Ricorre questo 6 gennaio
l’anniversario della morte di uno dei più grandi artisti di tutti i tempi: sono infatti
30 anni dalla scomparsa del grande ballerino russo
Rudolf Nureyev, il
celebre ballerino che ha segnato il confine tra il passato e il presente della danza. Ma Nureyev in teatro non fu solo ballerino, ebbe anche altre carriere che non avranno raggiunto lo stesso successo, ma in cui comunque eccelse: fu anche coreografo, attore, direttore artistico teatrale e infine direttore d’orchestra.
Franz Moser ricorda Nureyev
Rudolf Nureyev è stato un famosissimo ballerino russo scomparso il 6 gennaio 1993
A raccontarci di questo personaggio straordinario,
uno dei suoi più cari amici: Franz Moser, avvocato e regista austro-olandese, che da quasi vent’anni anni vive in Toscana, di cui la metà sulle colline di Scandicci. Moser ne fu il manager proprio in questa sua ultima, breve e più sconosciuta carriera. Si conobbero due anni prima della sua morte, nel gennaio del 1991, quando Wilhelm Hübner, presidente dei Wiener Philharmoniker si recò da Moser, che aveva fondato nell’85 la Wiener Residenz Orchester, con una proposta: "Mi disse che c’era un celebre personaggio che gli aveva chiesto di dirigere i suoi Wiener Philharmoniker, ma Wilhem aveva dovuto dire di no – ricorda –. Così aveva pensato alla mia
orchestra. Quando gli chiesi chi era e mi rispose ‘Rudolf Nureyev’, mi emozionai: avevo visto per la prima volta Nureyev nel 1968, avevo dodici anni. Ero con mia madre alla Wiener Staatsoper e rimasi incantato nel vederlo
ballare con Paolo Bortoluzzi; ricordo ancora le mani rosse e bollenti che avevo uscendo da teatro, lo avevamo applaudito per 45 minuti – prosegue Moser –. Cosa incredibile, è la coincidenza che ci fu tra questo inizio e la sua fine: vissero esattamente gli stessi anni. Bortoluzzi era nato il 17 maggio 1938 ed è morto 15 ottobre 1993, Rudolf è nato il 17 Marzo 1938, morto il 6 Gennaio 1993. Finalmente, due mesi dopo, ci conoscemmo. Lo ricordo ancora scendere le scale del magnifico teatro barocco, tutto vestito in verde in abiti Missoni, aveva un mantello elegante e maestoso, con passi nobili e plastici: ebbi
la sensazione di veder scendere un re. Appena ci stringemmo la mano, sentì calore ed energia pervadermi il corpo: capii subito che tra noi sarebbe nato qualcosa di grande", racconta.
L'esperienza della povertà e la paura di morire di fame
Rudlph Nureyev al leggio
Passano due anni incredibili, il rapporto di lavoro diventa ben presto una grande amicizia e Nureyev,
così forte sul palco,
si rivela fragile a volte, come un bambino nelle incombenze quotidiane: "Era una persona molto richiesta, ricca, ma per la dura storia che si portava alle spalle, Rudolf era un uomo che dava raramente la sua fiducia: era
scappato dalla dittatura sovietica, che lo aveva braccato. E aveva conosciuto la povertà: la cicatrice che per sempre ha segnato il suo labbro, era dovuta al fatto che da bambino aveva lottato con un cane per strappargli un pezzo di pane. La
paura di morire di fame lo ha rincorso per tutta la vita, anche quando era all’apice della ricchezza. Durante un viaggio in Russia, prima della partenza, mi chiese due borse di salsicce - prosegue il regista -: aveva paura di non trovare cibo lì (dall’87aveva avuto un’amnistia da Gorbachov e poté riabbracciare sua madre che lo aveva partorito in treno, sulla transiberiana: una vita speciale, non può che iniziare con una nascita speciale)". "Per quanti soldi avesse - aggiunge Franz Moser -, non spendeva in follie, quell’infanzia di ristrettezze aveva lasciato la sua traccia. Lo accompagnai a Berlino, dove Thomas Gottschalk, il più famoso conduttore televisivo di quegli anni, lo avrebbe intervistato su questa sua ultima e nuova
carriera di direttore d’orchestra. In quella puntata conoscemmo anche Gerhard Bergher, il pilota della Formula Uno in Ferrari. Prima di recarci agli studios, notai che le scarpe di Rudolf erano consumate, non poteva presentarsi davanti alle telecamere con quelle, e lo portai a comprarsene un paio nuove al Kurfürstendamm, il quartiere più fashion di Berlino. Portava il 43 ma scelse un modello di stivaletti di cui c’era solo il 42. Io gli dissi che gli sarebbero andati scomodi. Mi rispose 'Li prendo per la bellezza' e li portò per sempre, fino alla fine dei suoi giorni", racconta. "
Non si fidava di nessuno, molti volevano approfittarsi della sua ricchezza e della sua fama. Però si fidava di me. Cominciò con l’affidarmi gli insegnanti dell'orchestra, che scelsi insieme a Hübner. Hübner era un’altra delle poche persone di cui si fidava, lo chiamava papà. Alla fine amministravo quasi tutto di lui, anche da ultimo, quando stava male. E poi, in quel periodo c’era anche la sua più grande amica, Douce Francois".
Grande fino alla fine: "Io fregherò l’Aids"
Rudolf Nureyev conobbe, nel corso della sua vita, anche la povertà e la fame (Foto Barbaglia)
Si dimostrò comunque grande, fino alla fine: "Sembrava fregarsene di quella infezione che non gli lasciò scampo: ‘
Aids wonna fuck me, I’m gonna fuck Aids' (l’Aids mi vuole fregare, ma io fregherò l’Aids), diceva. Pareva molto presuntuoso, ma dentro aveva paura - lo descrive Moser - tuttavia sul palco
non mostrò mai debolezza. A Deauville, nei camerini, Rudolf era debolissimo, ma nel momento in cui vide i fotografi, fu pervaso da una forza incredibile, si dimostrò il re del palcoscenico come sempre. Quando uscì, febbricitante, svenne tra le mie braccia. Solo oggi si capisce come era grande lui, erano grandi anche tanti altri artisti, sapevano fare delle cose straordinarie, non personaggi creati da social,
influencer, celebri per fare il nulla, solo rumore e storiette. Mi è stato permesso di dare una mano a Rudolf a realizzare un suo sogno,
dirigere un'orchestra, che per lui valeva tanto ma voleva anche dire di essere 'messo sulla croce per la quinta volta' dalla critica: già era successo come
ballerino, coreografo, attore nel film '
Rodolfo Valentino' di Tschaikovsky e nel musical '
The King and I'; poi finalmente, direttore d’orchestra". Nessuno in due anni può diventare un
maestro d’orchestra, ma Nureyev era straordinario e ci riuscì. "Erano
duri gli ultimi giorni di quest’uomo straordinario con una forza sovrumana che gli impediva di morire, di lasciare il mondo – ricorda ancora visibilmente commosso –. Quella forza che lo aveva portato all’apice del
mondo del balletto, che lo faceva uscire dopo una serata di ballo, andando nei locali la notte e tornare direttamente alla prova la mattina seguente alle 10. Tutti gli altri andavano al letto subito, come mi disse il primo ballerino della Staatsoper di Vienna, Michael Birkmeyer, ma Rudolf, mai! Non dimentichiamo,
Rudolf era un tartaro, il popolo da cui veniva scelto il corpo di guardia dello Zar. I tartari erano famosi per non essere mai sconfitti, per combattere fino alla fine!". "È stato
sepolto poco fuori Parigi, nel cimitero ortodosso di Sainte-Geneviève-des-Bois, - puntualizza ancora - con il frac che gli feci fare dal più bravo sarto di Vienna per le sue apparizioni come maestro d’orchestra e che io stesso gli infilavo: si fece sempre vestire da me, perché mettersi un frac è una impresa, con tutti bottoni della camicia, il gilet, la giacca strettissima, il fiocco, le scarpe laccante. La sua
tomba è un’opera splendida e commovente, capolavoro della maestria italiana: sopra vi è la scultura a mosaico di un kilim, un tappeto orientale che amava moltissimo, è stata progettata dallo scenografo Ezio Frigerio e realizzata dallo Studio Akomena di Ravenna".
Rudolf Nureyev nei panni di direttore d'orchestra
"Al suo funerale, oltre a moltissimi personaggi famosi da tutto il mondo, c’era anche una delegazione di Vienna. Nureyev infatti fine è morto come austriaco, un fatto che mi rende orgoglioso. Fu Hübner, insieme con il dottor Brunner, direttore del balletto della Wiener Staatsoper, a riuscire a fargli ottenere un passaporto austriaco, perché era senza cittadinanza. È incredibile che un uomo talmente famoso, fosse
un rifugiato senza cittadinanza e passaporto, ma solo un permesso di soggiorno sgualcito di Montecarlo".