache italiane, quello di dj Fabo. Nel video Massimiliano ha accanto il babbo: "Tutte le persone che mi vogliono bene rispettano questa scelta - spiega il 44enne -. I miei amici, le mie sorelle... anche mio padre. Fratelli di questa Italia io non credo più in questo Stato, se voi ci credete ancora, fate qualcosa ma fatelo subito", implora. "Per amor di Dio, per amore" le parole dell'anziano genitore pronunciate in chiusura del video. La Coscioni, nella nota che accompagna il filmati, diffuso anche sui social, spiega che "sono in costante aumento le richieste di aiuto, in tema di fine vita" che ogni giorno arrivano loro: "Negli ultimi 12 mesi sono oltre 9700 le persone che hanno chiesto informazioni sul fine vita. In particolare, più di 20 persone al mese (quasi una persona al giorno) hanno chiesto informazioni e il modulo per accedere al suicidio medicalmente assistito in Italia o contatti con le associazioni Svizzere". Tra loro appunto Massimiliano che, non essendo "tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale", non rientra nei casi previsti dalla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale sul caso Cappato\Dj Fabo per l'accesso alla procedura nel nostro Paese. Come invece accaduto a Federico Carboni, primo, e al momento unico, malato che è riuscito in quella che appare in tutto e per tutto come un'impresa. Il suo caso è stato una chiave di volta in Italia, dal quale hanno preso esempio e tratto speranza altri uomini e donne, con le loro malattie, le loro sofferenze, i loro desideri espressi ma ancora inesauditi. Tra i quali il marchigiano 'Antonio' (per il quale è già stato scelto il farmaco da utilizzare) e il vicentino Stefano Gheller, ma come dimostrano i dati sono davvero tante le persone che vogliono almeno avere la possibilità di scegliere se continuare in Italia la loro battaglia.
Marco Cappato
Marco Cappato, tesoriere dell'associazione Coscioni
Cappato, tesoriere dell'associazione Coscioni, commenta così il nuovo caso di appello: "Dopo l'accompagnamento di Romano - l'82enne con cui si è recato pochi giorni fa in Svizzera per il suicidio assistito - e la mia autodenuncia, i capi dei partiti e i rappresentanti del Governo hanno scelto la strada del silenzio assoluto, forse nella speranza che noi prima o poi ci fermeremo o che la questione possa essere spazzata sotto il tappeto. Noi invece andiamo avanti. Insieme agli altri componenti dell'Associazione Soccorso civile, Mina Welby e Gustavo Fraticelli, chiediamo la partecipazione di altre persone che si vogliano assumere la responsabilità di aiutare chi chiede di interrompere la tortura di Stato nei loro confronti".
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