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Home » Lifestyle » Cerco casa disperatamente: storie di chi si vede chiudere le porte in faccia perché Lgbtq+

Cerco casa disperatamente: storie di chi si vede chiudere le porte in faccia perché Lgbtq+

Ci sono Alice e la sua compagna, Andrea e il suo amico, Fiora e suo figlio. E ci sono tante vicende di discriminazione sommerse ma ben presenti

Marianna Grazi
30 Ottobre 2022
Su Luce! le storie di chi si è sentito rifiutare un affitto a causa del suo orientamento sessuale

Su Luce! le storie di chi si è sentito rifiutare un affitto a causa del suo orientamento sessuale

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Chiunque abbia studiato da fuorisede o per lavoro si sia dovuto spostare dalla propria residenza, o ancora abbia vissuto lontano dall’abitazione di famiglia per un periodo più o meno lungo, sa cosa voglia dire affrontare la ricerca di una casa o una stanza in affitto. Di per sé un’impresa, soprattutto in alcune città che sono diventate quasi inaccessibili, sia per i costi sia, invece, per le assurde richieste dei proprietari degli immobili. E se in Italia si fanno ancora i conti con il razzismo – chi lo nega, evidentemente, vive in una bolla ben distaccata dalla realtà – anche la comunità Lgbtq+ ha spesso a che fare con ostacoli ulteriori rispetto a quelli già esistenti. Che richiamano un’altra criticità endemica nella nostra società: la discriminazione. A Luce! abbiamo recentemente ricevuto la denuncia di alcune ragazze e ragazzi che hanno vissuto sulla loro pelle il rifiuto non basato (almeno non palesato) su dati oggettivi, ma su opinioni personali, valutazioni soggettive che avevano alla base – o almeno così sembra, non esistono in effetti prove concrete – l’intolleranza per il loro orientamento sessuale. Tre storie di giovani che volevano semplicemente trovare un tetto a Firenze e che si sono trovati troppe volte porte sbattute in faccia. Queste sono le loro storie, a cui abbiamo scelto di dare una cassa di risonanza perché attraverso anche la sola conoscenza di una realtà nascosta si metta definitivamente la parola fine a certe usanze omofobe.

Andrea: “Rifiutato perché ero con un altro uomo”

La storia di Andrea
La vicenda di Andrea, che cerca casa con un amico. Sono entrambi gay

“L’intento è quello di denunciare, perché poi sappiamo purtroppo che nel pratico, col fatto che non ci sono leggi che ci tutelano, si riesce ad ottenere veramente poco. Ma di questo, per come sono fatto io, me ne frego il giusto: la cosa più urgente è portare questo tema agli occhi di tutti, non c’è da spalancare una porta ma un portone ancora ben serrato”. Andrea è originario di Caserta, vive a Firenze da ormai 7 anni e lavora qui. La sua è la vicenda più recente, in ordine di tempo: risale appena a qualche settimana fa, metà ottobre.
Non si nasconde, sceglie di parlare per dar voce al sommerso. “Sono ormai da mesi alla ricerca di un casa in affitto, quella dove sono attualmente la dovrò lasciare: la proprietaria, per motivi personali, mi ha chiesto di liberarlo; non ci siamo dati tempistiche, proprio per avere un po’ la tranquillità di farlo senza fretta ambo parti. Ma sto cercando costantemente, perché il mercato immobiliare di Firenze è allucinante sia a livello di costi che di tipologie di immobili”. Una ricerca sfiancante già di per sé, poi trova un annuncio, in un portale immobiliare: una casa in zona alta fiorentina, nelle colline fuori città, subito dopo la Bolognese. Ed è lì anche l’agenzia. “Sto cercando questa soluzione per me principalmente ma anche per un mio amico, che non è mai qui perché lavora fuori, ma abbiamo sempre preso casa insieme in modo tale da avere un appoggio quando torna a Firenze. Ci presentiamo insieme quindi per l’affitto, siamo entrambi gay, ma amici e non una coppia”. Come se fosse poi necessario specificare: è una questione di privacy e non dovrebbe inficiare.

“Sono andata a vedere la casa lunedì 10 ottobre, con l’agente immobiliare, perché i proprietari vivono a 400km di distanza; va tutto bene e esprimo subito la mia intenzione di affittarla; faccio la proposta e il martedì mattina mando tutta la documentazione (redditi, buste paga e referenze) che occorre per fare una proposta. Il giovedì mi arriva la chiamata da parte dell’agenzia e l’agente immobiliare mi dice una cosa che mi ha lasciato un po’ interdetto: ‘Ti volevo informare di cosa mi ha detto la proprietaria, si è fatta viva anche se non capisco la gente in testa cosa ha‘. Già nel sentire questo ho pensato che mi stesse per dire di no. Aggiunge poi: ‘La signora mi ha contattato per informarmi che, non per le referenze, che ci sono – ed è una frase chiave, perché mi dici quindi che ho i requisiti a livello di reddito, necessari – però secondo lei la sua casa non è adatta ad essere affittata a due uomini‘”. Una frase che lascia Andrea di sasso. Poi arriva la rabbia, alle spallucce dell’immobiliarista. “Non volevo crederci e mi arrabbio. Vedendo la mia reazione, che forse non si aspettava, l’agente si irrita, dicendo che io non stavo capendo. Gli chiedo di spiegarmi allora la reale motivazione, perché se ho le referenze, se ho tutti i documenti necessari, perché mi state negando l’affitto? Gli chiedo anche di poter parlare direttamente con la proprietaria, si rifiuta. Ribatto allora che si tratta di discriminazione, perché siamo due uomini e se mi fossi presentato con una mia amica a quell’ora la casa mi sarebbe stata data”. E qui accade il fattaccio: “Tenta di mettere una pezza – che a mio parere era peggio del buco – perché si è accorto che non avrei mollato facilmente: ‘La signora, oltre a dirmi questa cosa mi ha detto anche che lei in realtà ha paura che da due diventate quattro o più‘. Chiedo cosa voglia dire quella frase e cosa stiano asserendo: essendo due amici, due uomini, che cosa pensi venga fatto lì dentro, festini o orge? Per me è stato peggio di quello che mi avevano detto prima. Una discussione surreale, che si è conclusa con l’agente che ha sviato, ignorando le mie richieste di capire, di farmi dare una concreta motivazione del rifiuto, essendoci delle referenze tecniche perfettamente in linea con la richiesta”.

A 34 anni il ragazzo si è trovato per la prima volta a sentirsi dire di non poter prendere casa perché ero con un altro uomo. “Si è andati oltre il dettaglio tecnico che dovrebbe essere, in questi casi, l’unica condizione da valutare, sfociando in una fetta personale, privata. Io mi sono molto arrabbiato perché in questo caso mi sono chiesto: ma se capitasse a una ragazza o a un ragazzo più piccoli, magari più deboli per carattere, che hanno delle problematiche già legate a discriminazioni, che stanno tentando di andare via da una casa dove ne sono già vittime e si trovano a doversi confrontare con esperienze simili all’esterno… In che direzione andiamo?”.

Alice e Francesca: “Abbiamo smesso di dire che eravamo una coppia”

coppia omosessuale
Alice e la compagna dopo tre rifiuti hanno deciso di non presentarsi più come coppia

“Ci siamo trasferite a Firenze ormai da qualche anno e nel 2020 avevamo deciso di andare a vivere insieme“. Quella di Alice e Francesca (nome di fantasia della sua compagna) è invece storia di due ragazze che, scoraggiate, a un certo punto hanno deciso di ‘arrendersi’ davanti ai fatti: la società non è pronta ad accettarle come coppia, almeno nel settore immobiliare. “Ognuna di noi viveva in un’altra casa in condivisione”. Non sono originarie di Firenze, hanno iniziato un percorso di studi qui e in seguito, per lavoro, sono rimaste. “Purtroppo nel mezzo della ricerca ci siamo prese il Covid. Abbiamo passato questa lunghissima quarantena di due mesi e nel frattempo avevamo dato la disdetta nelle case dove vivevamo. Avevamo un termine ben preciso entro cui trovare un’alternativa, termine che si è accorciato perché ci siamo ammalate a novembre, ma siamo uscite a inizio gennaio, quindi avevamo circa un mese scarso per cercare”. In quel periodo l’offerta era ampia, non essendoci i turisti; i proprietari non affittavano a settimane o a brevi periodi, quindi anche in ambito commerciale era possibile trovare affitti anche lunghi. “Abbiamo  fatto tre offerte e tutte e tre le volte siamo state respinte. La motivazione non era mai, ovviamente, a livello personale, ma dopo l’ultimo rifiuto abbiamo iniziato a pensare che il motivo fosse quello”.

Forse la loro estrema onestà non le ha pagate: “Ci presentiamo sempre come due ragazze normalissime, con una base economica solida – abbiamo due contratti indeterminati – e buste paga annesse, quindi la motivazione a un certo punto non tornava“. Queste le loro tre disavventure: “La prima volta ci hanno detto che hanno preferito una coppia di amici che conoscevano i proprietari; la seconda volta hanno scelto al posto nostro una signora anziana: tra l’altro la coppia che cercava casa per questa è venuta a vedere l’appartamento dopo di noi, avremmo avuto la precedenza, ma niente. Abbiamo infine fatto la terza offerta in un appartamento che avevamo visto per prime e l’abbiamo subito bloccato, perché la settimana dopo dovevamo lasciare le nostre case. Non avevamo più tempo, ho chiesto all’immobiliare se avessero altre offerte e mi ha risposto di no; quindi gli ho consegnato subito tutti i documenti. Il giorno dopo mi chiama e mi dice che purtroppo non era andata bene e che la padrona di casa preferiva una tipologia di inquilini differenti, tipo ‘un medico di Careggi‘”. Alice ride amareggiata, ancora oggi. Perché  proprietari e immobiliari non lo hanno detto direttamente, se cercavano altre tipologie di affittuari? “Dopo questo ennesimo episodio abbiamo deciso di cambiare approccio e di non presentarci più come coppia, ma ci presentavamo come due ragazze che cercano casa insieme. Nell’ultimo caso abbiamo davvero capito  che il problema era quello, perché era palese che fosse una scusa. Ai proprietari della casa dove siamo attualmente non abbiamo ufficializzato la nostra relazione. Né ce lo hanno mai chiesto”.

Ma anche durante la ricerca stessa si sono più volte messe in dubbio: “Quando chiamavamo, specificando che cercavamo un bi- o trilocale, ci dicevano magari ‘c’è una camera matrimoniale non credo faccia al caso vostro. O vi va bene lo stesso?’. Oppure ci presentavamo come ‘io e la mia compagna‘ e dovevamo ripeterlo più volte perché sembrava non volessero capire, chiedevano ‘il tuo compagno?’ No, la mia compagna’. A una signora lo abbiamo proprio dovuto spiegare: io e lei siamo una coppia, stiamo insieme”.Non hanno mai denunciato la cosa perché stentavano a credere che fosse quello il problema. “Ho pensato fossimo state sfortunate – dice ancora Alice –, poi l’ultima volta, quella del medico, ci ha fatto dubitare. Non ne ho mai avuto certezza, quando ti trovi in episodi del genere non pensi mai che sia reale, io ero talmente tranquilla nel mio mondo che quando mi sono affacciata su questa situazione ho pensato che non fosse possibile”.

Fiora, mamma Agedo di un ragazzo gay: “Ho ancora dubbi”

La vicenda di Fiora, mamma Agedo, e di suo figlio

Fiora fa parte di Agedo Livorno-Toscana, abita a Siena ma va spesso a Firenze a dare una mano all’associazione. Ha un figlio di 21 anni che, dopo la fase acuta del Covid, è stato a Malta a lavorare in attesa di capire cosa volesse fare. Quando è tornato ha deciso di iscriversi al Polimoda a Firenze. A settembre, con la madre, ha iniziato a cercare un posto dove alloggiare. “Io non lo so se possiamo chiamarlo un atto discriminatorio, mi azzarderei a dire ‘ni’. Né sì né no. Facciamo qualche ricerca per la casa, alla fine chiamo un signore per un appartamento vicino alle Cascine. Andiamo a vederla, la casa è molto bella, la stanza per mio figlio mi sembra perfetta. C’erano tutte le caratteristiche che cercavamo, anche il prezzo era buono”. Fiora finisce di parlare con il proprietario e chiede subito di poter fermare la camera. L’affittuario però replica che “c’è anche un’agenzia che si occupa di affittare la stanza, ‘quindi devo passare per forza prima per questa per sentire se è già passato qualcuno a vederla o aspettano la risposta da qualcuno’. Io accetto – aggiunge la donna –, anche se penso tra me e me che è strano che allora si occupi lui delle visite. Lì ho sbagliato io a non insistere per andare subito in agenzia, non ci ho pensato, ma ho ripetuto che per me era presa e che sarei passata dall’immobiliare appena lui li avesse avvertiti. Erano le 17, ancora presto perché l’immobiliare fosse chiusa, ma lui rimanda alla mattina successiva, dicendomi che avrebbe sentito e mi avrebbe poi mandato un messaggio con la risposta”. La mattina dopo, intorno alle 11.30, le scrive che è dispiaciuto “perché c’era una bella empatia” ma la stanza non era più disponibile, perché l’aveva presa un altro ragazzo. Fiora chiude subito la conversazione, poi però ripensa all’accaduto. “Mi è suonata molto strana quella situazione: è vero che c’è tanta domanda ed è difficilissimo trovare una stanza, però se tu proprietario mi fai vedere la casa, ti dico che la prendo, perché poi ti tiri indietro? A sapere che c’era di mezzo un’agenzia l’avrei chiamata oppure lui poteva contattarla prima, subito dopo che ti ho detto che la voglio prendere. Lì per lì mi sono arrabbiata con me stessa. Però sono andata con mio figlio, e quindi sono già una garanzia di mio, ma tu non mi fai alcuna domanda, non mi chiedi referenze o buste paga o caparre… Questa storia mi ha lasciata un po’ sconcertata. Tra l’altro mio figlio è gay, ma non lo diresti mai vedendolo e basta, si pone con le persone in modo autentico, cortese, senza atteggiamenti di sorta. Quindi non so che pensare. Ho pensato che questo signore volesse proprio metterci un’altra persona in casa sua, usando magari la scusa dell’agenzia e chissà se era vero che c’era un altro ragazzo per la stanza…”. Il dubbio le è rimasto. E rimane anche a noi.

Il commento di Mauro Scopelliti Presidente Arcigay Firenze

“Politiche contro le discriminazioni, in questo campo (quello abitativo), non sono mai state affrontate, una legge nazionale è ormai assente da decenni e di fatto ciò non aiuta a contrastare questo tipo di atteggiamento discriminatorio. Che spesso non sono né palesi né palesati, ma celati dietro a delle scuse“. Il commento di Mauro Scopelliti, presidente di Arcigay Firenze è netto: uno dei problemi più gravi, in questo senso, è l’invisibilizzazione. “Nel caso di Alice, ad esempio, a un certo punto lei e la compagna hanno smesso di dire di essere una coppia. Per noi di Arcigay è quindi fondamentale portare alla luce questo tema perché viene completamente ignorato. Spesso le rivendicazioni del movimento  Lgbtqia+ vengono relegate come, di fatto, chiedere diritti per le coppie, per l’adozione dei figli e finisce lì – prosegue –. Mentre le nostre vite sono complesse come quelle di tutte le persone” e di conseguenza la discriminazione nei loro confronti è costante. È fondamentale tirare fuori queste storie dall’oscurità, in una città come Firenze che si fa bandiera in Toscana per l’accoglienza rispetto a certo questioni, “però costantemente a noi arrivano richieste di supporto anche su queste tematiche. Oltre che relative a discriminazioni da parte di inquilini o vicini nei confronti delle coppie Lgbtq+”.

L’auspicio, dunque, da parte sua e della rete sociale che gestisce, è che “chi può, anche a livello di legge e delle pertinenze, intervenga al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica su questo tema”, che spesso viene ignorato. E nonostante ci sia un supporto economico da parte delle istituzioni, ad esempio, a far uscire i giovani dalle proprie case, previsto anche per le coppie non etero, “però poi ci si scontra con la cruda realtà delle persone che discriminano, a prescindere, rispetto al genere o all’orientamento sessuale. È un problema grave. Anche per la comunità transgender, che di fatto viene fortemente discriminata sia sul discorso dell’autonomia (economica e quindi sul mondo del lavoro) che sulla libertà di autodeterminarsi (quindi vivere da sol*, avere una stanza in affitto)”. La discriminazione colpisce tutt3 senza distinzione, ovviamente le minoranze sono ancora più vulnerabili.

L’appello: scrivi a Luce! se ti riconosci in queste storie

Come detto in precedenza il nostro canale vuole farsi cassa di risonanza di storie, luogo di denuncia delle discriminazioni, così come spazio dove raccontate i modelli positivi di accoglienza e inclusione. L’invito è quindi a scriverci (alla nostra mail: redazione@luce.news.it o sui social) nel caso tu ti riconoscessi in una delle storie qui riportate o volessi raccontarci una vicenda che ti riguarda o riguarda qualcuno che conosci. Perché se una voce non basta a farsi sentire possiamo creare un coro che gridi più forte e raggiunga le orecchie di chi può cambiare le cose.

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Instagram

  • Numerosi attori e musicisti di alto profilo si sono recati in Ucraina da quando è scoppiata la guerra con la Russia nel febbraio 2022. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’attore britannico Orlando Bloom, che ieri ha visitato un centro per bambini e ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev.

“Non mi sarei mai aspettato che la guerra si sarebbe intensificata in tutto il Paese da quando sono stato lì”, ha detto Bloom su Instagram, “Ma oggi ho avuto la fortuna di ascoltare le risate dei bambini in un centro del programma Spilno sostenuto dall’Unicef, uno spazio sicuro, caldo e accogliente dove i bambini possono giocare, imparare e ricevere supporto psicosociale”.

Bloom è un ambasciatore di buona volontà per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Il centro di Splino, che è uno dei tanti in Ucraina, offre sostegno ai bambini sfollati e alle loro famiglie, con più di mezzo milione di bambini che ne hanno visitato uno nell’ultimo anno.

La star hollywoodiana ha poi incontrato il presidente Zelensky, con cui ha trattato temi tra cui il ritorno dei bambini ucraini deportati in Russia, la creazione di rifugi antiatomici negli istituti scolastici e il supporto tecnico per l’apprendimento a distanza nelle aree in cui è impossibile studiare offline a causa della guerra. L’attore britannico aveva scritto ieri su Instagram, al suo arrivo a Kiev, che i «bambini in Ucraina hanno bisogno di riavere la loro infanzia».

#lucelanazione #lucenews #zelensky #orlandobloom
  • “La vita che stavo conducendo mi rendeva particolarmente infelice e se all’inizio ero entrata in terapia perché volevo accettare il fatto che mi dovessi nascondere, ho avuto poi un’evoluzione e questo percorso è diventato di accettazione di me stessa."

✨Un sorriso contagioso, la spensieratezza dei vent’anni e la bellezza di chi si piace e non può che riflettere quella luce anche al di fuori. La si potrebbe definire una Mulan nostrana Carlotta Bertotti, 23 anni, una ragazza torinese come tante, salvo che ha qualcosa di speciale. E non stiamo parlano del Nevo di Ota che occupa metà del suo volto. Ecco però spiegato un primo punto di contatto con Mulan: l’Oriente, dove è più diffusa (insieme all’Africa) quell’alterazione di natura benigna della pigmentazione della cute intorno alla zona degli occhi (spesso anche la sclera si presenta scura). Quella che appare come una chiazza grigio-bluastra su un lato del volto (rarissimi i casi bilaterali), colpisce prevalentemente persone di sesso femminile e le etnie asiatiche (1 su 200 persone in Giappone), può essere presente alla nascita o apparire durante la pubertà. E come la principessa Disney “fin da piccola ho sempre sentito la pressione di dover salvare tutto, ma forse in realtà dovevo solo salvare me stessa. Però non mi piace stare troppo alle regole, sono ribelle come lei”.

🗣Cosa diresti a una ragazza che ha una macchia come la tua e ti chiede come riuscire a conviverci?�
“Che sono profondamente fiera della persona che vedo riflessa allo specchio tutto i giorni e sono arrivata a questa fierezza dopo che ho scoperto e ho accettato tutti i miei lati, sia positivi che negativi. È molto autoreferenziale, quindi invece se dovessi dare un consiglio è quello che alla fine della fiera il giudizio altrui è momentaneo e tutto passa. L’unica persona che resta e con cui devi convivere tutta la vita sei tu, quindi le vere battaglie sono quelle con te stessa, quelle che vale la pena combattere”.

L’intervista a cura di Marianna Grazi �✍ 𝘓𝘪𝘯𝘬 𝘪𝘯 𝘣𝘪𝘰

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  • La salute mentale al centro del podcast di Alessia Lanza. Come si supera l’ansia sociale? Quanto è difficile fare coming out? Vado dallo psicologo? Come trovo la mia strada? La popolare influencer, una delle creator più note e amate del web con 1,4 milioni di followers su Instagram e 3,9 milioni su TikTok, Alessia Lanza debutta con “Mille Pare”, il suo primo podcast in cui affronta, in dieci puntate, una “para” diversa e cerca di esorcizzare le sue fragilità e, di riflesso, quelle dei suoi coetanei.

“Ho deciso di fare questo podcast per svariati motivi: io sono arrivata fin qui anche grazie alla mia immagine, ma questa volta vorrei che le persone mi ascoltassero e basta. Quando ho cominciato a raccontare le mie fragilità un sacco di persone mi hanno detto ‘Anche io ho quella para lì!’. Perciò dico parliamone, perché in un mondo in cui sembra che dobbiamo farcela da soli, io credo nel potere della condivisione”.

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  • Si è laureata in Antropologia, Religioni e Civiltà Orientali indossando un abito tradizionale Crow, tribù della sua famiglia adottiva in Montana. Eppure Raffaella Milandri è italianissima e ha conseguito il titolo nella storica università Alma Mater di Bologna, lo scorso 17 marzo. 

La scrittrice e giornalista nel 2010 è diventata membro adottivo della famiglia di nativi americani Black Eagle. Da quel momento quella che era una semplice passione per i popoli indigeni si è focalizzata sullo studio degli aborigeni Usa e sulla divulgazione della loro cultura.

Un titolo di studio specifico, quello conseguito dalla Milandri, “Che ho ritenuto oltremodo necessario per coronare la mia attività di studiosa e attivista per i diritti dei Nativi Americani e per i Popoli Indigeni. La prima forma pacifica di attivismo è divulgare la cultura nativa”. L’abito indossato durante cerimonia di laurea appartiene alla tribù della sua famiglia adottiva. Usanza che è stata istituzionalizzata solo dal 2017 in Montana, Stato d’origine del suo popolo, quando è stata approvata una legge (la SB 319) che permette ai nativi e loro familiari di laurearsi con il “tribal regalia“. 

In virtù di questa norma, il Segretario della Crow Nation, Levi Black Eagle, a maggio 2022 ha ricordato la possibilità di indossare l’abito tradizionale Crow in queste occasioni e così Milandri ha chiesto alla famiglia d’adozione se anche lei, in quanto membro acquisito della tribù, avrebbe potuto indossarlo in occasione della sua discussione.

La scrittrice, ricordando il momento della laurea a Bologna, racconta che è stata “Una grandissima emozione e un onore poter rappresentare la Crow Nation e la mia famiglia adottiva. Ho dedicato la mia laurea in primis alle vittime dei collegi indiani, istituti scolastici, perlopiù a gestione cattolica, di stampo assimilazionista. Le stesse vittime per le quali Papa Francesco, lo scorso luglio, si è recato in Canada in viaggio penitenziale a chiedere scusa  Ho molto approfondito questo tema controverso e presto sarà pubblicato un mio studio sull’argomento dalla Mauna Kea Edizioni”.

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Chiunque abbia studiato da fuorisede o per lavoro si sia dovuto spostare dalla propria residenza, o ancora abbia vissuto lontano dall'abitazione di famiglia per un periodo più o meno lungo, sa cosa voglia dire affrontare la ricerca di una casa o una stanza in affitto. Di per sé un'impresa, soprattutto in alcune città che sono diventate quasi inaccessibili, sia per i costi sia, invece, per le assurde richieste dei proprietari degli immobili. E se in Italia si fanno ancora i conti con il razzismo - chi lo nega, evidentemente, vive in una bolla ben distaccata dalla realtà - anche la comunità Lgbtq+ ha spesso a che fare con ostacoli ulteriori rispetto a quelli già esistenti. Che richiamano un'altra criticità endemica nella nostra società: la discriminazione. A Luce! abbiamo recentemente ricevuto la denuncia di alcune ragazze e ragazzi che hanno vissuto sulla loro pelle il rifiuto non basato (almeno non palesato) su dati oggettivi, ma su opinioni personali, valutazioni soggettive che avevano alla base - o almeno così sembra, non esistono in effetti prove concrete - l'intolleranza per il loro orientamento sessuale. Tre storie di giovani che volevano semplicemente trovare un tetto a Firenze e che si sono trovati troppe volte porte sbattute in faccia. Queste sono le loro storie, a cui abbiamo scelto di dare una cassa di risonanza perché attraverso anche la sola conoscenza di una realtà nascosta si metta definitivamente la parola fine a certe usanze omofobe.

Andrea: "Rifiutato perché ero con un altro uomo"

La storia di Andrea
La vicenda di Andrea, che cerca casa con un amico. Sono entrambi gay

"L’intento è quello di denunciare, perché poi sappiamo purtroppo che nel pratico, col fatto che non ci sono leggi che ci tutelano, si riesce ad ottenere veramente poco. Ma di questo, per come sono fatto io, me ne frego il giusto: la cosa più urgente è portare questo tema agli occhi di tutti, non c’è da spalancare una porta ma un portone ancora ben serrato". Andrea è originario di Caserta, vive a Firenze da ormai 7 anni e lavora qui. La sua è la vicenda più recente, in ordine di tempo: risale appena a qualche settimana fa, metà ottobre. Non si nasconde, sceglie di parlare per dar voce al sommerso. "Sono ormai da mesi alla ricerca di un casa in affitto, quella dove sono attualmente la dovrò lasciare: la proprietaria, per motivi personali, mi ha chiesto di liberarlo; non ci siamo dati tempistiche, proprio per avere un po’ la tranquillità di farlo senza fretta ambo parti. Ma sto cercando costantemente, perché il mercato immobiliare di Firenze è allucinante sia a livello di costi che di tipologie di immobili". Una ricerca sfiancante già di per sé, poi trova un annuncio, in un portale immobiliare: una casa in zona alta fiorentina, nelle colline fuori città, subito dopo la Bolognese. Ed è lì anche l’agenzia. "Sto cercando questa soluzione per me principalmente ma anche per un mio amico, che non è mai qui perché lavora fuori, ma abbiamo sempre preso casa insieme in modo tale da avere un appoggio quando torna a Firenze. Ci presentiamo insieme quindi per l’affitto, siamo entrambi gay, ma amici e non una coppia". Come se fosse poi necessario specificare: è una questione di privacy e non dovrebbe inficiare.

"Sono andata a vedere la casa lunedì 10 ottobre, con l’agente immobiliare, perché i proprietari vivono a 400km di distanza; va tutto bene e esprimo subito la mia intenzione di affittarla; faccio la proposta e il martedì mattina mando tutta la documentazione (redditi, buste paga e referenze) che occorre per fare una proposta. Il giovedì mi arriva la chiamata da parte dell’agenzia e l’agente immobiliare mi dice una cosa che mi ha lasciato un po’ interdetto: 'Ti volevo informare di cosa mi ha detto la proprietaria, si è fatta viva anche se non capisco la gente in testa cosa ha'. Già nel sentire questo ho pensato che mi stesse per dire di no. Aggiunge poi: 'La signora mi ha contattato per informarmi che, non per le referenze, che ci sono – ed è una frase chiave, perché mi dici quindi che ho i requisiti a livello di reddito, necessari – però secondo lei la sua casa non è adatta ad essere affittata a due uomini'". Una frase che lascia Andrea di sasso. Poi arriva la rabbia, alle spallucce dell'immobiliarista. "Non volevo crederci e mi arrabbio. Vedendo la mia reazione, che forse non si aspettava, l’agente si irrita, dicendo che io non stavo capendo. Gli chiedo di spiegarmi allora la reale motivazione, perché se ho le referenze, se ho tutti i documenti necessari, perché mi state negando l’affitto? Gli chiedo anche di poter parlare direttamente con la proprietaria, si rifiuta. Ribatto allora che si tratta di discriminazione, perché siamo due uomini e se mi fossi presentato con una mia amica a quell’ora la casa mi sarebbe stata data". E qui accade il fattaccio: "Tenta di mettere una pezza – che a mio parere era peggio del buco – perché si è accorto che non avrei mollato facilmente: 'La signora, oltre a dirmi questa cosa mi ha detto anche che lei in realtà ha paura che da due diventate quattro o più'. Chiedo cosa voglia dire quella frase e cosa stiano asserendo: essendo due amici, due uomini, che cosa pensi venga fatto lì dentro, festini o orge? Per me è stato peggio di quello che mi avevano detto prima. Una discussione surreale, che si è conclusa con l’agente che ha sviato, ignorando le mie richieste di capire, di farmi dare una concreta motivazione del rifiuto, essendoci delle referenze tecniche perfettamente in linea con la richiesta".

A 34 anni il ragazzo si è trovato per la prima volta a sentirsi dire di non poter prendere casa perché ero con un altro uomo. "Si è andati oltre il dettaglio tecnico che dovrebbe essere, in questi casi, l’unica condizione da valutare, sfociando in una fetta personale, privata. Io mi sono molto arrabbiato perché in questo caso mi sono chiesto: ma se capitasse a una ragazza o a un ragazzo più piccoli, magari più deboli per carattere, che hanno delle problematiche già legate a discriminazioni, che stanno tentando di andare via da una casa dove ne sono già vittime e si trovano a doversi confrontare con esperienze simili all’esterno... In che direzione andiamo?".

Alice e Francesca: "Abbiamo smesso di dire che eravamo una coppia"

coppia omosessuale
Alice e la compagna dopo tre rifiuti hanno deciso di non presentarsi più come coppia

"Ci siamo trasferite a Firenze ormai da qualche anno e nel 2020 avevamo deciso di andare a vivere insieme". Quella di Alice e Francesca (nome di fantasia della sua compagna) è invece storia di due ragazze che, scoraggiate, a un certo punto hanno deciso di 'arrendersi' davanti ai fatti: la società non è pronta ad accettarle come coppia, almeno nel settore immobiliare. "Ognuna di noi viveva in un’altra casa in condivisione". Non sono originarie di Firenze, hanno iniziato un percorso di studi qui e in seguito, per lavoro, sono rimaste. "Purtroppo nel mezzo della ricerca ci siamo prese il Covid. Abbiamo passato questa lunghissima quarantena di due mesi e nel frattempo avevamo dato la disdetta nelle case dove vivevamo. Avevamo un termine ben preciso entro cui trovare un'alternativa, termine che si è accorciato perché ci siamo ammalate a novembre, ma siamo uscite a inizio gennaio, quindi avevamo circa un mese scarso per cercare". In quel periodo l'offerta era ampia, non essendoci i turisti; i proprietari non affittavano a settimane o a brevi periodi, quindi anche in ambito commerciale era possibile trovare affitti anche lunghi. "Abbiamo  fatto tre offerte e tutte e tre le volte siamo state respinte. La motivazione non era mai, ovviamente, a livello personale, ma dopo l’ultimo rifiuto abbiamo iniziato a pensare che il motivo fosse quello".

Forse la loro estrema onestà non le ha pagate: "Ci presentiamo sempre come due ragazze normalissime, con una base economica solida – abbiamo due contratti indeterminati – e buste paga annesse, quindi la motivazione a un certo punto non tornava". Queste le loro tre disavventure: "La prima volta ci hanno detto che hanno preferito una coppia di amici che conoscevano i proprietari; la seconda volta hanno scelto al posto nostro una signora anziana: tra l’altro la coppia che cercava casa per questa è venuta a vedere l’appartamento dopo di noi, avremmo avuto la precedenza, ma niente. Abbiamo infine fatto la terza offerta in un appartamento che avevamo visto per prime e l’abbiamo subito bloccato, perché la settimana dopo dovevamo lasciare le nostre case. Non avevamo più tempo, ho chiesto all’immobiliare se avessero altre offerte e mi ha risposto di no; quindi gli ho consegnato subito tutti i documenti. Il giorno dopo mi chiama e mi dice che purtroppo non era andata bene e che la padrona di casa preferiva una tipologia di inquilini differenti, tipo 'un medico di Careggi'". Alice ride amareggiata, ancora oggi. Perché  proprietari e immobiliari non lo hanno detto direttamente, se cercavano altre tipologie di affittuari? "Dopo questo ennesimo episodio abbiamo deciso di cambiare approccio e di non presentarci più come coppia, ma ci presentavamo come due ragazze che cercano casa insieme. Nell’ultimo caso abbiamo davvero capito  che il problema era quello, perché era palese che fosse una scusa. Ai proprietari della casa dove siamo attualmente non abbiamo ufficializzato la nostra relazione. Né ce lo hanno mai chiesto".

Ma anche durante la ricerca stessa si sono più volte messe in dubbio: "Quando chiamavamo, specificando che cercavamo un bi- o trilocale, ci dicevano magari 'c’è una camera matrimoniale non credo faccia al caso vostro. O vi va bene lo stesso?'. Oppure ci presentavamo come 'io e la mia compagna' e dovevamo ripeterlo più volte perché sembrava non volessero capire, chiedevano 'il tuo compagno?' No, la mia compagna'. A una signora lo abbiamo proprio dovuto spiegare: io e lei siamo una coppia, stiamo insieme".Non hanno mai denunciato la cosa perché stentavano a credere che fosse quello il problema. "Ho pensato fossimo state sfortunate – dice ancora Alice –, poi l’ultima volta, quella del medico, ci ha fatto dubitare. Non ne ho mai avuto certezza, quando ti trovi in episodi del genere non pensi mai che sia reale, io ero talmente tranquilla nel mio mondo che quando mi sono affacciata su questa situazione ho pensato che non fosse possibile".

Fiora, mamma Agedo di un ragazzo gay: "Ho ancora dubbi"

La vicenda di Fiora, mamma Agedo, e di suo figlio

Fiora fa parte di Agedo Livorno-Toscana, abita a Siena ma va spesso a Firenze a dare una mano all'associazione. Ha un figlio di 21 anni che, dopo la fase acuta del Covid, è stato a Malta a lavorare in attesa di capire cosa volesse fare. Quando è tornato ha deciso di iscriversi al Polimoda a Firenze. A settembre, con la madre, ha iniziato a cercare un posto dove alloggiare. “Io non lo so se possiamo chiamarlo un atto discriminatorio, mi azzarderei a dire ‘ni’. Né sì né no. Facciamo qualche ricerca per la casa, alla fine chiamo un signore per un appartamento vicino alle Cascine. Andiamo a vederla, la casa è molto bella, la stanza per mio figlio mi sembra perfetta. C’erano tutte le caratteristiche che cercavamo, anche il prezzo era buono”. Fiora finisce di parlare con il proprietario e chiede subito di poter fermare la camera. L’affittuario però replica che "c’è anche un’agenzia che si occupa di affittare la stanza, 'quindi devo passare per forza prima per questa per sentire se è già passato qualcuno a vederla o aspettano la risposta da qualcuno’. Io accetto – aggiunge la donna –, anche se penso tra me e me che è strano che allora si occupi lui delle visite. Lì ho sbagliato io a non insistere per andare subito in agenzia, non ci ho pensato, ma ho ripetuto che per me era presa e che sarei passata dall’immobiliare appena lui li avesse avvertiti. Erano le 17, ancora presto perché l’immobiliare fosse chiusa, ma lui rimanda alla mattina successiva, dicendomi che avrebbe sentito e mi avrebbe poi mandato un messaggio con la risposta”. La mattina dopo, intorno alle 11.30, le scrive che è dispiaciuto “perché c’era una bella empatia” ma la stanza non era più disponibile, perché l’aveva presa un altro ragazzo. Fiora chiude subito la conversazione, poi però ripensa all’accaduto. “Mi è suonata molto strana quella situazione: è vero che c’è tanta domanda ed è difficilissimo trovare una stanza, però se tu proprietario mi fai vedere la casa, ti dico che la prendo, perché poi ti tiri indietro? A sapere che c’era di mezzo un’agenzia l’avrei chiamata oppure lui poteva contattarla prima, subito dopo che ti ho detto che la voglio prendere. Lì per lì mi sono arrabbiata con me stessa. Però sono andata con mio figlio, e quindi sono già una garanzia di mio, ma tu non mi fai alcuna domanda, non mi chiedi referenze o buste paga o caparre… Questa storia mi ha lasciata un po’ sconcertata. Tra l’altro mio figlio è gay, ma non lo diresti mai vedendolo e basta, si pone con le persone in modo autentico, cortese, senza atteggiamenti di sorta. Quindi non so che pensare. Ho pensato che questo signore volesse proprio metterci un’altra persona in casa sua, usando magari la scusa dell’agenzia e chissà se era vero che c’era un altro ragazzo per la stanza…”. Il dubbio le è rimasto. E rimane anche a noi.

Il commento di Mauro Scopelliti Presidente Arcigay Firenze

"Politiche contro le discriminazioni, in questo campo (quello abitativo), non sono mai state affrontate, una legge nazionale è ormai assente da decenni e di fatto ciò non aiuta a contrastare questo tipo di atteggiamento discriminatorio. Che spesso non sono né palesi né palesati, ma celati dietro a delle scuse". Il commento di Mauro Scopelliti, presidente di Arcigay Firenze è netto: uno dei problemi più gravi, in questo senso, è l'invisibilizzazione. "Nel caso di Alice, ad esempio, a un certo punto lei e la compagna hanno smesso di dire di essere una coppia. Per noi di Arcigay è quindi fondamentale portare alla luce questo tema perché viene completamente ignorato. Spesso le rivendicazioni del movimento  Lgbtqia+ vengono relegate come, di fatto, chiedere diritti per le coppie, per l'adozione dei figli e finisce lì – prosegue –. Mentre le nostre vite sono complesse come quelle di tutte le persone" e di conseguenza la discriminazione nei loro confronti è costante. È fondamentale tirare fuori queste storie dall'oscurità, in una città come Firenze che si fa bandiera in Toscana per l'accoglienza rispetto a certo questioni, "però costantemente a noi arrivano richieste di supporto anche su queste tematiche. Oltre che relative a discriminazioni da parte di inquilini o vicini nei confronti delle coppie Lgbtq+".

L'auspicio, dunque, da parte sua e della rete sociale che gestisce, è che "chi può, anche a livello di legge e delle pertinenze, intervenga al fine di sensibilizzare l'opinione pubblica su questo tema", che spesso viene ignorato. E nonostante ci sia un supporto economico da parte delle istituzioni, ad esempio, a far uscire i giovani dalle proprie case, previsto anche per le coppie non etero, "però poi ci si scontra con la cruda realtà delle persone che discriminano, a prescindere, rispetto al genere o all'orientamento sessuale. È un problema grave. Anche per la comunità transgender, che di fatto viene fortemente discriminata sia sul discorso dell'autonomia (economica e quindi sul mondo del lavoro) che sulla libertà di autodeterminarsi (quindi vivere da sol*, avere una stanza in affitto)". La discriminazione colpisce tutt3 senza distinzione, ovviamente le minoranze sono ancora più vulnerabili.

L'appello: scrivi a Luce! se ti riconosci in queste storie

Come detto in precedenza il nostro canale vuole farsi cassa di risonanza di storie, luogo di denuncia delle discriminazioni, così come spazio dove raccontate i modelli positivi di accoglienza e inclusione. L'invito è quindi a scriverci (alla nostra mail: redazione@luce.news.it o sui social) nel caso tu ti riconoscessi in una delle storie qui riportate o volessi raccontarci una vicenda che ti riguarda o riguarda qualcuno che conosci. Perché se una voce non basta a farsi sentire possiamo creare un coro che gridi più forte e raggiunga le orecchie di chi può cambiare le cose.
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