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Home » Lifestyle » Michele Calamita e il riscatto nell’arte: “Dissero che ero nato per sbaglio. Ma niente mi ha fermato”

Michele Calamita e il riscatto nell’arte: “Dissero che ero nato per sbaglio. Ma niente mi ha fermato”

Il 12enne, venuto alla luce con gravi malformazioni, oggi è pronto per esporre le sue opere: "Le difficoltà devono essere un punto di partenza per la realizzazione personale"

Riccardo Jannello
28 Dicembre 2022
Michele Calamita insieme a mamma Denis

Michele Calamita insieme a mamma Denis

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Questa è una storia che poteva rimanere sbagliata e invece ha preso la strada giusta. E’ la storia di Michele Calamita, genovese, 12 anni, nato con gravi malformazioni e che, grazie anche alla madre Denise che l’ha cresciuto da sola e con la quale ha disegnato due interessanti libri per l’infanzia, ha trovato nell’arte quella che si spera sia la definitiva svolta. Intanto esporrà il 5 e 6 gennaio al premio Leonardo da Vinci a Cesenatico e quindi, fra le altre occasioni, Bruxelles (Galleria Espace), Venezia (San Teodoro), Forlì (Vernice Art 2023). Con la benedizione a Genova della Galleria Merighi e con Christian Houmouda e Mauro Dall’Aira che credono molto in lui.

Michele Calamita, genovese, 12 anni
Michele Calamita, genovese, 12 anni

Michele, cosa è accaduto alla tua nascita?
“Che in ospedale avevano detto a mia madre che non avrei avuto una vita facile perché i miei piedi erano malformati e le mie mani strane. Le dissero che probabilmente non avrei né camminato né imparato a parlare. Sostennero che ero nato per sbaglio e che questo sarei stato”.

Come è cambiato tutto?
“La mamma mi avvolse in una coperta e mi portò via; rispose che non avevano capito proprio niente, che ero un puro miracolo di bellezza e poesia. Fui curato e in qualche modo guarii”.

Che cosa è rimasto di quei giorni?
“Ancora alcune delle mie dita sono proprio storte, piego le falangi come in un film con gli effetti speciali e io rido come un matto. Ma quando faccio le gare con i miei amici vinco sempre io e stanno tutti zitti”.

Ti senti diverso dagli altri?
“Ma non per forza sfortunato. Certo, non è sempre tutto rose e fiori, però non mi ha mai fermato niente, ho sempre trovato il modo per fare tutto quello che volevo. Adoro dipingere, scrivere, giocare a basket e a calcio, faccio queste cose regolarmente perché ho trovato il mio modo di esprimermi. E a chi ha messo in dubbio le mie capacità ho risposto: ‘Guarda che faccio la rivoluzione, è solo questione di tempo’. Oggi racconto la mia storia perché spero che possa essere d’aiuto a chi si sente criticato ingiustamente o messo in disparte. Ai miei coetanei dico: la vita è solo questione di allenamento, un viaggio a piedi tra alti e bassi, ma il ritmo della camminata lo decidi tu”.

Michele Calamita ha trovato nell'arte il suo riscatto
Michele Calamita ha trovato nell’arte il suo riscatto

E che cosa ti ha spinto a cominciare a dipingere?
“Ho iniziato già all’asilo nido quando la maestra Rosanna riconobbe in me estro creativo e decise di insegnarmi tutto quello che sapeva sull’arte. Un altro episodio che ricordo con tanto amore è la mostra di Modigliani: avevo 4 anni, ci andai con mia madre e rimasti estasiato da tanta bellezza”.

Quali le ispirazioni per i tuoi quadri?
“Mi ispiro a Picasso, Mirò, Caravaggio. Osservo persone e luoghi e li trasformo nel linguaggio della fantasia a seconda delle emozioni che mi suscitano”.

Come definiresti il tuo stile?
“Mi piace definirlo ‘Astrattismo Digitale’ perché creo le bozze manualmente, ma gran parte del mio lavoro viene poi ottimizzato attraverso il canale Digital. Fondere tradizione e innovazione è il mio intento e spero di riuscirci”.

Il 12enne Michele Calamita
Il 12enne Michele Calamita

Quale materiale usi?
“Per i miei bozzetti uso colori acrilici, pastelli, acquarelli, spugne, sale, sabbia, pennarelli, matite. Poi utilizzo uno scanner e ridefinisco l’immagine digitalmente valorizzando soprattutto le ombre che, spesso, nascondono visi e prospettive essenziali. A volte nascono già digitali e utilizzo un programma per creare alcune forme di base e poi fraziono le immagini finché non riesco a ricomporre il soggetto che ho immaginato e lo dipingo con software painting. La realtà è più di ciò che noi vediamo, è fatta di piccoli dettagli a cui io voglio dare il giusto risalto”.

Come hai deciso di cominciare a mostrarli?
“La mamma mi ha fatto una sorpresa iscrivendomi alla selezione per la Prima Biennale d’Europa; poco dopo siamo stati contattati dalla dottoressa Belinda Dagnino di Effetto Arte/Art Now e all’inizio pensavo fosse un brutto scherzo. Solo dopo aver letto e parlato con la mia curatrice ho capito che era tutto vero e da lì è partita ogni cosa”.

In cosa la tecnologia aiuta il tuo lavoro?
“I mezzi digitali mi aiutano a ottimizzare le idee per offrire un linguaggio giovane, rispettoso della tradizione ma coraggioso e radicato in questo tempo storico in cui il rapporto tra uomo e computer è inevitabile. La mia è una generazione che ha sempre un passo nel futuro, forse siamo proprio nati lì”.

Michele Calamita con una delle sue opere
Michele Calamita con una delle sue opere

Che cosa secondo te piace della tua opera ai critici e alla gente?
“Piace la mia visione della realtà che è fatta di cose oggettive e di impressioni. I critici mi fanno sempre molti complimenti per le scelte cromatiche e perché le immagini sono potenti ed esprimono tanti sentimenti diversi. Disegno l’anima delle persone e dei luoghi in cui mi trovo. L’arte per me deve essere una porta aperta che mette in comunicazione l’artista con tutti”.

Quali progetti hai?
“Il mio sogno è girare il mondo e incontrare tante persone a cui raccontare la mia visione dell’arte. Voglio creare un linguaggio universale, a cui tutti si possano rivolgere con fiducia. L’arte deve sollevare dalla fatica e spronare a riflettere sulla realtà”.

Michele Calamita con una delle sue opere
Michele Calamita con una delle sue opere

Come va la scuola?
“A scuola vado bene, ho buoni voti e mi piace frequentare, sono contento perché imparo molte cose nuove e vado d’accordo con i miei compagni”.

Che cosa ti piace della gente?
“Mi piacciono le persone divertenti, intraprendenti, che si mettono in gioco”.

E del mondo?
“Mi piace viaggiare perché ogni luogo è diverso dall’altro: cultura, usanze, modi di dire e di fare. Mi piace mescolarli ai miei e portare il mio punto di vista ovunque vada”.

Che cosa non ti piace di ciò che ti circonda?
“Non mi piacciono gli incivili: chi tende a mortificare il prossimo, i vandali, gli arroganti”.

Di cosa hai paura?
“Non mi spaventa quasi nulla, sono un resiliente: le difficoltà devono essere un punto di partenza per la realizzazione personale”.

Che cosa ami di più di Michele e che cosa non ami?
“Di me stesso amo il coraggio, la rivoluzione, la curiosità e la voglia di stare bene con tutti. A volte sono insicuro, ma ci sto lavorando”.

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  • Nicoletta Sipos, giornalista e scrittrice, ha vissuto in Ungheria, in Germania e negli Stati Uniti, prima di raggiungere Milano e lì restare. Il suo romanzo “La guerra di H”, un romanzo fortemente ispirato a fatti realmente accaduti.

L’autrice indaga in maniera del tutto nuova e appassionante un momento drammatico, decisivo della storia del nostro continente: la Seconda guerra mondiale. A raccontare l’ascesa e la disfatta del Nazismo è stavolta la voce di un bambino tedesco, che riporta con semplicità e veracità le molte sofferenze patite dal suo popolo durante il conflitto scatenato da Hitler, focalizzando l’attenzione del lettore sul drammatico paradigma che accomuna chiunque si trovi a vivere sulla propria pelle una guerra: la sofferenza. Pagine toccanti, le sue, tanto più intense perché impregnate di fatti reali, emozioni provate e sentite dai protagonisti e condivise da quanti, tuttora, si trovano coinvolti in un conflitto armato. La memoria collettiva è uno strumento potente per non commettere gli stessi errori. 

"Imparai poco alla volta – scrive il piccolo Heinrich Stein, protagonista del romanzo – che nel nostro strano Paese la verità aveva più volti con infinite sfumature”.

👉Perché una storia così e perché ora?
“Ho incontrato il protagonista di questa mia storia molto tempo fa, addirittura negli anni ’50, ossia in un’epoca che portava ancora gli strascichi della guerra. Diventammo amici, parlammo di Hitler e della miseria della Germania. Poco per volta, via via che ci incontravamo, lui aggiungeva ricordi, dettagli, confessioni. Per anni ho portato dentro di me la testimonianza di questa storia che si arricchiva sempre più di dettagli. Molte volte avrei voluto scriverla, magari a quattro mani con il mio amico, ma lui non se la sentiva. Io stessa esitavo ad affrontare questa storia che racconta una famiglia tedesca in forte sofferenza in una Germania ferita e umiliata. La gente ha etichettato tutto il popolo tedesco durante il nazismo come crudele per antonomasia. Non si pensa mai a quanto la gente comune abbia sofferto, alla fame e al freddo che anche il popolo tedesco ha patito”.

✍ Caterina Ceccuti

#lucenews #giornodellamemoria #27gennaio
  • È dalla sua camera con vista affacciata sull’Arno che Ornella Vanoni accetta di raccontare un po’ di sé ai lettori di Luce!, in attesa di esibirsi, sabato 28 gennaio sul palco della Tuscany Hall di Firenze, dov’è in programma una nuova tappa della nuova tournée Le Donne e la Musica. Un ritorno atteso per Ornella Vanoni, che in questo tour è accompagnata da un quintetto di sole donne.

Innanzitutto come sta, signora Vanoni?
“Stanca, sono partita due mesi dopo l’intervento al femore che mi sono rotto cadendo per una buca proprio davanti a casa mia. Ma l’incidente non mi ha impedito di intraprendere un progetto inaspettato che, sin da subito, mi è stato molto a cuore. Non ho perso la volontà di andare avanti. Anche se il tempo per prepararlo e provare è stato pochissimo. E poi sono molto dispiaciuta“.

Per cosa?
“La morte dell’orso Juan Carrito, travolto e ucciso da un’auto cercava bacche e miele: la mia carissima amica Dacia (Maraini, ndr) l’altro giorno ha scritto una cosa molto bella dedicata a lui. Dovrò scrollarmi di dosso la malinconia e ricaricarmi in vista del concerto“.

Con lei sul palco ci sarà una jazz band al femminile con Sade Mangiaracina al pianoforte, Eleonora Strino alla chitarra, Federica Michisanti al contrabbasso, Laura Klain alla batteria e Leila Shirvani. Perché questa scelta?
“Perché sono tutte bravissime, professioniste davvero eccezionali. Non è una decisione presa sulla spinta di tematiche legate al genere o alle quote rosa, ma nata grazie a Paolo Fresu, amico e trombettista fantastico del quale sono innamorata da sempre. Tempo fa, durante una chiacchierata, Paolo mi raccontò che al festival jazz di Berchidda erano andate in scena tante musiciste bravissime. E allora ho pensato: ’Se sono così brave perché non fare un gruppo di donne? Certo, non l’ha fatto mai nessuno. Bene, ora lo faccio io“.

Il fatto che siano tutte donne è un valore aggiunto?
“In realtà per me conta il talento, ma sono felice della scelta: è bellissimo sentire suonare queste artiste, vederle sul palco intorno a me mi emoziona“.

L
  • Devanshi Sanghvi è una bambina di otto anni che sarebbe potuta crescere e studiare per gestire l’attività di diamanti multimilionaria appartenente alla sua facoltosissima famiglia, con un patrimonio stimato di 60 milioni di dollari.

Ma la piccola ha scelto di farsi suora, vivendo così una vita spartana, vestita con sari bianchi, a piedi nudi e andando di porta in porta a chiedere l’elemosina. Si è unita ai “diksha” alla presenza di anziani monaci giainisti. La bimba è arrivata alla cerimonia ingioiellata e vestita di sete pregiate. Sulla sua testa poggiava una corona tempestata di diamanti. Dopo la cerimonia, a cui hanno partecipato migliaia di persone, è rimasta in piedi con altre suore, vestita con un sari bianco che le copriva anche la testa rasata. Nelle fotografie, la si vede con in mano una scopa che ora dovrà usare per spazzare via gli insetti dal suo cammino per evitare di calpestarli accidentalmente.

Di Barbara Berti ✍

#lucenews #lucelanazione #india #DevanshiSanghvi
  • Settanta giorni trascorsi in un mondo completamente bianco, la capitana dell’esercito britannico Harpreet Chandi, che già lo scorso anno si era distinta per un’impresa tra i ghiacci, è una fisioterapista che lavora in un’unità di riabilitazione regionale nel Buckinghamshire, fornendo supporto a soldati e ufficiali feriti. 

Ha dimostrato che i record sono fatti per essere battuti e, soprattutto, i limiti personali superabili grazie alla forza di volontà e alla preparazione. E ora è diventata una vera leggenda vivente, battendo il record del mondo femminile per la più lunga spedizione polare – sola e senza assistenza – della storia.

Il 9 gennaio scorso, 57esimo giorno del viaggio che era cominciato lo scorso 14 novembre, la 34enne inglese ha raggiunto il centro del Polo Sud dopo aver percorso circa 1100 chilometri. Quando è arrivata a destinazione nel bel mezzo della calotta polare era felice, pura e semplice gioia di aver raggiunto l’agognato traguardo: “Il Polo Sud è davvero un posto incredibile dove stare. Non mi sono fermata molto a lungo perché ho ancora un lungo viaggio da fare. È stato davvero difficile arrivare qui, sciando tra le 13 e le 15 ore al giorno con una media di 5 ore di sonno”.

Di Irene Carlotta Cicora ✍

#lucenews #lucelanazione #polosud #HarpreetChandi #polarpreet
Questa è una storia che poteva rimanere sbagliata e invece ha preso la strada giusta. E’ la storia di Michele Calamita, genovese, 12 anni, nato con gravi malformazioni e che, grazie anche alla madre Denise che l’ha cresciuto da sola e con la quale ha disegnato due interessanti libri per l’infanzia, ha trovato nell'arte quella che si spera sia la definitiva svolta. Intanto esporrà il 5 e 6 gennaio al premio Leonardo da Vinci a Cesenatico e quindi, fra le altre occasioni, Bruxelles (Galleria Espace), Venezia (San Teodoro), Forlì (Vernice Art 2023). Con la benedizione a Genova della Galleria Merighi e con Christian Houmouda e Mauro Dall'Aira che credono molto in lui.
Michele Calamita, genovese, 12 anni
Michele Calamita, genovese, 12 anni
Michele, cosa è accaduto alla tua nascita? “Che in ospedale avevano detto a mia madre che non avrei avuto una vita facile perché i miei piedi erano malformati e le mie mani strane. Le dissero che probabilmente non avrei né camminato né imparato a parlare. Sostennero che ero nato per sbaglio e che questo sarei stato”. Come è cambiato tutto? “La mamma mi avvolse in una coperta e mi portò via; rispose che non avevano capito proprio niente, che ero un puro miracolo di bellezza e poesia. Fui curato e in qualche modo guarii”. Che cosa è rimasto di quei giorni? “Ancora alcune delle mie dita sono proprio storte, piego le falangi come in un film con gli effetti speciali e io rido come un matto. Ma quando faccio le gare con i miei amici vinco sempre io e stanno tutti zitti". Ti senti diverso dagli altri? “Ma non per forza sfortunato. Certo, non è sempre tutto rose e fiori, però non mi ha mai fermato niente, ho sempre trovato il modo per fare tutto quello che volevo. Adoro dipingere, scrivere, giocare a basket e a calcio, faccio queste cose regolarmente perché ho trovato il mio modo di esprimermi. E a chi ha messo in dubbio le mie capacità ho risposto: ‘Guarda che faccio la rivoluzione, è solo questione di tempo’. Oggi racconto la mia storia perché spero che possa essere d'aiuto a chi si sente criticato ingiustamente o messo in disparte. Ai miei coetanei dico: la vita è solo questione di allenamento, un viaggio a piedi tra alti e bassi, ma il ritmo della camminata lo decidi tu”.
Michele Calamita ha trovato nell'arte il suo riscatto
Michele Calamita ha trovato nell'arte il suo riscatto
E che cosa ti ha spinto a cominciare a dipingere? “Ho iniziato già all'asilo nido quando la maestra Rosanna riconobbe in me estro creativo e decise di insegnarmi tutto quello che sapeva sull'arte. Un altro episodio che ricordo con tanto amore è la mostra di Modigliani: avevo 4 anni, ci andai con mia madre e rimasti estasiato da tanta bellezza”. Quali le ispirazioni per i tuoi quadri? “Mi ispiro a Picasso, Mirò, Caravaggio. Osservo persone e luoghi e li trasformo nel linguaggio della fantasia a seconda delle emozioni che mi suscitano”. Come definiresti il tuo stile? “Mi piace definirlo ‘Astrattismo Digitale’ perché creo le bozze manualmente, ma gran parte del mio lavoro viene poi ottimizzato attraverso il canale Digital. Fondere tradizione e innovazione è il mio intento e spero di riuscirci”.
Il 12enne Michele Calamita
Il 12enne Michele Calamita
Quale materiale usi? “Per i miei bozzetti uso colori acrilici, pastelli, acquarelli, spugne, sale, sabbia, pennarelli, matite. Poi utilizzo uno scanner e ridefinisco l'immagine digitalmente valorizzando soprattutto le ombre che, spesso, nascondono visi e prospettive essenziali. A volte nascono già digitali e utilizzo un programma per creare alcune forme di base e poi fraziono le immagini finché non riesco a ricomporre il soggetto che ho immaginato e lo dipingo con software painting. La realtà è più di ciò che noi vediamo, è fatta di piccoli dettagli a cui io voglio dare il giusto risalto". Come hai deciso di cominciare a mostrarli? “La mamma mi ha fatto una sorpresa iscrivendomi alla selezione per la Prima Biennale d'Europa; poco dopo siamo stati contattati dalla dottoressa Belinda Dagnino di Effetto Arte/Art Now e all'inizio pensavo fosse un brutto scherzo. Solo dopo aver letto e parlato con la mia curatrice ho capito che era tutto vero e da lì è partita ogni cosa”. In cosa la tecnologia aiuta il tuo lavoro? “I mezzi digitali mi aiutano a ottimizzare le idee per offrire un linguaggio giovane, rispettoso della tradizione ma coraggioso e radicato in questo tempo storico in cui il rapporto tra uomo e computer è inevitabile. La mia è una generazione che ha sempre un passo nel futuro, forse siamo proprio nati lì”.
Michele Calamita con una delle sue opere
Michele Calamita con una delle sue opere
Che cosa secondo te piace della tua opera ai critici e alla gente? “Piace la mia visione della realtà che è fatta di cose oggettive e di impressioni. I critici mi fanno sempre molti complimenti per le scelte cromatiche e perché le immagini sono potenti ed esprimono tanti sentimenti diversi. Disegno l'anima delle persone e dei luoghi in cui mi trovo. L'arte per me deve essere una porta aperta che mette in comunicazione l'artista con tutti”. Quali progetti hai? “Il mio sogno è girare il mondo e incontrare tante persone a cui raccontare la mia visione dell’arte. Voglio creare un linguaggio universale, a cui tutti si possano rivolgere con fiducia. L'arte deve sollevare dalla fatica e spronare a riflettere sulla realtà”.
Michele Calamita con una delle sue opere
Michele Calamita con una delle sue opere
Come va la scuola? “A scuola vado bene, ho buoni voti e mi piace frequentare, sono contento perché imparo molte cose nuove e vado d'accordo con i miei compagni”. Che cosa ti piace della gente? “Mi piacciono le persone divertenti, intraprendenti, che si mettono in gioco”. E del mondo? “Mi piace viaggiare perché ogni luogo è diverso dall'altro: cultura, usanze, modi di dire e di fare. Mi piace mescolarli ai miei e portare il mio punto di vista ovunque vada”. Che cosa non ti piace di ciò che ti circonda? “Non mi piacciono gli incivili: chi tende a mortificare il prossimo, i vandali, gli arroganti”. Di cosa hai paura? “Non mi spaventa quasi nulla, sono un resiliente: le difficoltà devono essere un punto di partenza per la realizzazione personale”. Che cosa ami di più di Michele e che cosa non ami? “Di me stesso amo il coraggio, la rivoluzione, la curiosità e la voglia di stare bene con tutti. A volte sono insicuro, ma ci sto lavorando”.
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