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Home » Scienze e culture » Maruska Albertazzi, dall’anoressia alla violenza sessuale: “Il lungo cammino verso la rinascita”

Maruska Albertazzi, dall’anoressia alla violenza sessuale: “Il lungo cammino verso la rinascita”

Attivista nella lotta contro i disturbi alimentari, la regista e attrice bolognese ha diretto 'Hangry Butterflies': "Per dar voce a una community di ragazze che condividono problemi e guarigione"

Elsa Toppi
11 Gennaio 2023
Maruska Albertazzi (46 anni) è autrice del documentario 'Hangry Butterflies'

Maruska Albertazzi (46 anni) ha scritto e diretto il documentario 'Hangry Butterflies'

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Un corridoio d’ospedale è percorso da un infermiere che trasporta un carrello con un piatto di gamberetti come fosse una medicina. Quel piatto finisce davanti una ragazza ridotta pelle e ossa dall’anoressia. Una immagine forte che rende bene l’idea e fa male al contempo. E’ una scena di Hangry Butterflies, la rinascita delle farfalle (il termine Hangry è una crasi linguistica tra hungry e angry). Documentario capolavoro di Maruska Albertazzi, autrice, sceneggiatrice e giornalista che anche grazie alla sua storia personale è diventata una importante attivista nella lotta contro i disturbi del comportamento alimentare.

Maruska Albertazzi, autrice, sceneggiatrice e giornalista
Maruska Albertazzi, autrice, sceneggiatrice e giornalista

Perché solo chi ha vissuto il problema e in più ha l’abilità di saper narrare, poteva raccontare così bene un fenomeno tanto delicato e complesso. Le farfalle sono ragazze che soffrono di anoressia e bulimia, che si incontrano nel mare magnum del web, si riconoscono, formano una community e si sostengono in questo cammino verso la rinascita. Un abbraccio virtuale che poi diventerà reale. E la prima a mettersi a nudo è proprio lei: Maruska Albertazzi.

Maruska come le è venuta l’idea di questo documentario?
“Mi ha sempre interessato il mondo degli adolescenti. Cercavo un tema da esplorare e mi sono imbattuta in questi profili recovery su Instagram. Li ho trovati fantastici, un modo per usare i social in maniera costruttiva, utile. Una storia da raccontare”.

"Le farfalle sono ragazze che soffrono di anoressia e bulimia, che si incontrano nel mare magnum del web, si riconoscono, formano una community e si sostengono in questo cammino verso la rinascita"
“Le farfalle – spiega Maruska Albertazzi – sono ragazze che soffrono di anoressia e bulimia, che si incontrano nel mare magnum del web, si riconoscono, formano una community e si sostengono in questo cammino verso la rinascita”

Cosa sono i profili recovery?
“I profili recovery sono profili instagram in cui si racconta la propria storia di guarigione – attenzione, non di malattia, di guarigione – dai disturbi del comportamento alimentare. Sono profili motivazionali, in cui ci si racconta per aiutare se stesse ma anche le altre che fanno parte della community. Si parla delle sfide affrontate, di quello che hanno generato, sia in positivo che in negativo ma avendo sempre in mente il benessere del gruppo. Direi che sono profili responsabili”.

Come nasce il nome Hangry Butterflies …
“Se ci pensa, quando abbiamo molta fame, non riusciamo a pensare a niente altro e la fame estrema porta con sé un grande carico di rabbia. E’ una reazione fisiologica: siamo programmati per diventare aggressivi quando non riusciamo a procurarci il cibo. Chi soffre di anoressia nervosa ha fame e rabbia. Mi sembrava il titolo perfetto”.

Maruska Albertazzi (a sinistra) è nata a Bologna nel 1976
Maruska Albertazzi (a sinistra) è nata a Bologna nel 1976

Anche lei ha avuto problemi di anoressia. Che ricordi ha di quel periodo?
“Avevo solo 13 anni, ero poco più che una bambina quando mi sono ammalata. Ricordo ancora bene l’euforia che mi dava il controllo sul corpo, l’esaltazione di quel numero che calava. Ricordo i chilometri a piedi senza potermi mai fermare, nemmeno se ero stanca, se mi facevano male le gambe, se avevo la febbre. Ricordo quel periodo come una specie di parentesi dalla realtà, un metaverso in cui ero immersa in una bolla trasparente che mi permetteva di vedere gli altri ma non me stessa. Una bolla che teneva lontano il dolore, la paura, la rabbia ma anche l’amore, il piacere, la vita. Anoressia fa rima con anestesia”.

Lei ha fatto anche la modella oltre che l’attrice, quanto ha influito il prototipo di donna che richiede il mondo della moda?
“Quando mi sono ammalata avevo da poco iniziato a fare qualche foto di moda. Roba semplice, per un catalogo di biancheria per ragazze. Sicuramente il fatto di essere stata una ragazzina degli anni ’90, quando il look predominante era quello alla Kate Moss, ha avuto un peso non indifferente. Ma la verità è che i disturbi alimentari hanno un’eziologia complessa, non arrivano mai solo per un motivo. Io non mi piacevo, non riuscivo a vedermi, trovavo il mio corpo deforme, sproporzionato, strano. Un grande ruolo lo ha sicuramente avuto anche il mio essere una bambina Asperger non diagnosticata. Oggi so che la mia dispercezione corporea arriva dalla neurodiversità, allora mi vedevo brutta e basta”.

Maruska Albertazzi è nata a Bologna nel 1976 (foto tratta dal profilo Facebook)
Maruska Albertazzi è nata a Bologna nel 1976 (foto tratta dal profilo Facebook)

E secondo lei qualcosa sta cambiando?
“Mah, forse sì ma è ancora un cambiamento di superficie. Una moda, non un vero processo di consapevolezza e revisione dei valori. Mettono una modella curvy in sfilata a fronte di decine di modelle francamente sottopeso. Anche i siti che vendono abbigliamento sopra la 46 scelgono per lo più modelle con fianchi, cosce e seno abbondanti ma pance ultra piatte e vitini da vespa ottenuti chirurgicamente. Forse si sta facendo strada un modello di bellezza meno efebico ma sempre di un modello artificiale e irraggiungibile si tratta. L’altro giorno ho visto una ragazzina giovanissima sull’autobus con uno di quei cosi per ingrandire il sedere: l’ho capito perché una delle due protesi le era scesa a metà coscia e lei non se ne era resa conto. Non mi pare un grande passo in avanti”.

Sul suo sito c’è scritto “ho il cervello difettoso ma ci faccio meraviglie”… a cosa si riferisce?
“Quando scrivo di salute mentale, lo faccio sempre dalla prospettiva dell’utente esperta. Non amo molto la narrativa del “siamo tutti diversi, nessuno è malato”. E’ giusto non stigmatizzare l’utenza psichiatrica ma la linea che separa l’inclusione dalla banalizzazione spesso è sottile. Io ho il cervello difettoso, nel senso che è il mio organo bersaglio. Qualcuno ha il fegato o lo stomaco o l’intestino. Sono Asperger, ho sofferto di disturbo post traumatico da stress, anoressia nervosa, due depressioni post partum, crisi dissociative. So bene di essere più a rischio di altre persone quando si tratta di salute mentale. Però grazie alle giuste cure, al mio percorso di consapevolezza oggi vivo bene. Ci tengo a sottolineare che sono una privilegiata: purtroppo per molte persone guarire da una patologia mentale non è una questione di volontà ma di accesso alle cure. Le liste d’attesa sono interminabili ovunque e la salute mentale è sempre considerata di serie B rispetto a quella “fisica”. Un errore madornale, soprattutto se pensiamo alle nuove generazioni e all’aumento esponenziale di patologie come disturbi alimentari, disturbi di personalità e autolesionismo”.

Tra le altre cose ha raccontato anche di una violenza sessuale subita a 15 anni… perché c’è ancora necessità di esporsi?
“Come spesso accade per i miei post, la spinta arriva da una delle mie ragazza, quelle che mi seguono e mi scrivono sui social. In quei giorni, mi stavo scrivendo con una ragazza di 16 anni che era in attesa del verdetto riguardo violenze sessuali ripetute che aveva subito dall’età di 8 anni. Ricordo che mi disse che la prima cosa che le avevano chiesto durante l’udienza era se ricordasse cosa indossava quando accadde per la prima volta il fatto. Aveva questa disperazione nella voce, questa vergogna che ricordava tanto la mia. Le dissi che non si doveva vergognare, che non era lei la colpevole ma mentre lo dicevo mi sentivo un’ipocrita: io la violenza che avevo subito non l’avevo mai denunciata. Per paura di non essere creduta, per vergogna ma anche per quieto vivere. Lei era stata così coraggiosa ed io? E’ facile parlare, dare consigli, rassicurazioni ma l’unica cosa che conta veramente è l’esempio. Ho preso coraggio e ho raccontato la mia storia. Quel post, a suo modo, ha generato una piccola rivoluzione tra chi mi seguiva. Ho ricevuto decine e decine di messaggi con storie simili alla mia. Persone che mi ringraziavano perché grazie a me avevano finalmente avuto il coraggio di parlarne”.

Maruska Albertazzi è nata a Bologna nel 1976
Maruska Albertazzi è nata a Bologna nel 1976 (foto Instagram)

Come mai ha deciso di diventare addirittura un’attivista?
“Cinque anni fa ho cominciato a lavorare al mio documentario Hangry Butterflies e, grazie a Chiara, una delle protagoniste, ho conosciuto Stefano Tavilla, che allora era il presidente dell’associazione Mi Nutro di Vita. Stefano ha perso sua figlia Giulia di soli 17 anni a causa di un arresto cardiaco avvenuto qualche giorno prima del suo ingresso in una struttura per la cura dei disturbi alimentari. Ascoltando la sua storia e quelle delle ragazze che nel frattempo avevo imparato a conoscere, ho capito che c’era tanto da fare per garantire la giusta cura a chi soffre di queste patologie. Vede, io sono convinta che l’unico modo per trasformare il dolore sia facendo qualcosa per gli altri. Io ho sofferto molto a causa della mia salute mentale ma oggi sto bene, sono guarita e sento il bisogno di restituire il dono che mi è stato fatto. E’ stato un lungo percorso di consapevolezza che mi ha portata dove sono ora e sono convinta che faccia bene tanto a me quanto a loro”.

Cosa ha in cantiere da un punto di vista lavorativo?

“Dopo tanti anni di scrittura per altri, sto finalmente lavorando al mio primo film vero e proprio. Sono terrorizzata, tormentata dalla sindrome dell’impostore ma anche felice. Una storia drammatica scritta in commedia. Io so scrivere solo così”.

Nell’attesa andatevi a vedere Hangry Butterflies e il perché è presto detto: toccherete con mano quella che nell’ultimo ventennio è diventata una vera e propria emergenza di salute mentale. Ma non tutto è perduto, le farfalle spesso rinascono.

Chi è Maruska Albertazzi

Maruska Albertazzi è nata a Bologna nel 1976. Diplomata in Florida, laureata in Comunicazione di Massa a Bologna, giornalista professionista, ha lavorato prima come attrice e aiuto regista in teatro e, in seguito, come giornalista televisiva, sceneggiatrice, autrice e infine regista.

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  • Nicoletta Sipos, giornalista e scrittrice, ha vissuto in Ungheria, in Germania e negli Stati Uniti, prima di raggiungere Milano e lì restare. Il suo romanzo “La guerra di H”, un romanzo fortemente ispirato a fatti realmente accaduti.

L’autrice indaga in maniera del tutto nuova e appassionante un momento drammatico, decisivo della storia del nostro continente: la Seconda guerra mondiale. A raccontare l’ascesa e la disfatta del Nazismo è stavolta la voce di un bambino tedesco, che riporta con semplicità e veracità le molte sofferenze patite dal suo popolo durante il conflitto scatenato da Hitler, focalizzando l’attenzione del lettore sul drammatico paradigma che accomuna chiunque si trovi a vivere sulla propria pelle una guerra: la sofferenza. Pagine toccanti, le sue, tanto più intense perché impregnate di fatti reali, emozioni provate e sentite dai protagonisti e condivise da quanti, tuttora, si trovano coinvolti in un conflitto armato. La memoria collettiva è uno strumento potente per non commettere gli stessi errori. 

"Imparai poco alla volta – scrive il piccolo Heinrich Stein, protagonista del romanzo – che nel nostro strano Paese la verità aveva più volti con infinite sfumature”.

👉Perché una storia così e perché ora?
“Ho incontrato il protagonista di questa mia storia molto tempo fa, addirittura negli anni ’50, ossia in un’epoca che portava ancora gli strascichi della guerra. Diventammo amici, parlammo di Hitler e della miseria della Germania. Poco per volta, via via che ci incontravamo, lui aggiungeva ricordi, dettagli, confessioni. Per anni ho portato dentro di me la testimonianza di questa storia che si arricchiva sempre più di dettagli. Molte volte avrei voluto scriverla, magari a quattro mani con il mio amico, ma lui non se la sentiva. Io stessa esitavo ad affrontare questa storia che racconta una famiglia tedesca in forte sofferenza in una Germania ferita e umiliata. La gente ha etichettato tutto il popolo tedesco durante il nazismo come crudele per antonomasia. Non si pensa mai a quanto la gente comune abbia sofferto, alla fame e al freddo che anche il popolo tedesco ha patito”.

✍ Caterina Ceccuti

#lucenews #giornodellamemoria #27gennaio
  • È dalla sua camera con vista affacciata sull’Arno che Ornella Vanoni accetta di raccontare un po’ di sé ai lettori di Luce!, in attesa di esibirsi, sabato 28 gennaio sul palco della Tuscany Hall di Firenze, dov’è in programma una nuova tappa della nuova tournée Le Donne e la Musica. Un ritorno atteso per Ornella Vanoni, che in questo tour è accompagnata da un quintetto di sole donne.

Innanzitutto come sta, signora Vanoni?
“Stanca, sono partita due mesi dopo l’intervento al femore che mi sono rotto cadendo per una buca proprio davanti a casa mia. Ma l’incidente non mi ha impedito di intraprendere un progetto inaspettato che, sin da subito, mi è stato molto a cuore. Non ho perso la volontà di andare avanti. Anche se il tempo per prepararlo e provare è stato pochissimo. E poi sono molto dispiaciuta“.

Per cosa?
“La morte dell’orso Juan Carrito, travolto e ucciso da un’auto cercava bacche e miele: la mia carissima amica Dacia (Maraini, ndr) l’altro giorno ha scritto una cosa molto bella dedicata a lui. Dovrò scrollarmi di dosso la malinconia e ricaricarmi in vista del concerto“.

Con lei sul palco ci sarà una jazz band al femminile con Sade Mangiaracina al pianoforte, Eleonora Strino alla chitarra, Federica Michisanti al contrabbasso, Laura Klain alla batteria e Leila Shirvani. Perché questa scelta?
“Perché sono tutte bravissime, professioniste davvero eccezionali. Non è una decisione presa sulla spinta di tematiche legate al genere o alle quote rosa, ma nata grazie a Paolo Fresu, amico e trombettista fantastico del quale sono innamorata da sempre. Tempo fa, durante una chiacchierata, Paolo mi raccontò che al festival jazz di Berchidda erano andate in scena tante musiciste bravissime. E allora ho pensato: ’Se sono così brave perché non fare un gruppo di donne? Certo, non l’ha fatto mai nessuno. Bene, ora lo faccio io“.

Il fatto che siano tutte donne è un valore aggiunto?
“In realtà per me conta il talento, ma sono felice della scelta: è bellissimo sentire suonare queste artiste, vederle sul palco intorno a me mi emoziona“.

L
  • Devanshi Sanghvi è una bambina di otto anni che sarebbe potuta crescere e studiare per gestire l’attività di diamanti multimilionaria appartenente alla sua facoltosissima famiglia, con un patrimonio stimato di 60 milioni di dollari.

Ma la piccola ha scelto di farsi suora, vivendo così una vita spartana, vestita con sari bianchi, a piedi nudi e andando di porta in porta a chiedere l’elemosina. Si è unita ai “diksha” alla presenza di anziani monaci giainisti. La bimba è arrivata alla cerimonia ingioiellata e vestita di sete pregiate. Sulla sua testa poggiava una corona tempestata di diamanti. Dopo la cerimonia, a cui hanno partecipato migliaia di persone, è rimasta in piedi con altre suore, vestita con un sari bianco che le copriva anche la testa rasata. Nelle fotografie, la si vede con in mano una scopa che ora dovrà usare per spazzare via gli insetti dal suo cammino per evitare di calpestarli accidentalmente.

Di Barbara Berti ✍

#lucenews #lucelanazione #india #DevanshiSanghvi
  • Settanta giorni trascorsi in un mondo completamente bianco, la capitana dell’esercito britannico Harpreet Chandi, che già lo scorso anno si era distinta per un’impresa tra i ghiacci, è una fisioterapista che lavora in un’unità di riabilitazione regionale nel Buckinghamshire, fornendo supporto a soldati e ufficiali feriti. 

Ha dimostrato che i record sono fatti per essere battuti e, soprattutto, i limiti personali superabili grazie alla forza di volontà e alla preparazione. E ora è diventata una vera leggenda vivente, battendo il record del mondo femminile per la più lunga spedizione polare – sola e senza assistenza – della storia.

Il 9 gennaio scorso, 57esimo giorno del viaggio che era cominciato lo scorso 14 novembre, la 34enne inglese ha raggiunto il centro del Polo Sud dopo aver percorso circa 1100 chilometri. Quando è arrivata a destinazione nel bel mezzo della calotta polare era felice, pura e semplice gioia di aver raggiunto l’agognato traguardo: “Il Polo Sud è davvero un posto incredibile dove stare. Non mi sono fermata molto a lungo perché ho ancora un lungo viaggio da fare. È stato davvero difficile arrivare qui, sciando tra le 13 e le 15 ore al giorno con una media di 5 ore di sonno”.

Di Irene Carlotta Cicora ✍

#lucenews #lucelanazione #polosud #HarpreetChandi #polarpreet
Un corridoio d’ospedale è percorso da un infermiere che trasporta un carrello con un piatto di gamberetti come fosse una medicina. Quel piatto finisce davanti una ragazza ridotta pelle e ossa dall’anoressia. Una immagine forte che rende bene l’idea e fa male al contempo. E’ una scena di Hangry Butterflies, la rinascita delle farfalle (il termine Hangry è una crasi linguistica tra hungry e angry). Documentario capolavoro di Maruska Albertazzi, autrice, sceneggiatrice e giornalista che anche grazie alla sua storia personale è diventata una importante attivista nella lotta contro i disturbi del comportamento alimentare.
Maruska Albertazzi, autrice, sceneggiatrice e giornalista
Maruska Albertazzi, autrice, sceneggiatrice e giornalista
Perché solo chi ha vissuto il problema e in più ha l’abilità di saper narrare, poteva raccontare così bene un fenomeno tanto delicato e complesso. Le farfalle sono ragazze che soffrono di anoressia e bulimia, che si incontrano nel mare magnum del web, si riconoscono, formano una community e si sostengono in questo cammino verso la rinascita. Un abbraccio virtuale che poi diventerà reale. E la prima a mettersi a nudo è proprio lei: Maruska Albertazzi. Maruska come le è venuta l’idea di questo documentario? “Mi ha sempre interessato il mondo degli adolescenti. Cercavo un tema da esplorare e mi sono imbattuta in questi profili recovery su Instagram. Li ho trovati fantastici, un modo per usare i social in maniera costruttiva, utile. Una storia da raccontare”.
"Le farfalle sono ragazze che soffrono di anoressia e bulimia, che si incontrano nel mare magnum del web, si riconoscono, formano una community e si sostengono in questo cammino verso la rinascita"
"Le farfalle - spiega Maruska Albertazzi - sono ragazze che soffrono di anoressia e bulimia, che si incontrano nel mare magnum del web, si riconoscono, formano una community e si sostengono in questo cammino verso la rinascita"
Cosa sono i profili recovery? “I profili recovery sono profili instagram in cui si racconta la propria storia di guarigione – attenzione, non di malattia, di guarigione – dai disturbi del comportamento alimentare. Sono profili motivazionali, in cui ci si racconta per aiutare se stesse ma anche le altre che fanno parte della community. Si parla delle sfide affrontate, di quello che hanno generato, sia in positivo che in negativo ma avendo sempre in mente il benessere del gruppo. Direi che sono profili responsabili”. Come nasce il nome Hangry Butterflies … “Se ci pensa, quando abbiamo molta fame, non riusciamo a pensare a niente altro e la fame estrema porta con sé un grande carico di rabbia. E’ una reazione fisiologica: siamo programmati per diventare aggressivi quando non riusciamo a procurarci il cibo. Chi soffre di anoressia nervosa ha fame e rabbia. Mi sembrava il titolo perfetto”.
Maruska Albertazzi (a sinistra) è nata a Bologna nel 1976
Maruska Albertazzi (a sinistra) è nata a Bologna nel 1976
Anche lei ha avuto problemi di anoressia. Che ricordi ha di quel periodo? “Avevo solo 13 anni, ero poco più che una bambina quando mi sono ammalata. Ricordo ancora bene l’euforia che mi dava il controllo sul corpo, l’esaltazione di quel numero che calava. Ricordo i chilometri a piedi senza potermi mai fermare, nemmeno se ero stanca, se mi facevano male le gambe, se avevo la febbre. Ricordo quel periodo come una specie di parentesi dalla realtà, un metaverso in cui ero immersa in una bolla trasparente che mi permetteva di vedere gli altri ma non me stessa. Una bolla che teneva lontano il dolore, la paura, la rabbia ma anche l’amore, il piacere, la vita. Anoressia fa rima con anestesia”. Lei ha fatto anche la modella oltre che l’attrice, quanto ha influito il prototipo di donna che richiede il mondo della moda? “Quando mi sono ammalata avevo da poco iniziato a fare qualche foto di moda. Roba semplice, per un catalogo di biancheria per ragazze. Sicuramente il fatto di essere stata una ragazzina degli anni ’90, quando il look predominante era quello alla Kate Moss, ha avuto un peso non indifferente. Ma la verità è che i disturbi alimentari hanno un’eziologia complessa, non arrivano mai solo per un motivo. Io non mi piacevo, non riuscivo a vedermi, trovavo il mio corpo deforme, sproporzionato, strano. Un grande ruolo lo ha sicuramente avuto anche il mio essere una bambina Asperger non diagnosticata. Oggi so che la mia dispercezione corporea arriva dalla neurodiversità, allora mi vedevo brutta e basta”.
Maruska Albertazzi è nata a Bologna nel 1976 (foto tratta dal profilo Facebook)
Maruska Albertazzi è nata a Bologna nel 1976 (foto tratta dal profilo Facebook)
E secondo lei qualcosa sta cambiando? “Mah, forse sì ma è ancora un cambiamento di superficie. Una moda, non un vero processo di consapevolezza e revisione dei valori. Mettono una modella curvy in sfilata a fronte di decine di modelle francamente sottopeso. Anche i siti che vendono abbigliamento sopra la 46 scelgono per lo più modelle con fianchi, cosce e seno abbondanti ma pance ultra piatte e vitini da vespa ottenuti chirurgicamente. Forse si sta facendo strada un modello di bellezza meno efebico ma sempre di un modello artificiale e irraggiungibile si tratta. L’altro giorno ho visto una ragazzina giovanissima sull’autobus con uno di quei cosi per ingrandire il sedere: l’ho capito perché una delle due protesi le era scesa a metà coscia e lei non se ne era resa conto. Non mi pare un grande passo in avanti”. Sul suo sito c’è scritto "ho il cervello difettoso ma ci faccio meraviglie"… a cosa si riferisce? “Quando scrivo di salute mentale, lo faccio sempre dalla prospettiva dell’utente esperta. Non amo molto la narrativa del “siamo tutti diversi, nessuno è malato”. E’ giusto non stigmatizzare l’utenza psichiatrica ma la linea che separa l’inclusione dalla banalizzazione spesso è sottile. Io ho il cervello difettoso, nel senso che è il mio organo bersaglio. Qualcuno ha il fegato o lo stomaco o l’intestino. Sono Asperger, ho sofferto di disturbo post traumatico da stress, anoressia nervosa, due depressioni post partum, crisi dissociative. So bene di essere più a rischio di altre persone quando si tratta di salute mentale. Però grazie alle giuste cure, al mio percorso di consapevolezza oggi vivo bene. Ci tengo a sottolineare che sono una privilegiata: purtroppo per molte persone guarire da una patologia mentale non è una questione di volontà ma di accesso alle cure. Le liste d’attesa sono interminabili ovunque e la salute mentale è sempre considerata di serie B rispetto a quella “fisica”. Un errore madornale, soprattutto se pensiamo alle nuove generazioni e all’aumento esponenziale di patologie come disturbi alimentari, disturbi di personalità e autolesionismo”. Tra le altre cose ha raccontato anche di una violenza sessuale subita a 15 anni… perché c’è ancora necessità di esporsi? “Come spesso accade per i miei post, la spinta arriva da una delle mie ragazza, quelle che mi seguono e mi scrivono sui social. In quei giorni, mi stavo scrivendo con una ragazza di 16 anni che era in attesa del verdetto riguardo violenze sessuali ripetute che aveva subito dall’età di 8 anni. Ricordo che mi disse che la prima cosa che le avevano chiesto durante l’udienza era se ricordasse cosa indossava quando accadde per la prima volta il fatto. Aveva questa disperazione nella voce, questa vergogna che ricordava tanto la mia. Le dissi che non si doveva vergognare, che non era lei la colpevole ma mentre lo dicevo mi sentivo un’ipocrita: io la violenza che avevo subito non l’avevo mai denunciata. Per paura di non essere creduta, per vergogna ma anche per quieto vivere. Lei era stata così coraggiosa ed io? E’ facile parlare, dare consigli, rassicurazioni ma l’unica cosa che conta veramente è l’esempio. Ho preso coraggio e ho raccontato la mia storia. Quel post, a suo modo, ha generato una piccola rivoluzione tra chi mi seguiva. Ho ricevuto decine e decine di messaggi con storie simili alla mia. Persone che mi ringraziavano perché grazie a me avevano finalmente avuto il coraggio di parlarne”.
Maruska Albertazzi è nata a Bologna nel 1976
Maruska Albertazzi è nata a Bologna nel 1976 (foto Instagram)
Come mai ha deciso di diventare addirittura un’attivista? “Cinque anni fa ho cominciato a lavorare al mio documentario Hangry Butterflies e, grazie a Chiara, una delle protagoniste, ho conosciuto Stefano Tavilla, che allora era il presidente dell’associazione Mi Nutro di Vita. Stefano ha perso sua figlia Giulia di soli 17 anni a causa di un arresto cardiaco avvenuto qualche giorno prima del suo ingresso in una struttura per la cura dei disturbi alimentari. Ascoltando la sua storia e quelle delle ragazze che nel frattempo avevo imparato a conoscere, ho capito che c’era tanto da fare per garantire la giusta cura a chi soffre di queste patologie. Vede, io sono convinta che l’unico modo per trasformare il dolore sia facendo qualcosa per gli altri. Io ho sofferto molto a causa della mia salute mentale ma oggi sto bene, sono guarita e sento il bisogno di restituire il dono che mi è stato fatto. E’ stato un lungo percorso di consapevolezza che mi ha portata dove sono ora e sono convinta che faccia bene tanto a me quanto a loro”. Cosa ha in cantiere da un punto di vista lavorativo? “Dopo tanti anni di scrittura per altri, sto finalmente lavorando al mio primo film vero e proprio. Sono terrorizzata, tormentata dalla sindrome dell’impostore ma anche felice. Una storia drammatica scritta in commedia. Io so scrivere solo così”. Nell’attesa andatevi a vedere Hangry Butterflies e il perché è presto detto: toccherete con mano quella che nell’ultimo ventennio è diventata una vera e propria emergenza di salute mentale. Ma non tutto è perduto, le farfalle spesso rinascono.

Chi è Maruska Albertazzi

Maruska Albertazzi è nata a Bologna nel 1976. Diplomata in Florida, laureata in Comunicazione di Massa a Bologna, giornalista professionista, ha lavorato prima come attrice e aiuto regista in teatro e, in seguito, come giornalista televisiva, sceneggiatrice, autrice e infine regista.
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