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Nino D'Angelo tra razzismo, depressione e la sua Napoli: "La forza irresistibile dell’amore salverà il mondo"

L'ex caschetto biondo: "Solo sperimentandolo direttamente si può capire cosa significhi sentirsi solo e screditato da detrattori in mala fede"

di GUIDO GUIDI GUERRERA -
18 novembre 2022
Il cantautore Nino D'Angelo

Il cantautore Nino D'Angelo

Cosa rappresenta nel mondo della canzone Nino D’Angelo? Semplicemente l’emblema per eccellenza di quel mare di innamorata napoletanità che gli scorre nel sangue da quando ragazzino canticchiava canzoni del repertorio classico con il nonno appassionato del genere canoro partenopeo. Con quella musica che fa parte della sua stessa anima diventa ben presto apprezzato interprete alla Galleria Umberto per aver partecipato con successo a un concorso di Voci Nuove. Finché la famiglia di origini modeste lo aiuta a incidere il suo primo 45 giri dal titolo “A storia mia”, brano fortunato, destinato a trasformarsi anche in ‘sceneggiata’. Ma gli anni d’oro sono quelli in cui il cantante dal caschetto biondo esordisce con canzoni di grande impatto come “Nu jeans e ‘na maglietta”, vera e propria bandiera dei primi anni Ottanta. L’album che porta lo stesso titolo venderà più di un milione di copie. Questo significa per D’Angelo il trionfo, ma specialmente il riscatto da una condizione di povertà e di emarginazione sofferta da sempre in casa dei suoi, primo di ben sei fratelli. “Eppure sono sicuro di non essere stato tanto felice come a quei tempi” ricorda il musicista, che con ormai una carriera alle spalle consolidata tanto come cantante che come attore, non ha mai dimenticato le sue origini cui continua a essere legato perché gli evocano i genitori scomparsi. Una perdita che gli è costata anni di depressione e addirittura un tentativo di suicidio. Ma la forza d’animo, la fede in Dio, l’aiuto di quanti gli hanno mostrato tutto il loro affetto, assieme a cure mediche mirate e dall’ottimo esito, hanno fatto il miracolo.
Nino D'Angelo

Nino D'Angelo

Oggi Nino D’Angelo (65 anni) è un signore maturo, il suo caschetto d’oro è un ricordo, ma la sua voce vibra ancor di più di suggestioni poetiche e la musicalità delle composizioni è capace di emozionare come non mai. Si toccano i temi della malavita che spezza vite e speranze, dei problemi degli emigranti, delle tante tematiche sociali rimaste ancora prive di una risposta. Solo a un orecchio superficiale le canzoni del musicista partenopeo possono sembrare banali e ‘superate’. In ognuna di quelle esecuzioni si indovina l’onestà mai smarrita di un artista che con le unghie e con i denti, superando un mare di pregiudizi, si è fatto strada, anche quando le pallottole dei camorristi lo avevano preso di mira. Nelle parole delle sue canzoni c’è tutta Napoli, con i suoi drammi, la sua voglia di rinascita e una passione così intensa da tradursi in corrente coinvolgente d’amore. Per questo D’Angelo è un’icona, il simbolo per eccellenza di una città che non demorde e che continua a voler essere qualcosa di assolutamente diverso rispetto ai luoghi comuni di cui continua ingiustamente ad essere vittima. L’ex ragazzino dalla chioma bionda ce l’ha fatta, è uscito dal ghetto della povertà, ha sconfitto nemici e detrattori e poi i demoni terribili della depressione, ed è diventato uomo di successo. La sua musica ha fatto il giro del mondo e gli applausi che gli sono piovuti addosso testimoniano che nonostante tutto, l’impossibile può diventare realtà. Oggi Nino continua a incantare il suo pubblico con la tournée intitolata come il libro che ha scritto, “Il poeta che non sa parlare” ed è nonno felice dei quattro nipotini che adora. Questo è il ritratto appena abbozzato di un uomo semplice, eppure niente affatto comune.
“Nu jeans e ‘na maglietta”, vera e propria bandiera dei primi anni Ottanta

“Nu jeans e ‘na maglietta”, vera e propria bandiera dei primi anni Ottanta

Nino D'Angelo, cosa significa essere vittime di razzismo? “Sono stato da sempre catalogato come ‘il terrone del sud’ e definito un po’ scugnizzo, che non significa ‘ladro’ ma simpaticamente furbo, con l’amabile, innata, vocazione di chi se la sa comunque cavare. Quindi so bene cos’è il razzismo: forse il peggiore termine che conosco. La ritengo una espressione priva di senso perché per me conta solo il valore delle persone, a prescindere dalla provenienza e dal colore della pelle. Accoglienza e tolleranza sono il mio credo nel modo più assoluto. Chi è vittima di discriminazioni deve infischiarsene esattamente come ho sempre fatto io per sopravvivere. Certi atteggiamenti sono inaccettabili nei confronti del prossimo: non dimentichiamo che siamo fragili esseri umani ugualmente esposti ai mali del mondo e al dolore che non fa differenze. Se qualcuno ancora oggi mi apostrofa con il nome di ‘scugnizzo’ ne vado fiero perché mi ricorda le mie origini che appartengono alla strada dove ho incontrato persone di immensa umanità e generosità, nonostante la loro vita travagliata. Non a caso da ragazzo, agli esordi della mia carriera, scrivevo dietro alle schede elettorali ‘no al razzismo’, sentendomi bruciare sulla mia stessa pelle ingiurie difficilmente tollerabili. All’epoca ero il bersaglio di mille offese per il fatto di non appartenere all’élite musicale: eppure nonostante la mancanza di sostegno delle major internazionali le mie canzoni hanno ugualmente avuto un enorme successo. Premiato sin dall’inizio dal calore del mio pubblico ho fatto in modo che certe critiche mi scivolassero di dosso e in fin dei conti posso ritenermi un uomo fortunato”.
L'artista napoletano Nino D'Angelo (Instagram)

L'artista napoletano Nino D'Angelo (Instagram)

Che effetto fa sentirsi emarginati? “E’ una cosa bruttissima, la peggiore delle sensazioni. Solo sperimentandolo direttamente si può capire cosa significhi per una persona sentirsi solo e screditato da detrattori in mala fede, soffrire il peso del disprezzo ed essere trattato con sufficienza nonostante il tuo impegno. Quando sai di aver messo cuore, anima e fatica in quello che fai e nonostante ciò ti accorgi della più irrispettosa indifferenza è il momento in cui ti senti cadere il mondo addosso” Le peggiori difficoltà che ha dovuto superare? “Negli anni Ottanta sapevo di avere forti limiti nell’esprimermi bene in italiano. Il dialetto napoletano era la lingua che meglio conoscevo e questo si è tradotto in un aspetto fortemente limitante. In realtà sono stato sempre orgoglioso della mia napoletanità che tuttora mi piace esibire perché traduce quello che penso nel modo più completo e adatto alla mia natura. Ognuno deve essere quello che è, senza pretendere di indossare abiti non suoi. Il mio miglior repertorio canoro è quello napoletano e so che se facessi diversamente ne soffrirebbe molto la mia vena poetica. Ho fatto cose anche in italiano solo per un compromesso con i produttori che esigevano composizioni in lingua, ma certamente non sono le incisioni più riuscite”.
Nino D'Angelo (Instagram)

Nino D'Angelo (Instagram)

A Napoli si trionfa ma spesso si subisce. È lo scotto da pagare al successo? Napoli è una grande città con grandi problemi. Non dimentichiamo in primo luogo il dramma preoccupante della disoccupazione che affligge specialmente tanti giovani. Però devo dire che negli ultimi dieci anni ho trovato una Napoli fortemente migliorata e con una gran voglia di riscatto. I turisti sono tornati numerosi a visitarla e noto un inedito senso di responsabilità della gente unito a una sensibilità più sviluppata che fa onore a tutti. Certo si tratta di una metropoli in cui i problemi non mancano e negli anni ottanta io stesso sono stato protagonista di un attacco da parte della criminalità organizzata. Non per niente sono stato costretto a rifugiarmi a Roma dove ho tuttora casa, la stessa in cui sono cresciuti i miei figli. Indubbiamente sono fatti che mi hanno segnato, essere oggetto di spari contro la propria abitazione non è divertente, un episodio che per fortuna è ormai un brutto ricordo. Da tempo infatti sono tornato nella mia città e ne sono felice perché mi fa sentire tutto l’amore di quanti continuano a sostenermi come uomo e artista”. Poi arrivò quel periodo nerissimo nella sua vita... “Sono stati veramente momenti orribili, specialmente dopo la perdita di mia madre. Non avrei mai pensato d’essere visitato da quella brutta bestia chiamata depressione. Era il 1990 e fu quello l’inizio di un calvario terribile: solo chi ha avuto la sventura di attraversarlo può comprenderne la devastazione. Mi ero estraniato totalmente da tutto e da tutti e non c’era niente che davvero mi importasse. Vivevo come uno zombi, una larva priva di energia vitale e senza alcun interesse. Poi ho iniziato a curarmi e piano piano ne sono uscito fuori. Ma non è stato semplice. Per fortuna ho trovato un buon medico che mi ha rimesso in piedi regalandomi una nuova esistenza, permettendomi di uscire definitivamente dal buco nero in cui ero andato a finire. Fondamentale è stato avere accanto la mia famiglia, mia moglie, i miei figli, i miei nipoti, tutti uniti nel darmi sostegno e nel non smettere mai di credere che ce l’avrei fatta. Questo ha contribuito a ridisegnare la mia autostima rinsaldandola e a farmi sentire quanto fossi importante per tutti quelli che mi stavano colmando del loro amore. Finalmente dopo tre lunghi anni in cui era come se fossi morto, sono riuscito a uscire fuori dal tunnel oscuro della depressione. Chi è depresso muore un po’ ogni giorno che passa”.
Il cantante e musicista Nino D'Angelo (Instagram)

Il cantante e musicista Nino D'Angelo (Instagram)

Che rapporti ha con i poveri, gli indifesi e le persone in difficoltà? “I migliori incontri della mia vita li ho fatti con gente che aveva conosciuto la sofferenza, con chi possedeva poco e sorprendentemente mostrava tutti i segni di straordinarie risorse interiori. Oggi grazie al mio lavoro e ai tanti sacrifici ho una posizione agiata, eppure niente potrà eguagliare la felicità provata quel giorno che mio padre mi regalò la prima bicicletta. Sono dunque fiero di possedere quell’immenso patrimonio rappresentato dalla ricchezza della povertà: può sembrare un paradosso, eppure posso assicurare con tutta onestà che mai mi sono sentito tanto felice come ai tempi di quando ero povero, ma povero veramente. Perciò non ho smesso di frequentare quegli ambienti di cui capisco perfettamente le difficoltà di cui ho condiviso in ogni dettaglio le tante problematiche ancora in attesa di soluzioni che tardano ad arrivare”. Si sente un artista impegnato socialmente? “Racconto spesso il mio passato nelle mie canzoni e credo così di svolgere un ruolo sociale specialmente a beneficio della gioventù. Sono stato direttore artistico del Trianon Viviani di Forcella, un teatro che la camorra voleva trasformare in garage, e l’ho restituito alla collettività. La cultura è nutrimento e fa crescere, quindi deve essere assolutamente un diritto di tutti allo stesso modo, senza distinzioni di sorta. Così ho dato senso alla mia vita, coltivando quei valori che mi sono stati trasmessi dai miei genitori a cui tengo in modo speciale. Papà e mamma erano persone semplici che hanno sempre dato molto rispetto al poco ricevuto”. Quali sono le parole di Nino D’Angelo che meglio si adattano a questi nostri tempi? “Dobbiamo aiutare i ‘piccoli’ perché tutto sta purtroppo in mano alle solite poche persone che si ingrassano sempre più. Se non stanno bene gli ultimi della terra anche il resto del mondo ne soffrirà, questo ce lo dobbiamo mettere in testa. Finché sarà l’egoismo a dominare gli animi delle persone non avremo scampo e non ci sarà pace. Secondo me non è tanto la bellezza che salverà il mondo ma la forza irresistibile dell’amore”.