Emirati Arabi, Amazon blocca le parole Lgbt. "Dobbiamo rispettare le leggi nei Paesi dove operiamo"

di EDOARDO MARTINI
6 luglio 2022

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Cosa non si fa per soldi. Anche Amazon si deve inchinare al governo degli Emirati Arabi, decidendo di assecondare l'omofobia del Paese e il proprio profitto, anziché fare un passo indietro e ritirarsi dalla vendite di tutta la merce in quella nazione.

Amazon ha deciso di limitare i risultati delle ricerche LGBT negli Emirati Arabi Uniti dopo le decisioni del Governo

"Dobbiamo rispettare le leggi dei paesi in cui operiamo" la giustificazione di Amazon

"Dobbiamo anche rispettare le leggi e i regolamenti locali dei Paesi in cui operiamo", è stata questa la dichiarazione della portavoce di Amazon dopo che nella giornata di venerdì il New York Times ha riportato la notizia secondo cui, negli Emirati Arabi Uniti, il gigante dell’e-commerce ha bloccato i risultati di ricerca di determinati prodotti a tema LGBTQ+. "Come azienda, rimaniamo impegnati per la diversità, l’equità e l’inclusione e crediamo che i diritti delle persone LGBTQ+ debbano essere protetti". Dopo una serie di pressioni da parte del governo della regione che avrebbe minacciato l'azienda con pesanti sanzioni se le limitazioni non fossero state messe in atto entro la giornata di venerdì la scelta è stata fatta. Già dalla stessa mattina, infatti, molti prodotti a tema Pride non erano più disponibili sul portale Amazon attivo negli Emirati Arabi, così come libri su tematiche LGBT o di autori queer. La ricerca di parole chiave come “Lgbtq” e “pride” producono zero risultati, così come sono state bloccate anche query molto più mirate, ad esempio “bandiera transgender”, “binder toracico per lesbiche” e “closeted gay”. Non sappiamo ancora di quali sanzioni si tratta, ma i documenti visionati dal New York Times  parlano di un chiaro divieto di eliminare tutti i rimandi ai prodotti inerenti all’argomento LGBTQ+. Di conseguenza il colosso commerciale è finito nel mirino della critica visto che le politiche di Amazon promuovono l’inclusione e il supporto alla causa della comunità. Principi che però questa volta sono andati a scontrarsi proprio con le leggi di quei paesi in cui il suo servizio opera e che sono apertamente anti-LGBT.

ll Seattle Pride ha tagliato i rapporti con Amazon dopo il suo appoggio a politici anti-LGBT

"Non possiamo collaborare con organizzazioni che sostengono politiche discriminatorie"

La notizia arriva pochi giorni dopo l’annuale Gay Pride di Seattle, città natale di Amazon. Appare però evidente il compromesso che le Big Tech statunitensi sono disposte ad accettare pur di continuare a lavorare in Paesi dove i diritti che dicono di difendere vengono calpestati, negati e criminalizzati. Amazon era già stata criticata per il suo approccio ipocrita alle questioni LGBTQIA+ anche negli Stati Uniti. Il gruppo no-profit Seattle Pride, che organizza la manifestazione, ha recentemente tagliato i ponti con Amazon per il suo “sostegno a politici anti-LGBTQIA+”. Il gruppo ha citato una serie di attività politiche, tra cui le donazioni di Amazon di oltre 450.000 dollari ai legislatori che hanno votato contro l’Equality Act nel 2020, una legge che, integrando il Civil Rights Act del 1964, estende anche all’orientamento sessuale e all’identità di genere il divieto di discriminazione basato su etnia, colore, religione, sesso e nazionalità. “Non possiamo collaborare con organizzazioni che danneggiano attivamente la nostra comunità sostenendo leggi e politiche discriminatorie”, ha dichiarato il Seattle Pride e la sua direttrice esecutiva, Krystal Marx, ha aggiunto che Amazon ha offerto 100.000 dollari al gruppo per una serie di cambiamenti che mettessero in evidenza la sponsorizzazione dell’azienda, tra cui la ridenominazione della parata in “Seattle Pride Parade Presented by Amazon”. Tuttavia l'azienda fondata da Jeff Bezos non è l’unica azienda connivente. Netflix, per esempio, ha ritirato spettacoli in Arabia Saudita e censurato scene in Vietnam, Apple ha conservato i dati dei clienti su server cinesi nonostante le preoccupazioni sulla privacy e Google l’anno scorso ha rimosso l’app di un leader dell’opposizione russa dopo essere stato minacciato di azioni penali da Mosca.