Bari, la scuola media Massari-Galilei approva la carriera alias per uno studente transgender

È il primo istituto a riconoscerla in città, aggiungendosi a licei e università che avevano già accolto la misura. Ma la strada per il riconoscimento dei diritti è ancora lunga

di DOMENICO GUARINO -
15 settembre 2022
carriera alias

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Una intensa e persistente sofferenza causata dal sentire la propria identità di genere diversa dal proprio sesso: è la disforia di genere, una condizione che accomuna persone che si sentono/vivono come una donna, ma sono di sesso biologico maschile, o viceversa, ed altre che non si sentono di non appartenere a nessuno dei due generi, maschile e femminile. In una società rigidamente organizzata su criteri binari, è un bel problema. Soprattutto nella fasi più delicate della vita, quelle dell’infanzia e dell’adolescenza, quando il rischio di scontrarsi con diffidenze, se non ostilità, incomprensioni, facili ironie e vero e proprio bullismo, è molto alto. Per fortuna le cose stanno cambiando, anche in Italia. E anche al Sud, terra tradizionalmente più refrattaria ai mutamenti che coinvolgono la sfera della sessualità. Come nel caso della scuola media Massari-Galilei di Bari che ha riconosciuto l’identità di genere di un suo studente trans.

Nicola potrà sentirsi riconosciuto ma è solo un primo passo

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Alla scuola media Massari-Galilei di Bari attivata per la prima volta la carriera alias per uno studente in transizione di genere

È la prima volta in città, e una delle primissime in Italia, per un istituto di istruzione secondaria. La notizia è stata resa nota da Mixed, associazione barese che si occupa di diritti Lgbtqia+. Protagonista della vicenda Nicola (nome di fantasia) un ragazzino di 12 anni e mezzo la cui identità di genere non corrisponde con i dati che ha sui documenti, e neanche con quelli della sua scuola. Grazie al supporto della famiglia, delle associazioni, ed alla sensibilità della scuola, ora Nicola ha conquistato il diritto, apparentemente minore, ma di straordinario valore simbolico e pratico, di vedersi riconosciuto per quel che è. La scuola ha infatti accolto la richiesta dei genitori, completa dei certificati che l’iter di affermazione di genere (ancora fortemente medicalizzato in Italia) impone, e così il ragazzo potrà sentirsi chiamare col nome che sente più proprio. A Bari la carriera alias è finora riconosciuta dall’Università e dal Politecnico, di recente anche un paio di istituti superiori si sono mossi nella stessa direzione (il liceo scientifico Scacchi e il Giulio Cesare). Il nuovo anno scolastico è appena iniziato (il 14 settembre) e anche la scuola media Massari-Galilei ha deciso di approvare la stessa misura: il diritto al nome e all’identità personale prescelti dalla persona che non riconosce come propri quelli indicati dai documenti di nascita. In due parole, il diritto alla carriera alias. Tutto bene quel che finisce bene dunque? Sì e no. Perché il percorso per il pieno riconoscimento di questo tipo di diritti è ancora lungo nel nostro Paese, come ben sappiamo. E soprattutto perché la cultura di base è ancora molto permeata dai rigidi schemi eteronormativi, binari, come dall’incomprensione (nella migliore delle ipotesi) o dalla violenza (nella peggiore) con cui vengono accolte le persone che non si riconoscono nella tradizionale strutturazione dei generi.

Un percorso difficile dentro e fuori

Nicola, che ha dovuto fare i conti anche con il bullismo spietato dei coetanei, ora è sereno. È stato fortunato soprattutto perché, come dicevano, ha avuto una famiglia che lo ha sempre capito e appoggiato, non forzandolo e non disconoscendo la sua identità. Ma quante famiglie sono così? E poi c’è il mondo fuori. E quello dentro. Quando Nicola si è dovuto confrontare infatti con la trasformazione del suo corpo da bambina "è arrivata una depressione molto forte che lo portava a non dormire la notte, ad avere attacchi d’ansia e problemi respiratori" racconta la mamma. Che aggiunge: "Spero, e mi auguro, che altri ragazzi e adolescenti riescano ad aver approvata la carriera alias e non vivere il disagio di venire chiamati con il nome di nascita e non quello di elezione, di dover fare un continuo coming out con i supplenti o con chi non li conosce, perché è una persistente violenza. Sento di tanti ragazzi che vengono buttati fuori casa, ma non ha senso. I figli non sono il prolungamento di noi stessi, noi li mettiamo al mondo e siamo onorati di crescerli, ma la vita è la loro”.