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Home » Scienze e culture » Brasile, incinta a 11 anni, il giudice nega l’aborto: l’avvertimento per gli Usa del dopo-Roe

Brasile, incinta a 11 anni, il giudice nega l’aborto: l’avvertimento per gli Usa del dopo-Roe

Il caso della bambina mostra cosa succede quando i diritti riproduttivi vengono considerati come un'ultima risorsa e non servizio pubblico

Marianna Grazi
29 Giugno 2022
bambina incinta brasile

Ad una bambina di 11 anni incinta a causa di una violenza era stato negato da un giudice l'aborto

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Ha lottato per settimane per affermare i suoi diritti in un tribunale brasiliano. Ma una bambina di 11 anni è stata costretta dai giudici a portare avanti una gravidanza dopo essere stata violentata. Secondo quanto riportato da The Intercept Brasil la piccola, con il sostegno della madre, aveva cercato di abortire non appena scoperto di essere incinta, quando aveva appena 10 anni. Un caso gravissimo, inaccettabile nella sua terribile concretezza, ed emblematico di quello che potrebbe accadere negli Stati Uniti alle prese con le conseguenze della decisione della Corte suprema che ha abolito la Roe v. Wade.

La vicenda della bambina di 11 anni

Un ospedale di Santa Catarina, lo Stato meridionale in cui vivono mamma e figlia, si è rifiutato di eseguire la procedura sulla bimba senza chiedere prima l’approvazione del tribunale, poiché il feto aveva allora 22 settimane: due in più rispetto a quelle fissate nella politica dell’ospedale. Sebbene una direttiva del Ministero della Salute brasiliano raccomandi un limite di 20-22 settimane per le interruzioni di gravidanza, il codice penale consente di abortire in caso di violenza sessuale senza imporre alcun limite di tempo e senza richiedere un’autorizzazione giudiziaria. La bambina incinta, tuttavia, si è trovata davanti a un giudice, con il feto in crescita che metteva a rischio la sua giovane vita ogni giorno che passava. Invece di permettere alla giovanissima madre di abortire legalmente, il giudice Joana Ribeiro Zimmer ha ordinato di separarla dalla famiglia e di portarla in un centro di accoglienza, presumibilmente per proteggerla da ulteriori abusi.

giudice joana ribeiro zimmer
La giudice brasiliana Joana Ribeiro Zimmer

Se non bastasse questa assurda decisione, a rendere la vicenda ancora più drammatica è stato il parere della  Ribeiro Zimmer allegato alla decisione: la mossa di bloccare l’aborto è stata fatta per evitare quello che il giudice ha erroneamente definito un “omicidio“. Solo dopo la denuncia di Intercept Brasil, questa settimana è stata emessa una nuova sentenza del tribunale che ha permesso alla ragazza di lasciare il centro di accoglienza e ormai oltre le 29 settimane di gravidanza si è sottoposta all’intervento giovedì ed è stata dichiarata in buone condizioni di salute. Ribeiro Zimmer, invece, è stata messa sotto inchiesta da un organo giudiziario nazionale. La crudeltà di questa logica è evidente. “Oggi la scienza può salvare il bambino. E abbiamo 30mila coppie che vorrebbero adottarlo, che lo accettano”, aveva detto Ribeiro Zimmer alla madre della ragazza incinta. “Il dolore di oggi per lei e per sua figlia è la gioia di un’altra coppia“, ha detto. La madre ha risposto in lacrime: “È una gioia perché loro non stanno vivendo quello che sto vivendo io”.

Un avvertimento per gli Usa del “dopo-Roe”

aborto brasile-usa
La decisione del giudice brasiliano è un triste quanto importante avvertimento di quello che potrebbe accadere negli Usa

Le osservazioni del giudice Ribeiro Zimmer rispecchiano le parole di Amy Coney Barrett, l’ultima conservatrice entrata a far parte della Corte Suprema Usa, la quale ha suggerito che le leggi sulle adozioni “sicure” giustificano il divieto di aborto, poiché la scelta di dare un bambino in adozione elimina “l’onere eccessivo della maternità”. Il caso brasiliano è infatti  è un triste promemoria di cosa significhi mettere il destino delle libertà e dei diritti riproduttivi nelle mani di un sistema giudiziario di destra.
Le leggi brasiliane sull’aborto sono altamente restrittive: i fornitori e le richiedenti sono criminalizzati, con eccezioni solo nei casi in cui la vita della persona incinta sia in pericolo, in caso di stupro o quando il feto è affetto da anencefalia (mancano parti del cervello e del cranio).

Molti Stati negli Usa operano già con restrizioni simili: impossibile accedere all’aborto, medici e donne controllati e terrorizzati. Le nascite forzate sono ormai cosa comune e ora che l’era post-Roe è entrata vigore in 13 Stati sono già pronte le leggi che vietano automaticamente tutti gli aborti nel primo e nel secondo trimestre, molti dei quali senza eccezioni per lo stupro (anche se alcune, come nel caso della Louisiana, sono state temporaneamente bloccate).

La struttura di potere degli Stati Uniti è piena di “Ribeiro Zimmer”: ideologi conservatori così impegnati nel pro-natalismo coercitivo, che qualsiasi vita, anche quella di una bambina viva e incinta, è considerata “usa e getta” al servizio del nascituro. Il caso brasiliano, infine, chiarisce anche i rischi di lottare per un accesso solo marginale all’aborto. Ma un mondo in cui vi sia vera giustizia riproduttiva non è quello in cui l’aborto è consentito solo in caso di stupro o quando c’è un rischio per la vita della madre. Nessuno deve annunciare di essere stato violentato per interrompere una gravidanza indesiderata.

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Instagram

  • «Era terribile durante il fascismo essere transessuale. Mi picchiavano e mi facevano fare delle cose schifose. Mi imbrattavano con il catrame e mi hanno rasato. Ho preso le botte dai fascisti perché mi ero atteggiato a donna e per loro questo era inconcepibile».

È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l’unica persona trans italiana sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti.

#lucenews #lucysalani #dachau
  • È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l
  • Elaheh Tavakolian, l’iraniana diventata uno dei simboli della lotta nel suo Paese, è arrivata in Italia. Nella puntata del 21 marzo de “Le Iene”, tra i servizi del programma di Italia 1, c’è anche la storia della giovane donna, ferita a un occhio dalla polizia durante le proteste in Iran. Nella puntata andata in onda la scorsa settimana, l’inviata de “Le Iene” aveva incontrato la donna in Turchia, durante la sua fuga disperata dall’Iran, dove ormai era troppo pericoloso vivere. 

“Ho molta paura. Vi prego, qui potrebbero uccidermi” raccontava l’attivista a Roberta Rei. Già in quell’occasione, Elaheh Tavakolian era apparsa con una benda sull’occhio, a causa di una grave ferita causatale da un proiettile sparato dalle forze dell’ordine iraniane durante le manifestazioni a cui ha preso parte dopo la morte di Mahsa Amini.

Elaheh Tavakolian fa parte di quelle centinaia di iraniani che hanno subito gravi ferite agli occhi dopo essere stati colpiti da pallottole, lacrimogeni, proiettili di gomma o altri proiettili usati dalle forze di sicurezza durante le dure repressioni che vanno avanti ormai da oltre sei mesi. La ragazza, che ha conseguito un master in commercio internazionale e ora lavora come contabile, ha usato la sua pagina Instagram per rivelare che le forze di sicurezza della Repubblica islamica stavano deliberatamente prendendo di mira gli occhi dei manifestanti. 

✍ Barbara Berti

#lucenews #lucelanazione #ElahehTavakolian #iran #leiene
  • Ha 19 anni e vorrebbe solo sostenere la Maturità. Eppure alla richiesta della ragazza la scuola dice di no. Nina Rosa Sorrentino è nata con la sindrome di Down, e quel diritto che per tutte le altre studentesse e studenti è inviolabile per lei è invece un’utopia.

Il liceo a indirizzo Scienze Umane di Bologna non le darà la possibilità di diplomarsi con i suoi compagni e compagne, svolgendo le prove che inizieranno il prossimo 21 giugno. La giustificazione – o la scusa ridicola, come quelle denunciate da CoorDown nella giornata mondiale sulla sindrome di Down – dell’istituto per negarle questa possibilità è stata che “per lei sarebbe troppo stressante“.

Così Nina si è ritirata da scuola a meno di tre mesi dalla fine della quinta. Malgrado la sua famiglia, fin dall’inizio del triennio, avesse chiesto agli insegnanti di cambiare il Pei (piano educativo individualizzato) della figlia, passando dal programma differenziato per gli alunni certificati a quello personalizzato per obiettivi minimi o equipollenti, che prevede l’ammissione al vero e proprio esame di Maturità. Ma il liceo Sabin non ha assecondato la loro richiesta.

Francesca e Alessandro Sorrentino avevano trovato una sponda di supporto nel Ceps di Bologna (Centro emiliano problemi sociali per la Trisomia 21), in CoorDown e nei docenti di Scienze della Formazione dell’Alma Mater, che si sono detti tutti disponibili per realizzare un progetto-pilota per la giovane studentessa e la sua classe. Poi, all’inizio di marzo, la doccia fredda: è arrivato il no definitivo da parte del consiglio di classe, preoccupato che per la ragazza la Maturità fosse un obiettivo troppo impegnativo e stressante, tanto da generare “senso di frustrazione“, come ha scritto la dirigente del liceo nella lettera che sancisce l’epilogo di questa storia tutt’altro che inclusiva.

“Il perché è quello che ci tormenta – aggiungono i genitori –. Anche la neuropsichiatra concordava: Nina poteva e voleva provarci a fare l’esame. Non abbiamo mai chiesto le venisse regalato il diploma, ma che le fosse data la possibilità di provarci”.

#lucenews #lucelanazione #disabilityinclusion #giornatamondialedellasindromedidown
Ha lottato per settimane per affermare i suoi diritti in un tribunale brasiliano. Ma una bambina di 11 anni è stata costretta dai giudici a portare avanti una gravidanza dopo essere stata violentata. Secondo quanto riportato da The Intercept Brasil la piccola, con il sostegno della madre, aveva cercato di abortire non appena scoperto di essere incinta, quando aveva appena 10 anni. Un caso gravissimo, inaccettabile nella sua terribile concretezza, ed emblematico di quello che potrebbe accadere negli Stati Uniti alle prese con le conseguenze della decisione della Corte suprema che ha abolito la Roe v. Wade.

La vicenda della bambina di 11 anni

Un ospedale di Santa Catarina, lo Stato meridionale in cui vivono mamma e figlia, si è rifiutato di eseguire la procedura sulla bimba senza chiedere prima l'approvazione del tribunale, poiché il feto aveva allora 22 settimane: due in più rispetto a quelle fissate nella politica dell'ospedale. Sebbene una direttiva del Ministero della Salute brasiliano raccomandi un limite di 20-22 settimane per le interruzioni di gravidanza, il codice penale consente di abortire in caso di violenza sessuale senza imporre alcun limite di tempo e senza richiedere un'autorizzazione giudiziaria. La bambina incinta, tuttavia, si è trovata davanti a un giudice, con il feto in crescita che metteva a rischio la sua giovane vita ogni giorno che passava. Invece di permettere alla giovanissima madre di abortire legalmente, il giudice Joana Ribeiro Zimmer ha ordinato di separarla dalla famiglia e di portarla in un centro di accoglienza, presumibilmente per proteggerla da ulteriori abusi.
giudice joana ribeiro zimmer
La giudice brasiliana Joana Ribeiro Zimmer
Se non bastasse questa assurda decisione, a rendere la vicenda ancora più drammatica è stato il parere della  Ribeiro Zimmer allegato alla decisione: la mossa di bloccare l'aborto è stata fatta per evitare quello che il giudice ha erroneamente definito un "omicidio". Solo dopo la denuncia di Intercept Brasil, questa settimana è stata emessa una nuova sentenza del tribunale che ha permesso alla ragazza di lasciare il centro di accoglienza e ormai oltre le 29 settimane di gravidanza si è sottoposta all'intervento giovedì ed è stata dichiarata in buone condizioni di salute. Ribeiro Zimmer, invece, è stata messa sotto inchiesta da un organo giudiziario nazionale. La crudeltà di questa logica è evidente. "Oggi la scienza può salvare il bambino. E abbiamo 30mila coppie che vorrebbero adottarlo, che lo accettano", aveva detto Ribeiro Zimmer alla madre della ragazza incinta. "Il dolore di oggi per lei e per sua figlia è la gioia di un'altra coppia", ha detto. La madre ha risposto in lacrime: "È una gioia perché loro non stanno vivendo quello che sto vivendo io".

Un avvertimento per gli Usa del "dopo-Roe"

aborto brasile-usa
La decisione del giudice brasiliano è un triste quanto importante avvertimento di quello che potrebbe accadere negli Usa
Le osservazioni del giudice Ribeiro Zimmer rispecchiano le parole di Amy Coney Barrett, l'ultima conservatrice entrata a far parte della Corte Suprema Usa, la quale ha suggerito che le leggi sulle adozioni "sicure" giustificano il divieto di aborto, poiché la scelta di dare un bambino in adozione elimina "l'onere eccessivo della maternità". Il caso brasiliano è infatti  è un triste promemoria di cosa significhi mettere il destino delle libertà e dei diritti riproduttivi nelle mani di un sistema giudiziario di destra. Le leggi brasiliane sull'aborto sono altamente restrittive: i fornitori e le richiedenti sono criminalizzati, con eccezioni solo nei casi in cui la vita della persona incinta sia in pericolo, in caso di stupro o quando il feto è affetto da anencefalia (mancano parti del cervello e del cranio). Molti Stati negli Usa operano già con restrizioni simili: impossibile accedere all'aborto, medici e donne controllati e terrorizzati. Le nascite forzate sono ormai cosa comune e ora che l'era post-Roe è entrata vigore in 13 Stati sono già pronte le leggi che vietano automaticamente tutti gli aborti nel primo e nel secondo trimestre, molti dei quali senza eccezioni per lo stupro (anche se alcune, come nel caso della Louisiana, sono state temporaneamente bloccate). La struttura di potere degli Stati Uniti è piena di "Ribeiro Zimmer": ideologi conservatori così impegnati nel pro-natalismo coercitivo, che qualsiasi vita, anche quella di una bambina viva e incinta, è considerata "usa e getta" al servizio del nascituro. Il caso brasiliano, infine, chiarisce anche i rischi di lottare per un accesso solo marginale all'aborto. Ma un mondo in cui vi sia vera giustizia riproduttiva non è quello in cui l'aborto è consentito solo in caso di stupro o quando c'è un rischio per la vita della madre. Nessuno deve annunciare di essere stato violentato per interrompere una gravidanza indesiderata.
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