Bologna, voci dal Pride: per la prima volta le tre realtà lesbiche cittadine sfilano insieme

Una risposta agli episodi di lesbofobia sistemica, un atto di protesta ma anche di riscoperta delle proprie genealogie

di MARIANNA GRAZI -
1 luglio 2022
Lesbiche In Rivolta @facocerinosocial

Lesbiche In Rivolta @facocerinosocial

L'onda multiforme del Rivolta Pride ha attraversato, sabato 25 giungo, le vie di Bologna. Un appuntamento che non manca mai di colorare le strade cittadine durante il mese dell'orgoglio, che ogni anno si celbra a giugno. Ma quest'anno un fatto lo ha reso particolarmente significativo: per la prima volta 3 realtà lesbiche della città, l’associazione Lesbiche Bologna, la Collettiva Elettronika e Some Prefer Cake (festival internazionale di cinema lesbico bolognese organizzato dall'associazione Luki Massa), hanno messo insieme le forze con il carro Lesbiche in rivolta”.

La rappresentanza negata e i dati (in crescita) della lesbofobia

Lesbiche Bologna

Lesbiche Bologna

La soggettività lesbica, purtroppo, è da sempre vittima di un processo di invisibilizzazione, stigmatizzazione e stereotipizzazione messo in atto, in modo strutturale e sistemico, da una cultura dominante sessista, patriarcale e maschilista. Questi fenomeni si traducono inevitabilmente in violenza: gli episodi di lesbofobia anche negli ultimi anni, non hanno fatto che crescere. Non meno di un mese fa una coppia lesbica è stata aggredita a Bologna, un episodio raccontato dall'attivista queer Luce Scheggi. Sono stati 100 i casi di violenza lesbofobica in Italia negli ultimi dieci anni (2011-2021), una media di 10 casi all’anno. Un dato significativo che però si riferisce solo a quanto riportato dai media, tralasciando una sommerso che viene alla luce invece dai risultati del questionario anonimo con cui l’Osservatorio del progetto Medus3. OsservAzioni sulla Lesbofobia ha censito gli episodi di violenza lesbofobica subiti da persone che si identificano come lesbiche, bisessuali o queer. Se l'aggressione verbale rimane la forma più comune (63%), molto spesso perpetrata in luoghi pubblici, non mancano episodi di violenza fisica e addirittura lesbicidio, come il caso di Elisa Pomarelli, uccisa nel 2019 a Piacenza da Massimo Sebastiani.

Maria Laricchia, attivista e presidente di Lesbica Bologna

Maria Laricchia (Foto: Giuditta Pellegrini)

Com’è stato il Pride di quest’anno, con questa prima volta importante? “Quest’anno abbiamo scelto di essere al Pride insieme e il seguito che abbiamo avuto è stato veramente un grandissimo successo. Siamo riuscite a portare veramente avanti quella visibilità lesbica di cui sentivamo forte il desiderio, eravamo tantissime: i giornali riportano 35mila persone, anche se solitamente il numero che dà la questura è inferiore alla partecipazione effettiva. Da una parte c’era l’aspetto della protesta legata al Pride – le violenze, le discriminazioni che in quanto lesbiche subiamo –, ma anche tutto un aspetto celebrativo, che riguarda la gioia di dirci ed essere lesbiche, e che riguarda le relazioni e le connessioni con le nostre genealogie”.

È ancora necessaria la protesta? “Ci deve essere assolutamente. I nostri vissuti sono ancora pieni di aggressioni e violenze che subiamo ogni giorno, in ogni contesto. Ci teniamo a ribadire che la lebofobia che le lesbiche subiscono è sistemica, permea ogni aspetto del nostro vissuto. Prima di tutto si verifica in famiglia, poi nei luoghi pubblici e non sono da meno anche i contesti lavorativi, scolastici e istituzionali. Dall’anno scorso abbiamo lavorato insieme ad altre realtà lesbiche sul territorio nazionale alla costruzione del progetto 'Medus3. OsservAzioni sulla Lesbofobia' che aveva un doppio obiettivo: raccogliere i casi mediatici, attraverso un osservatorio, e raccogliere dati dal basso attraverso un questionario”.

Cosa ne è emerso? “Una grande discrepanza tra le percentuali degli episodi di lesbofobia che vengono raccontati attraverso i media e quelli che ci sono stati riferiti direttamente dalle interessate. Uno dei dati più importanti che è emerso è che 2 lesbiche su 3 dichiarano di aver subito lesbofobia nella loro esistenza. Violenza che si manifesta sotto diverse forme, all’apice ci sono i lesbicidi, come quello di Elisa Pomarelli avvenuto nel 2019. Questo progetto nasce dalla rabbia, dal dolore provato per la perdita di questa compagna lesbica attivista di ‘Non una di meno Piacenza’. Abbiamo voluto dire la nostra e far emergere sempre più questo fenomeno che sempre più spesso viene fatto ricadere sotto il cappello dell’omofobia”.

Lesbiche In Rivolta (@facocerinosocial)

Maria Laricchia con le "Lesbiche In Rovolta" al Pride di Bologna (@facocerinosocial)

Ci spiega cosa differenzia la lesbofobia dalla più generica omofobia? “La lesbofobia è una violenza specifica, che è anche una violenza di genere. Comunque siamo socializzate come donne e disattendiamo quindi tutta una serie di aspettative che vanno dall’espressione all’identità di genere, fino ai ruoli di genere. Questo rientra nel ‘pacchetto’ violenza sulle donne, però poi ci sono le specifiche. Ad esempio le soggettività ‘butch’ sono vittime di un certo tipo di azione perché hanno un’espressione di genere ‘mascolina’, le soggettività ‘femme’ subiscono invece quelle violenze tipo il catcalling o la presunzione di un’eteronormatività che si dà per scontata”.

Anche le lesbiche non sono tutte uguali… “Assolutamente sì! Quest’anno come Lesbiche Bologna abbiamo aperto un percorso di elaborazione politica di autocoscienza, a cui hanno aderito 64 lesbiche nel corso delle tre edizioni, da marzo a giugno. Uno dei fattori comuni che sono emersi è l’aspetto caleidoscopio che hanno le lesbiche, la variabilità che c’è tra tutte noi. Lo abbiamo visto anche guardando semplicemente i nostri corpi. Lo stereotipo della vera lesbica attribuito generalmente alla ‘butch’ va assolutamente sfatato. Le vere lesbiche sono quelle che si autodeterminano come tali”. 

Elisa Coco, attivista lesbica e membro del festival Some Prefer cake

Lesbiche in Rivolta

Lesbiche in Rivolta

Quella lettera “L” di Lgbtq+ allora diventa solo una forma di rappresentazione generale, non una scatola chiusa entro cui identificarsi… “Il tema della visibilità è fondamentale per far vedere quante siano le possibili sfaccettature dell’essere lesbiche oggi. Anche dire che ci sono quelle che hanno una contiguità con l’esperienza trans è importante, perché sappiamo che ci sono anche posizioni transfobiche nel nostro mondo e ci teniamo a raccontare le lotte comuni e il fatto che le due esperienze sono in forte dialogo da tanti punti di vista: esistono lesbiche trans o cis, ci sono ragazzi trans che hanno vissuto o fatto attivismo per anni come lesbiche e sono molto legati al contesto. Anche al Pride si è visto, c’erano una miriade di espressioni diverse: il lavoro sulla visibilità e sulla pluralità del lesbismo che si riesce a fare durante le parate ci piacerebbe che potesse essere fatto anche tutti gli altri giorni dell’anno, cercando di demolire gli stereotipi”. 

Elisa Coco

Elisa Coco, attivista lesbica del festival Some Prefer Cake

Quali sono gli obiettivi che portate avanti? “C’è sicuramente un lavoro contro l’invisibilizzazione.  Anche a livello mainstream quando si parla di ‘omosessuali’ – parola che ha una genesi medicalizzata – è una categoria in cui le lesbiche non si riconoscono. La parola lesbica è ancora percepita come un tabù in molti contesti e spesso rientriamo nella categoria ‘omosessuali’, che è come usare ‘uomini’ per intendere il genere umano applicato al contesto Lgbt. Per noi è una questione fondamentale anzitutto la visibilità della parola, sia per quanto riguarda la soggettività che la violenza: quando se ne parla nei riguardi di persone Lgbt va usato 'omolesbobitransfobia', temine che tiene dentro almeno una pluralità di dimensioni diversi che può assumere la violenza.

Poi c’è il contrasto agli stereotipi, e quindi dare spazio plurale alle lesbiche. E ancora, il tema del binarismo di genere, il contrasto alla presunzione di eterosessualità e, in ultimo, c’è molta rabbia per la strumentalizzazione della soggettività lesbica in chiave transfobica. Vogliamo invece ribadire la continuità tra le lotte lesbiche e trans. Durante il Pride abbiamo ricordato che Sylvia Rivera (donna transgender, ndr) e Stormé DeLarverie(Lesbica butch, ndr) erano insieme a Stonewall e in quel contesto, quelli anni subivano la stessa oppressione”.

Uno dei due temi portanti del carro lesbico alla parata era quello delle genealogie…“Significa recuperare una storia lesbica che, comunque, non è visibile in Italia. Per esempio molti testi di autrici importantissime, straniere, non sono stati tradotti. Anche per tante personalità della cultura lesbiche è stata cancellata la parte del lesbismo dalla loro biografia. In ultimo il triste esempio di Patrizia Cavalli, che noi abbiamo inserito nelle genealogie in corner, quando abbiamo ricevuto la notizia della sua scomparsa, perché per noi è una poeta di riferimento. Del suo lesbismo non si parla nei coccodrilli sui media. Tra le genealogie c’era anche Luki Massa, attivista lesbica da cui nasce il festival Some prefer cake, fondatrice del primo collettivo lesbico di Bologna, il Tiaso, di cui si sa pochissimo”. 

attivista luki massa

L'attivista Luki Massa

Cosa vuol dire essere lesbica, oggi, nel nostro Paese?

Penso non ci sia un’unica esperienza dell’essere lesbiche in Italia, dipende molto dai contesti – dice Elisa Coco –  Banalmente dove vivi, il contesto sociale, quello familiare, possono essere esperienze molto diverse. Noi siamo a Bologna, città dove esiste un tessuto associativo e collettivo molto forte. Ma basta allontanarsi di qualche chilometro e la situazione cambia radicalmente, così come in altre zone d’Italia. È un’esperienza che varia molto – sottolinea –. Il percorso di autocoscienza con le prime persone lo avevamo fatto online, c’erano ancora le restrizioni da pandemia: è stata l’occasione perché lesbiche da varie parti d’Italia potessero partecipare e alcune di loro, che abitano in contesti di provincia, ci hanno raccontato di una grande solitudine e di difficoltà. Così come in contesti familiari respingenti: se va bene c’è invisibilizzazione, 'fai quello che vuoi basta che non me lo dici e ti nascondi', se va male di violenza diretta, in varie forme. La cultura dominante, lo sappiamo bene, è ancora omolesbobitransfobica ma più visibilità c’è (per strada, nei luoghi pubblici, oltre che in quelli a noi dedicati) più le possibilità di potersi esprimere liberamente aumentano” asserisce. 

Lesbiche in Rivolta

Lesbiche in Rivolta (Foto: Giuditta Pellegrini)

"È una domanda che noi ci poniamo in questi percorsi di autocoscienza – interviene Maria Laricchia –, da ogni persona che racconta la sua esperienza emerge una risposta differente. Sono d'accordo con Elisa quando dice che non c'è una sola risposta al 'cosa significa dirsi lesbica oggi', anche perché ci sono alcune che la intendono come orientamento sessuale, altre che la interpretano su di sé come identità di genere, e altre ancora come una soggettivazione politica, quindi intesa come sottrazione a un sistema etero-cis-patriarcale che impone determinate performatività di genere e ruoli" conclude.