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Home » Attualità » “Cherchez la femme!”: la presenza femminile nel nuovo Parlamento è ridicola. Chi sono le elette

“Cherchez la femme!”: la presenza femminile nel nuovo Parlamento è ridicola. Chi sono le elette

"Poche, maledette e subito": le donne che non si trovano, almeno non nelle nuove Camere. Disastro, tranne che per FdI e specie nel Pd, nella rappresentanza di genere

Ettore Maria Colombo
4 Ottobre 2022
Il nuovo Parlamento vede una percentuale molto bassa di donne

Il nuovo Parlamento vede una percentuale molto bassa di donne

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Poche donne, soprattutto dentro il centrosinistra, con relative polemiche al fulmicotone, un buon numero nel Terzo Polo. Poche pure dentro i 5 Stelle. Un numero non eclatante, dentro il centrodestra. Non si può proprio dire che le donne, a far di conto, ci abbiano guadagnato, in termini di rappresentanza di genere e, dunque, “quote rosa” alle elezioni politiche, quelle del 25 settembre. Era difficile fare peggio dello stato attuale, ma i partiti sono riusciti a deludere ogni aspettativa. La XIX legislatura che si sta per aprire avrà meno donne in Parlamento di quella precedente: dal 35% del 2018, infatti, si è passati al 31% di donne parlamentari, sul totale delle elette. Ovvero appena 186 contro i 414 colleghi maschi. E, per la prima volta in 20 anni, la percentuale decresce, invece che aumentare. Infatti, se dal 2001 in poi, si erano registrati graduali incrementi ogni volta che si eleggevano le nuove Camere, da quest’anno la tendenza è tutta all’inverso e si scende anche sotto la media Ue (32,8%).

Il Parlamento italiano
Il Parlamento italiano

I numeri sono chiari e impietosi per l’intera classe politica. Come ricorda l’agenzia Ansa, nel 2001, anno della vittoria della Casa delle libertà, le donne elette furono il 10,7% del totale. Da quel momento in poi però, la crescita fu costante: infatti, nel 2006 furono il 15,94%, nel 2008 il 19,63%, nel 2013 il 30,11% e nel 2018 il 35%.
Fino ad arrivare alla situazione paradossale attuale, quella del 2022: l’Italia si prepara ad avere la prima presidente del Consiglio donna, Giorgia Meloni, ma il Parlamento, invece di migliorare la parità di genere, la peggiora… Ora, al netto del fatto che, soprattutto a sinistra, amano lamentarsi degli errori compiuti, ma solo dopo averli fatti (oggi, nel dibattito precongresso del Pd, che si è già aperto dopo le dimissioni di Letta, seguite alla batosta elettorale subito, sono diverse le donne – da Elly Schlein a Paola De Micheli – che si ‘candidano’ a guidare il partito), ovviamente, più del numero, conta ‘chi’ fa ‘cosa’ e, cioè, come si muoveranno e cosa produrranno, le donne, all’interno del prossimo Parlamento. Ma come sarà, dal punto di vista qualitativo, si vedrà meglio solo più avanti. Bisogna ancora conoscerli, misurarli, sottoporli alla prova del fuoco, capire bene ‘chi’ sono e da dove vengono. Sia le donne che, ovviamente, anche gli uomini.

“È la democrazia, bellezza!”. Le lunghe e barocche strade per dare vita a un governo

I nuovi deputati (400) e i nuovi senatori (200, esclusi i sei senatori a vita, veterani dell’aula di palazzo Madama) devono ancora entrarci, nel Parlamento della Repubblica, che inaugurerà la sua XIX legislatura dell’era repubblicana il prossimo 13 ottobre. Quel giorno vi sarà la proclamazione dei nuovi eletti, la formazione dei gruppi parlamentari e, infine, l’elezione dei suoi nuovi organi di comando: le due presidenze, quattro vicepresidenze per ogni aula, otto segretari d’aula cadauno, tre questori a testa, etc.

Ci vorranno, tra un tira e molla e l’altro, due giorni, se tutto va bene. Per il 15 ottobre, dunque, le nuove Camere saranno completate in tutto e per tutto e si potrà procedere – ma al Quirinale – alle consultazioni per formare il nuovo governo. Infatti, come da tradizione, il Capo dello Stato convoca i gruppi parlamentari e ‘anche’, ma solo informalmente, i leader di partito, al seguito dei primi. Poi, finalmente, il rito delle consultazioni (i neo presidenti delle due Camere ‘salgono’ al Colle per primi), l’affidamento dell’incarico, poi le consultazioni del presidente del Consiglio incaricato (che accetta sempre “con riserva”), l’eventuale scioglimento della stessa, la presentazione, al Capo dello Stato, del nuovo governo, il giuramento (al Colle) del presidente del Consiglio e dei suoi ministri, la cerimonia della campanella (il passaggio di consegne dal vecchio al nuovo governo) e, infine, l’insediamento del nuovo governo. Finisce qua?

No, perché il nuovo governo deve ottenere la fiducia (per convenzione politica, ma non – si badi bene – istituzionale, deve cioè ottenere la maggioranza assoluta in entrambe le Camere: 201 voti alla Camera, 104 al Senato, causa la presenza dei 6 senatori a vita che fanno ‘media’) e, una volta incassata quella, entrare in funzione. Segue la nomina di viceministri e sottosegretari. Infine, il governo entra nella pienezza dei poteri. Procedure lunghe, barocche, assai complicate? Vero, ma “è la democrazia, bellezza! E tu non puoi farci nulla!” direbbe Humprey Bogart… Morale, fino a quando il centrodestra cambierà la Costituzione, introducendo il presidenzialismo, si fa così e stop. Persino il centrodestra, a oggi, ‘ci deve stare’. Sarà un nuovo governo a guida Giorgia Meloni, e politicamente di centrodestra, quel governo, il 68esimo dell’era repubblicana (quello Draghi è fino a oggi, infatti, il 67esimo)? Molto probabilmente, se non sicuramente, sì.

La leader di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni sarà la prima donna premier in Italia
La leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni sarà la prima donna premier in Italia

Il primo governo italiano a guida femminile. Ma quante donne, oltre la Meloni, ci saranno?

Trattasi, in buona sostanza, del primo governo italiano che verrà guidato da una donna. Donna il cui profilo abbiamo già descritto su queste stesse pagine (leggi qui). Quindi, non ci dilungheremo su chi è Giorgia Meloni, che tipo di donna è e neppure su che governo farà. Quello che si chiama, in gergo, il totoministri. Anche se, ovviamente, nel gioco che appassiona molto i retroscenisti e molto poco i concittadini – i quali vogliono sapere di come il nuovo governo combatterà il carovita, l’inflazione, gli aumenti esponenziali delle bollette, la guerra in Ucraina e, quindi, che genere di manovra economica farà – la questione della presenza femminile peserà.

Quante saranno le donne, nel suo governo? Certo, già la stessa presenza di una premier donna pesa eccome, nel computo. In ogni caso, nomi di donne, nel toto-ministri, ne girano, e parecchie: Anna Maria Bernini e Licia Ronzulli, entrambe di Forza Italia, Giulia Bongiorno ed Erika Stefani (Lega), Isabella Rauti (FdI), ma anche altre tra cui Elisabetta Belloni (nome tecnico). Pare tramontata, invece, l’idea Letizia Moratti. Potrebbero esserci, in totale, 6/7 donne ministre.

Anna Maria Bernini (Forza Italia) è avvocato e professore di diritto pubblico comparato a Bologna (Facebook)
Anna Maria Bernini (Forza Italia) è avvocato e professore di diritto pubblico comparato a Bologna (Facebook)

Il record (a metà) del governo Renzi e gli altri

Ma qui il record, a oggi ineguagliato, spetta al primo e unico governo guidato da Matteo Renzi (erano otto ministre su dodici, ergo perfetta parità di genere, anche se poi scesero a sole sei). Insomma, prima del governo Renzi, mai nessuno aveva avuto il 50 per cento di ministri donne. Ma il cinquanta rivendicato da Renzi – e, all’epoca, da Maria Elena Boschi (Riforme), veniva meno se si allargava lo sguardo all’intera squadra di governo. Considerando le cariche di viceministri e sottosegretari, la rappresentanza femminile del governo Renzi scendeva, infatti, al 27,5% all’atto dell’insediamento: meno di tre donne su 10. Ma una quota uguale, o superiore, non è stata poi registrata da nessun esecutivo successivo. Né da Gentiloni (5 donne su 18 ministri), né dal Conte I (5 su 18 all’insediamento, poi salite a 6 su 18), né dal Conte II (7 su 22 all’insediamento, poi salite a 8 su 23) né, tantomeno, dall’attuale governo di Mario Draghi, che ne conta appena otto rispetto ai ben 15 ministri uomini in carica.

Per quanto le quote di genere, il governo Draghi resta squilibrato, ma è comunque da tenere presente che gli esecutivi precedenti non avevano fatto meglio. Se si considerano i ministri a inizio incarico, dal terzo governo Andreotti (il primo con una donna ministro: Tina Anselmi, Dc, che era titolare del Lavoro, 1976-1979), la quota di donne presenti nel governo Draghi segue solo il governo Renzi, che, appunto, all’atto della sua nascita, aveva il 50% di ministre donne. Si vedrà solo tra alcune settimane ‘quante’ donne saranno presenti all’interno del governo Meloni.

Tina Anselmi è stata la prima donna ad aver ricoperto la carica di ministro della Repubblica Italiana
Tina Anselmi è stata la prima donna ad aver ricoperto la carica di ministro della Repubblica Italiana

I seggi del nuovo Parlamento nel dettaglio

Ma torniamo al tema delle donne in Parlamento. Con la vittoria netta del centrodestra, la geografia del Parlamento, alla luce della riduzione dei seggi rispetto alla scorsa legislatura, è profondamente cambiata. I nuovi gruppi, come si diceva, sono pronti a formarsi. Il centrodestra elegge in tutto 115 senatori e 237 deputati, cioè fa il pieno. Il centrosinistra raccoglie le briciole: porta a Montecitorio appena 85 deputati e a Palazzo Madama 44 senatori. Ecco la composizione in termini assoluti dei vari gruppi che, appunto, si formeranno formalmente il 13.

Fratelli d’Italia. Alla guida della coalizione c’è il partito di Giorgia Meloni, che a Palazzo Madama avrà un gruppo di 66 senatori e a Montecitorio conterà su 119 deputati.

Lega. Al Senato il partito guidato da Matteo Salvini formerà un gruppo di 29 eletti mentre alla Camera ci saranno 67 deputati.

Forza Italia. Silvio Berlusconi porta a Palazzo Madama una truppa di 18 senatori. Gli azzurri alla Camera saranno invece 44.

Maie. Il Movimento associativo italiani all’estero elegge un senatore e un deputato (due uomini).

Noi Moderati. La lista Noi Moderati, che ha corso in coalizione col centrodestra, avrà a Palazzo Madama un solo senatore, mentre alla Camera la compagine sarà di 7 deputati.

Coraggio Italia. Per Coraggio Italia del sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, un solo senatore e nessun deputato.

Partito democratico. Il partito guidato da Enrico Letta (ancora per poco) porta a Palazzo Madama 40 senatori e a Montecitorio 69 deputati.

Sinistra Italiana e Verdi. La lista che metteva insieme Sinistra Italiana e i Verdi ha eletto 4 senatori e 12 deputati.

+Europa. Il partito di Emma Bonino porta in parlamento solo due deputati, entrambi maschi e entrambi grazie ai collegi uninominali dati dal Pd.

Impegno Civico. Impegno Civico, la neonata formazione politica guidata da Luigi Di Maio, ha eletto un solo deputato, l’ex dc Bruno Tabacci.

Vallée d’Aoste. Per la lista in coalizione con il centrosinistra è stato eletto un solo deputato.

Movimento 5 stelle. Il partito guidato dall’ex premier Giuseppe Conte, che nella scorsa legislatura aveva numeri alti, porta a Palazzo Madama 28 senatori e alla Camera 52 deputati.

Azione e Italia Viva. La lista dei due partiti di Carlo Calenda e Matteo Renzi ottiene 9 senatori e 21 deputati: registra il più alto numero di donne.

SVP. Il partito autonomista trentino della Svp porta alla Camera 3 deputati, al Senato 2 senatori.

‘Sud chiama Nord’ di De Luca. “Sud chiama Nord” di Cateno De Luca, ex sindaco di Messina, ha eletto un deputato e un senatore. Due maschi.

Il terzo polo Azione - Italia Viva di Carlo Calenda ha eletto il 46% di donne
Il terzo polo Azione – Italia Viva di Carlo Calenda ha eletto il 46% di donne

Tirando le somme, se si guardano le performance dei singoli partiti, gli unici ‘fuori dal coro’, in quanto a rappresentanza femminile, sono stati Azione-Iv e Movimento 5 stelle: il partito di Carlo Calenda ha eletto il 46% di donne (14 su 30 parlamentari), mentre il M5s ne elegge il 45% (35 su un totale di 79 parlamentari). Ma, considerando che il Terzo Polo partiva e ha preso percentuali molto più basse (7%), sapendo bene che sarebbe finita così, e il M5s molto più basse, sapendo invece che avrebbe sfondato il 15%, il palmares delle quote rosa spetta al Terzo Polo.

Male, molto male, il Partito Democratico, con appena il 31% di elette (36 su 109) e Alleanza Verdi-Sinistra (30%), due partiti che sulla parità di genere e i diritti delle donne hanno imbastito gran parte della loro campagna elettorale. “Abbiamo un problema”, ha scritto la deputata dem Chiara Gribaudo, neo eletta, su Twitter: “Dobbiamo cambiare radicalmente la cultura patriarcale che ancora sopravvive nel Pd”. Non che le cose vadano meglio a destra. Bloccato al 30%, c’è Forza Italia, ma anche lo stesso Fratelli d’Italia, l’unico partito che può vantare una leadership tutta al femminile. Peggio di tutti, infine, il Carroccio, che non supera quota 29%.

Una legge ingiusta e una giusta denuncia…

Gli annosi guai di rappresentanza femminile nelle stanze del potere politico italiano sono ormai noti. E, a peggiorare la situazione ci si è messa una legge elettorale, il Rosatellum, che seppur formalmente introduca le quote di genere (in percentuale di 60/40 per l’alternanza donna/uomo nelle liste elettorali), concede alcuni espedienti capaci di annullarne qualsiasi effetto. Le liste, infatti, devono essere formate seguendo l’alternanza di genere, è vero. Ma questo non per forza consente alle donne di avere pari diritti di ingresso in Parlamento. Dato che sono state autorizzate le pluricandidature (fino a cinque per ogni lista nei collegi plurinominali, quelli che vengono eletti con sistema proporzionale, detti anche listini ‘bloccati’, e non a caso…), basta candidare la stessa donna in più collegi e, se viene eletta, in uno di questi, dovrà ‘lasciare’ il posto ai candidati uomini in lista dietro di lei. Ma non c’è solo il sistema di voto a giocare contro le donne: le dirigenze dei partiti o, più genericamente, i vertici stessi continuano a essere nella maggior parte dei casi maschili. Non sorprende, quindi, che, in un Parlamento con molti meno posti a disposizione, ad andare avanti siano stati ancora loro: i candidati… uomini.

Al di là di promesse e proclami, è molto chiaro a chi bisogna chiedere contro dell’arretramento: la colpa è, ancora una volta, tutta e solo dei partiti. Lo ha ribadito la sociologa Chiara Saraceno, qualche giorno fa, sul quotidiano La Repubblica: “L’uguaglianza di genere nell’accesso alle responsabilità politiche continua a essere lontana. Non si può dire che sia colpa degli elettori che preferiscono scegliere uomini, dato che l’orrendo sistema elettorale in vigore lascia in mano ai partiti ogni decisione su chi ha più o meno chance di passare. Evidentemente tutti i partiti, chi più, chi meno, incluso quello della Meloni, hanno privilegiato le candidature maschili”. E, di nuovo, pure stavolta non c’è alibi che regga.

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  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
  • Paese che vai inquinamento che trovi. O, se volete, un mal comune che non diventa affatto un mezzo gaudio. Secondo uno studio pubblicato su “The Lancet Planetary Health”, primo autore il professore Yuming Guo, sono infatti a appena 8 milioni le persone che possono dire di respirare aria pulita: lo 0,001% della popolazione mondiale, che vive su una percentuale irrisoria del globo terraqueo, lo 0,18%.

Per i rimanenti 7 miliardi e passa la situazione è grama, se non critica, con la concentrazione annuale di polveri sottili che è costantemente al di sopra della soglia di sicurezza indicata dall’Oms, Organizzazione mondiale della sanità (PM2.5 inferiori a 5 µg/m3), un limite oltre il quale il rischio per la salute diventa considerevole. E come se non bastasse la concentrazione media giornaliera globale è di 32,8 µg/m3, più del doppio della soglia Oms.

Lo studio pubblicato su “Lancet” è il primo al mondo ad aver ricostruito i valori giornalieri di polveri sottili, ovvero smog, su tutto il Pianeta, attraverso un metodo complesso e multifattoriale che ha permesso di ottenere dei valori anche nelle regioni non monitorate, grazie a un mix fatto di osservazioni tradizionali di monitoraggio della qualità dell’aria, rilevatori meteorologici e di inquinamento atmosferico via satellite, metodi statistici e di apprendimento automatico (machine learning).

Dati allarmanti, dunque. Per quanto qualche segnale di miglioramento comincia a intravvedersi, con il totale dei giorni con concentrazioni eccessive che sta diminuendo nel complesso. I dati degli ultimi 20 anni rivelano delle tendenze positive in Europa e Nord America, dove l’inquinamento da PM2.5 è sceso, ma non in Asia meridionale, Australia e Nuova Zelanda, America Latina e Caraibi, dove il trend è invece di crescita. Le concentrazioni più elevate di PM2.5 sono state rilevate nelle regioni dell’Asia orientale (50 µg/m3) e meridionale (37,2 µg/m3), seguite dall’Africa settentrionale (30,1 µg/m3). Poco da gioire, dunque e molto da lavorare.

#lucenews #inquinamento
  • L’arrivo della bella stagione ha il sapore del gelato 🍦

Golosi ma di qualità. È il rapporto degli italiani con il gelato artigianale secondo un’indagine di Glovo. Piattaforma di consegne, e Gusto17, brand gourmet, in vista del Gelato Day del prossimo 24 marzo.

Nel 2022 solo sull’app di Glovo gli italiani hanno ordinato più di 2 milioni di gelati, il 16% in più rispetto al 2021, con una media di 5.500 gelati al giorno, principalmente dalle gelaterie di quartiere, facendo aumentare le vendite del 138% per i piccoli esercenti. In particolare, il picco di ordini si registra alle 21.

Tra i gusti più amati dagli italiani ci sono: crema, pistacchio, nocciola e Nutella. Questa la Top 10 delle città più golose di gelato: Roma, Milano, Torino, Palermo, Napoli, Firenze, Catania, Bologna, Bari e Verona.

🍨E voi, amanti del gelato, qual è il vostro gusto preferito? 

📸 Credits: @netflixit 

#lucenews #lucelanazione #gelatoday
  • 🗣«Persi undici chili in poco tempo. Per cercare di rialzarmi iniziai un percorso con uno psicologo, ma ho capito presto qual era il motivo per cui ero caduta dentro quel tunnel. E ho iniziato presto a lavorare su di me, da sola.

Nel 2014 avevo ripreso ad allenarmi da pochissimo tempo, quando ho incontrato una donna, Luana Angeletti. Ho scoperto dopo che era la mamma di un amico, ma la cosa importante è quello che lei mi disse quella volta.

Che avevo una struttura fisica adatta a competere nella categoria bikini, nel body-building. Mi è scattato dentro qualcosa, ho iniziato a lavorare perché volevo migliorare e finalmente farmi vedere dagli altri, dopo che per otto anni non ero andata neanche al mare perché mi vergognavo del mio fisico e della mia scoliosi. Grazie a Luana sono passata dal nascondermi allo stare su un palco guardata da tante persone. È stata decisiva.

Imparate a volervi bene, e se non ci riuscite con le vostre forze, non abbiate paura di farvi aiutare e seguire da altri. È importantissimo».

Dai disturbi alimentari al body building, l
Poche donne, soprattutto dentro il centrosinistra, con relative polemiche al fulmicotone, un buon numero nel Terzo Polo. Poche pure dentro i 5 Stelle. Un numero non eclatante, dentro il centrodestra. Non si può proprio dire che le donne, a far di conto, ci abbiano guadagnato, in termini di rappresentanza di genere e, dunque, "quote rosa" alle elezioni politiche, quelle del 25 settembre. Era difficile fare peggio dello stato attuale, ma i partiti sono riusciti a deludere ogni aspettativa. La XIX legislatura che si sta per aprire avrà meno donne in Parlamento di quella precedente: dal 35% del 2018, infatti, si è passati al 31% di donne parlamentari, sul totale delle elette. Ovvero appena 186 contro i 414 colleghi maschi. E, per la prima volta in 20 anni, la percentuale decresce, invece che aumentare. Infatti, se dal 2001 in poi, si erano registrati graduali incrementi ogni volta che si eleggevano le nuove Camere, da quest’anno la tendenza è tutta all’inverso e si scende anche sotto la media Ue (32,8%).
Il Parlamento italiano
Il Parlamento italiano
I numeri sono chiari e impietosi per l’intera classe politica. Come ricorda l’agenzia Ansa, nel 2001, anno della vittoria della Casa delle libertà, le donne elette furono il 10,7% del totale. Da quel momento in poi però, la crescita fu costante: infatti, nel 2006 furono il 15,94%, nel 2008 il 19,63%, nel 2013 il 30,11% e nel 2018 il 35%. Fino ad arrivare alla situazione paradossale attuale, quella del 2022: l’Italia si prepara ad avere la prima presidente del Consiglio donna, Giorgia Meloni, ma il Parlamento, invece di migliorare la parità di genere, la peggiora… Ora, al netto del fatto che, soprattutto a sinistra, amano lamentarsi degli errori compiuti, ma solo dopo averli fatti (oggi, nel dibattito precongresso del Pd, che si è già aperto dopo le dimissioni di Letta, seguite alla batosta elettorale subito, sono diverse le donne – da Elly Schlein a Paola De Micheli – che si ‘candidano’ a guidare il partito), ovviamente, più del numero, conta ‘chi’ fa ‘cosa’ e, cioè, come si muoveranno e cosa produrranno, le donne, all’interno del prossimo Parlamento. Ma come sarà, dal punto di vista qualitativo, si vedrà meglio solo più avanti. Bisogna ancora conoscerli, misurarli, sottoporli alla prova del fuoco, capire bene ‘chi’ sono e da dove vengono. Sia le donne che, ovviamente, anche gli uomini.

“È la democrazia, bellezza!”. Le lunghe e barocche strade per dare vita a un governo

I nuovi deputati (400) e i nuovi senatori (200, esclusi i sei senatori a vita, veterani dell’aula di palazzo Madama) devono ancora entrarci, nel Parlamento della Repubblica, che inaugurerà la sua XIX legislatura dell’era repubblicana il prossimo 13 ottobre. Quel giorno vi sarà la proclamazione dei nuovi eletti, la formazione dei gruppi parlamentari e, infine, l’elezione dei suoi nuovi organi di comando: le due presidenze, quattro vicepresidenze per ogni aula, otto segretari d’aula cadauno, tre questori a testa, etc. Ci vorranno, tra un tira e molla e l’altro, due giorni, se tutto va bene. Per il 15 ottobre, dunque, le nuove Camere saranno completate in tutto e per tutto e si potrà procedere – ma al Quirinale – alle consultazioni per formare il nuovo governo. Infatti, come da tradizione, il Capo dello Stato convoca i gruppi parlamentari e ‘anche’, ma solo informalmente, i leader di partito, al seguito dei primi. Poi, finalmente, il rito delle consultazioni (i neo presidenti delle due Camere ‘salgono’ al Colle per primi), l’affidamento dell’incarico, poi le consultazioni del presidente del Consiglio incaricato (che accetta sempre “con riserva”), l’eventuale scioglimento della stessa, la presentazione, al Capo dello Stato, del nuovo governo, il giuramento (al Colle) del presidente del Consiglio e dei suoi ministri, la cerimonia della campanella (il passaggio di consegne dal vecchio al nuovo governo) e, infine, l’insediamento del nuovo governo. Finisce qua? No, perché il nuovo governo deve ottenere la fiducia (per convenzione politica, ma non – si badi bene - istituzionale, deve cioè ottenere la maggioranza assoluta in entrambe le Camere: 201 voti alla Camera, 104 al Senato, causa la presenza dei 6 senatori a vita che fanno ‘media’) e, una volta incassata quella, entrare in funzione. Segue la nomina di viceministri e sottosegretari. Infine, il governo entra nella pienezza dei poteri. Procedure lunghe, barocche, assai complicate? Vero, ma “è la democrazia, bellezza! E tu non puoi farci nulla!” direbbe Humprey Bogart… Morale, fino a quando il centrodestra cambierà la Costituzione, introducendo il presidenzialismo, si fa così e stop. Persino il centrodestra, a oggi, ‘ci deve stare’. Sarà un nuovo governo a guida Giorgia Meloni, e politicamente di centrodestra, quel governo, il 68esimo dell’era repubblicana (quello Draghi è fino a oggi, infatti, il 67esimo)? Molto probabilmente, se non sicuramente, sì.
La leader di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni sarà la prima donna premier in Italia
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Il primo governo italiano a guida femminile. Ma quante donne, oltre la Meloni, ci saranno?

Trattasi, in buona sostanza, del primo governo italiano che verrà guidato da una donna. Donna il cui profilo abbiamo già descritto su queste stesse pagine (leggi qui). Quindi, non ci dilungheremo su chi è Giorgia Meloni, che tipo di donna è e neppure su che governo farà. Quello che si chiama, in gergo, il totoministri. Anche se, ovviamente, nel gioco che appassiona molto i retroscenisti e molto poco i concittadini – i quali vogliono sapere di come il nuovo governo combatterà il carovita, l’inflazione, gli aumenti esponenziali delle bollette, la guerra in Ucraina e, quindi, che genere di manovra economica farà – la questione della presenza femminile peserà. Quante saranno le donne, nel suo governo? Certo, già la stessa presenza di una premier donna pesa eccome, nel computo. In ogni caso, nomi di donne, nel toto-ministri, ne girano, e parecchie: Anna Maria Bernini e Licia Ronzulli, entrambe di Forza Italia, Giulia Bongiorno ed Erika Stefani (Lega), Isabella Rauti (FdI), ma anche altre tra cui Elisabetta Belloni (nome tecnico). Pare tramontata, invece, l’idea Letizia Moratti. Potrebbero esserci, in totale, 6/7 donne ministre.
Anna Maria Bernini (Forza Italia) è avvocato e professore di diritto pubblico comparato a Bologna (Facebook)
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Il record (a metà) del governo Renzi e gli altri

Ma qui il record, a oggi ineguagliato, spetta al primo e unico governo guidato da Matteo Renzi (erano otto ministre su dodici, ergo perfetta parità di genere, anche se poi scesero a sole sei). Insomma, prima del governo Renzi, mai nessuno aveva avuto il 50 per cento di ministri donne. Ma il cinquanta rivendicato da Renzi – e, all’epoca, da Maria Elena Boschi (Riforme), veniva meno se si allargava lo sguardo all’intera squadra di governo. Considerando le cariche di viceministri e sottosegretari, la rappresentanza femminile del governo Renzi scendeva, infatti, al 27,5% all’atto dell’insediamento: meno di tre donne su 10. Ma una quota uguale, o superiore, non è stata poi registrata da nessun esecutivo successivo. Né da Gentiloni (5 donne su 18 ministri), né dal Conte I (5 su 18 all’insediamento, poi salite a 6 su 18), né dal Conte II (7 su 22 all’insediamento, poi salite a 8 su 23) né, tantomeno, dall’attuale governo di Mario Draghi, che ne conta appena otto rispetto ai ben 15 ministri uomini in carica. Per quanto le quote di genere, il governo Draghi resta squilibrato, ma è comunque da tenere presente che gli esecutivi precedenti non avevano fatto meglio. Se si considerano i ministri a inizio incarico, dal terzo governo Andreotti (il primo con una donna ministro: Tina Anselmi, Dc, che era titolare del Lavoro, 1976-1979), la quota di donne presenti nel governo Draghi segue solo il governo Renzi, che, appunto, all’atto della sua nascita, aveva il 50% di ministre donne. Si vedrà solo tra alcune settimane ‘quante’ donne saranno presenti all’interno del governo Meloni.
Tina Anselmi è stata la prima donna ad aver ricoperto la carica di ministro della Repubblica Italiana
Tina Anselmi è stata la prima donna ad aver ricoperto la carica di ministro della Repubblica Italiana

I seggi del nuovo Parlamento nel dettaglio

Ma torniamo al tema delle donne in Parlamento. Con la vittoria netta del centrodestra, la geografia del Parlamento, alla luce della riduzione dei seggi rispetto alla scorsa legislatura, è profondamente cambiata. I nuovi gruppi, come si diceva, sono pronti a formarsi. Il centrodestra elegge in tutto 115 senatori e 237 deputati, cioè fa il pieno. Il centrosinistra raccoglie le briciole: porta a Montecitorio appena 85 deputati e a Palazzo Madama 44 senatori. Ecco la composizione in termini assoluti dei vari gruppi che, appunto, si formeranno formalmente il 13. Fratelli d'Italia. Alla guida della coalizione c'è il partito di Giorgia Meloni, che a Palazzo Madama avrà un gruppo di 66 senatori e a Montecitorio conterà su 119 deputati. Lega. Al Senato il partito guidato da Matteo Salvini formerà un gruppo di 29 eletti mentre alla Camera ci saranno 67 deputati. Forza Italia. Silvio Berlusconi porta a Palazzo Madama una truppa di 18 senatori. Gli azzurri alla Camera saranno invece 44. Maie. Il Movimento associativo italiani all'estero elegge un senatore e un deputato (due uomini). Noi Moderati. La lista Noi Moderati, che ha corso in coalizione col centrodestra, avrà a Palazzo Madama un solo senatore, mentre alla Camera la compagine sarà di 7 deputati. Coraggio Italia. Per Coraggio Italia del sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, un solo senatore e nessun deputato. Partito democratico. Il partito guidato da Enrico Letta (ancora per poco) porta a Palazzo Madama 40 senatori e a Montecitorio 69 deputati. Sinistra Italiana e Verdi. La lista che metteva insieme Sinistra Italiana e i Verdi ha eletto 4 senatori e 12 deputati. +Europa. Il partito di Emma Bonino porta in parlamento solo due deputati, entrambi maschi e entrambi grazie ai collegi uninominali dati dal Pd. Impegno Civico. Impegno Civico, la neonata formazione politica guidata da Luigi Di Maio, ha eletto un solo deputato, l’ex dc Bruno Tabacci. Vallée d'Aoste. Per la lista in coalizione con il centrosinistra è stato eletto un solo deputato. Movimento 5 stelle. Il partito guidato dall'ex premier Giuseppe Conte, che nella scorsa legislatura aveva numeri alti, porta a Palazzo Madama 28 senatori e alla Camera 52 deputati. Azione e Italia Viva. La lista dei due partiti di Carlo Calenda e Matteo Renzi ottiene 9 senatori e 21 deputati: registra il più alto numero di donne. SVP. Il partito autonomista trentino della Svp porta alla Camera 3 deputati, al Senato 2 senatori. 'Sud chiama Nord' di De Luca. “Sud chiama Nord” di Cateno De Luca, ex sindaco di Messina, ha eletto un deputato e un senatore. Due maschi.
Il terzo polo Azione - Italia Viva di Carlo Calenda ha eletto il 46% di donne
Il terzo polo Azione - Italia Viva di Carlo Calenda ha eletto il 46% di donne
Tirando le somme, se si guardano le performance dei singoli partiti, gli unici ‘fuori dal coro’, in quanto a rappresentanza femminile, sono stati Azione-Iv e Movimento 5 stelle: il partito di Carlo Calenda ha eletto il 46% di donne (14 su 30 parlamentari), mentre il M5s ne elegge il 45% (35 su un totale di 79 parlamentari). Ma, considerando che il Terzo Polo partiva e ha preso percentuali molto più basse (7%), sapendo bene che sarebbe finita così, e il M5s molto più basse, sapendo invece che avrebbe sfondato il 15%, il palmares delle quote rosa spetta al Terzo Polo. Male, molto male, il Partito Democratico, con appena il 31% di elette (36 su 109) e Alleanza Verdi-Sinistra (30%), due partiti che sulla parità di genere e i diritti delle donne hanno imbastito gran parte della loro campagna elettorale. “Abbiamo un problema”, ha scritto la deputata dem Chiara Gribaudo, neo eletta, su Twitter: “Dobbiamo cambiare radicalmente la cultura patriarcale che ancora sopravvive nel Pd”. Non che le cose vadano meglio a destra. Bloccato al 30%, c’è Forza Italia, ma anche lo stesso Fratelli d’Italia, l’unico partito che può vantare una leadership tutta al femminile. Peggio di tutti, infine, il Carroccio, che non supera quota 29%.

Una legge ingiusta e una giusta denuncia…

Gli annosi guai di rappresentanza femminile nelle stanze del potere politico italiano sono ormai noti. E, a peggiorare la situazione ci si è messa una legge elettorale, il Rosatellum, che seppur formalmente introduca le quote di genere (in percentuale di 60/40 per l’alternanza donna/uomo nelle liste elettorali), concede alcuni espedienti capaci di annullarne qualsiasi effetto. Le liste, infatti, devono essere formate seguendo l’alternanza di genere, è vero. Ma questo non per forza consente alle donne di avere pari diritti di ingresso in Parlamento. Dato che sono state autorizzate le pluricandidature (fino a cinque per ogni lista nei collegi plurinominali, quelli che vengono eletti con sistema proporzionale, detti anche listini ‘bloccati’, e non a caso…), basta candidare la stessa donna in più collegi e, se viene eletta, in uno di questi, dovrà ‘lasciare’ il posto ai candidati uomini in lista dietro di lei. Ma non c’è solo il sistema di voto a giocare contro le donne: le dirigenze dei partiti o, più genericamente, i vertici stessi continuano a essere nella maggior parte dei casi maschili. Non sorprende, quindi, che, in un Parlamento con molti meno posti a disposizione, ad andare avanti siano stati ancora loro: i candidati… uomini. Al di là di promesse e proclami, è molto chiaro a chi bisogna chiedere contro dell’arretramento: la colpa è, ancora una volta, tutta e solo dei partiti. Lo ha ribadito la sociologa Chiara Saraceno, qualche giorno fa, sul quotidiano La Repubblica: “L’uguaglianza di genere nell’accesso alle responsabilità politiche continua a essere lontana. Non si può dire che sia colpa degli elettori che preferiscono scegliere uomini, dato che l’orrendo sistema elettorale in vigore lascia in mano ai partiti ogni decisione su chi ha più o meno chance di passare. Evidentemente tutti i partiti, chi più, chi meno, incluso quello della Meloni, hanno privilegiato le candidature maschili”. E, di nuovo, pure stavolta non c’è alibi che regga.
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