Neonato morto a Roma: cos'è il rooming in, tra benefici e rischio stanchezza della madre

Tra 60 giorni i risultati dell'autopsia sul bambino. Intanto si moltiplicano i messaggi di solidarietà verso la 29enne e le testimonianze di altre donne

di MARIANNA GRAZI
27 gennaio 2023
neonato morto roma

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La vicenda del neonato morto all'ospedale Pertini di Roma è, prima di tutto, una tragedia familiare. Pensate a quella donna, la sua mamma, che da giorni si sente definire nei modi più disparati, vede i titoli dei giornali che quasi l'accusano di aver ucciso il suo bambino. Che la colpa è sua. Perché si è addormentata e così facendo avrebbe schiacciato suo figlio appena nato. Nessuno, nessuno può comprendere il suo dolore, quello di suo marito, quello della sua famiglia. Eppure, nel nostro Paese, la narrativa comune, anche e soprattutto dei mezzi di informazione, colpevolizza esclusivamente la madre. In questo caso una donna troppo stanca che si addormenta mentre allatta. Eppure prima di puntare il dito bisognerebbe semplicemente prendersi un attimo di tempo e pensare a cosa ci sia dietro il mero fatto di cronaca. Intanto perché serviranno 60 giorni per stabilire con certezza i contorni del drammatico episodio avvenuto tra il 7 e l'8 gennaio, quando il neonato, tre giorni, è morto nella stanza d'ospedale in cui si trovava con la sua mamma. È questo il tempo necessario per avere i risultati dell'autopsia. E per ora c'è soltanto una certezza: la signora è risultata negativa a tutti i test tossicologici e quindi è stata accantonata l'ipotesi che quella notte avesse assunto dei farmaci o altre sostanze. Perché (al si là degli obblighi procedurali di giustizia), secondo il tribunale del popolo non poteva trattarsi di sola stanchezza. Una donna che ha affrontato il parto, che si trova catapultata in una dimensione nuova, dovendosi preoccupare non più solo di se stessa ma anche del figlio appena nato, non può essere "solo" esausta. Per non dire stremata. Non può sentirsi sola, senza aiuto. Non è contemplato.

La mamma abbraccia il figlio subito dopo il parto

Cos'è il rooming-in

E si è acceso il dibattito per la pratica del rooming-in, ossia la possibilità che dopo il parto il neonato stia nella stessa stanza della mamma. Una procedura non obbligatoria, che è "ormai consolidata nel contesto nazionale ed internazionale per sostenere il contatto tra neonato e mamma, sin dalle prime ore dopo la nascita", spiegano dalla direzione strategica della Asl Roma 2. Nel 1989 Onu e Unicef, in una dichiarazione congiunta, avevano consigliato di "praticare il rooming-in, permettere cioè alla madre e al bambino di restare insieme 24 ore su 24 durante la permanenza in ospedale". Secondo queste linee guida, un neonato dovrebbe essere tenuto a contatto pelle a pelle con la propria madre subito dopo la nascita o comunque non appena possibile, salvo ovviamente complicazioni durante il parto. Questo perché la neomamma possa iniziare immediatamente ad occuparsi del figlio, in moda da creare un legame forte madre-figlio ed efficace e di favorire l’allattamento. Se questa procedura non viene adottata, invece, la madre può vedere il neonato soltanto negli orari di allattamento, con intervalli di circa di tre ore.

Il parere dei pediatri e dell'ostetrica

La pratica del rooming in, oltre a stabilire un solido legame madre-figlio, favorisce l'allattamento al seno

In Italia il rooming-in non è obbligatorio e le modalità dipendono dalla struttura sanitaria, anche se sono sempre di più quelle che la impiegano. Ogni madre può, però, decidere in autonomia se adottare questa strategia o farsi aiutare (e in che misura) dal personale sanitario. Se, in effetti non esiste una posizione ideale per allattare e le madri potrebbero trovarsi in difficoltà al primo approccio, i pediatri invitano ad "essere vigili sul fatto che il piccolo respiri bene e abbia un buon colorito" e favorire il rooming-in. "Tenere il neonato nella stessa stanza della mamma - dicono - permette di rafforzare il legame e incentivare l'allattamento al seno. È più sicuro che il bimbo dorma nella culletta, evitando materassi o cuscini molto morbidi. Va raccomandato che dorma a pancia sopra. Non aver timore di chiedere che il neonato venga portato nella nursery se si ha bisogno di riposare". "Non è qualcosa di cui vergognarsi - sottolinea la presidente Sip Annamaria Staiano -: la stanchezza dopo il parto può colpire tutte le donne, in misura diversa". "La pratica del rooming in è positiva quando la madre non è sola - dichiara invece Alessandra Bellasio, ostetrica e divulgatrice sanitaria su Unimamma.it -. Il suo bisogno di riposare sembra percepito come un lusso". In un'intervista infatti l'esperta precisa: "Risulta una buona pratica quando alla madre si affianca una figura di supporto, il partner o un’altra persona della famiglia, che possa alternarsi nella cura del piccolo e offrire sostegno e riposo. Viceversa può diventare controproducente - aggiunge - qualora la madre avesse necessità di riposare o riprendersi da un parto difficile o da un intervento chirurgico. In questi casi, infatti, il rooming in dovrebbe essere interrotto per garantire alla mamma gli adeguati tempi di recupero".

La solidarietà femminile sulla tragedia di Roma

Se intorno all'allattamento al seno si è consolidata un'aura di "sacralità" difficile da scalfire, si è invece andata degradando, nel corso dei decenni, la rete sociale che invece in passato supportava le donne durante e soprattutto dopo la gravidanza. Che fosse una balia, una vicina, la nonna o una tata, prima ad affiancare le neomamme c'erano varie figure pronte a sostenerle nella vita quotidiana, fino a sostituirsi temporaneamente al momento del bisogno della madre. "Al Pertini l’hanno abbandonata, la mia compagna non si reggeva in piedi dopo 17 ore di travaglio", ha raccontato il compagno, accusando lo staff dell'ospedale di non aver ascoltato le sue richieste. "Aveva chiesto di portare il bimbo al nido per poter riposare qualche ora, ma le hanno detto di no. [...] E lei, anche se ha 29 anni, era stanchissima, il piccolo era irrequieto, non l’hai mai fatta dormire. Così ha passato le nottate senza chiudere occhio".

Tante donne testimoniano la loro esperienza in ospedale dopo il parto: lasciate sole, stremate, senza support

Le sue parole ricalcano quelle sensazioni che, in questi ultimi giorni, centinaia di donne, di mamme, raccontano di aver provato durante le loro esperienze di parto, difendendo anch'esse la ragazza. La denuncia, comune, è quella di essere state lasciate sole, senza "manuale di istruzione" su come comportarsi, cosa fare con quel nuovo essere umano che era appena venuto al mondo. "A me a momenti mi prendevano per pazza quando dicevo che ero stanca" ci scrive ad esempio un'utente in risposta al post sulla pagina Instagram di Luce!. Durante i primi giorni la donna, che aveva appena partorito una bimba, dice che "per paura di schiacciarla o soffocarla" durante l'allattamento "sono rimasta sveglia seduta tutto il tempo, tre giorni, senza dormire". "Povera mamma, io dovrò partorire tra qualche mese e ho una paura fottuta di rimanere sola con mia figlia, specie se avrò affrontato un lungo travaglio e sarò stremata - scrive un'altra -. Capisco le misure anticovid e tutto, ma i padri dovrebbero poter rimanere in ospedale con le compagne e i figli. Nessuno, a volte nemmeno il personale, capisce e recepisce la stanchezza di una partoriente. Per accudire un figlio appena nato servono riposo e forze". Ancora: "Dal Covid siamo tutte lasciate sole dopo il parto ad accudire il bambino h24. Io l'ho fatto dopo il cesareo e con il catetere. Ma ho avuto la fortuna di avere ostetriche d'oro. Non è scontato oggi". E infine: "Si è passato da un estremo: custodire il bambino al nido e darlo alle mamme solo poche ore, a un altro: affidarlo totalmente alle mamme 24h su 24h".