Più conservatore di così è dura: l’Ungheria limita l’accesso alla pratica della fecondazione in vitro. Il Paese guidato da Viktor Orban, si legge infatti nel parere motivato dell’Ue, che ha avviato contro il governo di Budapest una procedura di infrazione, dal giugno 2022 “ha smesso di consentire agli operatori privati di fornire trattamenti per la fertilità sul suo territorio. Queste restrizioni violano” i trattati comunitari e “non sono giustificati da alcuna considerazione di interesse pubblico". Budapest ha due mesi di tempo per rispondere e adottare le misure necessarie. In caso contrario, Bruxelles può decidere di deferire il caso alla Corte di giustizia Ue.
Il governo conservatore di Orban
La stretta alla procreazione medicalmente assistita rientra in un programma più ampio portato avanti dall’esecutivo magiaro, che da anni combatte la sua battaglia contro la comunità Lgbtq+ (anche in questo caso c’erano stati ‘scontri’ tra il governo statale e quello dell’Ue), contro l’aborto (qui è infatti in vigore la dibattuta legge “sul battito fetale”) e contro tutto ciò che non rientra nel canone di quella che viene considerata la norma, della famiglia tradizionale. La Commissione europea ha deciso di inviare quindi un parere motivato all'Ungheria (INFR(2024)4001) per aver limitato i servizi di fecondazione assistita nelle cliniche e negli ospedali statali e per aver vietato agli operatori privati di fornire trattamenti per la fertilità sul suo territorio.
Il parere della Commissione europea
“Tali restrizioni – spiegano da Bruxelles – violano la libertà di stabilimento, conformemente all'articolo 49 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Secondo la Commissione, la restrizione ungherese non è giustificata da alcuna considerazione di interesse pubblico. La misura non serve alla tutela della salute pubblica e dell'ordine pubblico come sostenuto dalle autorità ungheresi. Non vi sono prove che la sicurezza e il livello di qualità della riproduzione medicalmente assistita non fossero garantiti dai fornitori di servizi privati prima di giugno 2022”.
La misura, secondo la Commissione “non sembra migliorare l'accesso alla riproduzione medicalmente assistita in quanto ha ridotto il numero di fornitori di servizi. Pertanto, la Commissione ha deciso di inviare un parere motivato all'Ungheria, che ora ha due mesi per rispondere e adottare le misure necessarie. In caso contrario, la Commissione potrebbe decidere di deferire il caso alla Corte di giustizia dell'Unione europea".