Davide Chiappa è un manager milanese 45enne che cinque anni fa si è unito civilmente con il proprio compagno di vita, dopo dieci anni di fidanzamento. Da due è uno dei papà di Martino Libero, bimbo nato grazie alla gestazione per altri, che una legge approvata in Senato la scorsa settimana ha dichiarato reato universale.
Lo raggiungo telefonicamente dopo che ha accompagnato il figlio al nido, mentre rientra nel suo appartamento situato in uno dei quartieri più effervescenti e multietnici di Milano, nel quale coabita con tre gatti, due maschi, Dario e Giulio, e una femmina, Camilla. Anche per questo Davide e la sua famiglia allargata potrebbero essere ritenuti una perfetta nemesi della Ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità Eugenia Roccella, che, come è risaputo, non ha molta simpatia per chi “umanizza” gli animali domestici affibbiando loro nomi solitamente utilizzati per le persone.
Con Davide prendo accordi per un’intervista politicamente scorretta, con domande mutuate dalla narrazione di quei gruppi ultracattolici e ultraconservatori che da tempo hanno nel loro mirino le famiglie omogenitoriali e che oggi rivendicano la vittoria riportata con la Legge Varchi. Davide accetta di buon grado, divertito.
L’intervista scorretta
Davide, come ci si sente ad essere un criminale universale?
“Negli ultimi mesi ci eravamo preparati a sentirci addosso questa sensazione sgradevole. Anche perché, è opportuno ricordarlo, sono già due anni che le politiche sociali di questo governo vanno in questa direzione, quella di limitare, se non addirittura di smantellare, non solo i pochi diritti di noi Famiglie Arcobaleno, ma in generale i diritti individuali delle persone. Ci eravamo preparati, ma non ti nascondo lo sconforto del primissimo momento, soprattutto avendo seguito la discussione e la votazione in diretta tv. Uno sconforto generato da tutto l’arco parlamentare, perché se è vero che la GPA è stata criminalizzata in prima battuta dalle forze di governo e dai parlamentari della maggioranza di centrodestra, è anche vero che vi sono state singole voci ostili che si sono alzate dai banchi dell’opposizione. È stato frustrante, anche perché ovviamente rigetto questa etichetta in modo assoluto, dal momento che il percorso che io e il mio unito civile abbiamo fatto è stato un percorso trasparente, meraviglioso al termine del quale, poco meno di due anni fa, ci ha permesso di diventare una vera famiglia, proprio come l’abbiamo sempre intesa e desiderata”.
Questo percorso lo avete compiuto sfruttando senza alcun riguardo una donna e strappandole dall’utero il suo bambino?
“Assolutamente no, e ti ringrazio per aver usato in modo così crudo le stesse parole che sono state spesso usate in tv o nell’aula del Senato. Vedi, io e il mio unito civile siamo entrambi italiani, abbiamo ricevuto un’educazione cattolica, tutti i sacramenti, abbiamo frequentato la Chiesa a lungo e siamo coscienti di vivere in un paese prevalentemente cattolico. Anche per questo alla fine del 2020 – eravamo uniti civilmente da poco –, mentre eravamo sospesi nella nostra bolla di coppia, abbiamo sfruttato l’occasione del lockdown per informarci, studiare, comprendere e superare tutti i nostri dubbi etici.
Per tornare alla tua domanda, la nostra è stata una decisione responsabile e meditata, che non ha causato alcun tipo di sfruttamento. Abbiamo scelto un percorso di gestazione per altri in Oregon, negli Stati Uniti, dove queste pratiche sono legali e si svolgono alla luce del sole. Ci sono regole certe e chiare tutele dei diritti di tutte le parti coinvolte. A maggior ragione i diritti di colei che decide di offrirsi per i nove mesi di gravidanza e, credimi, queste sono donne libere, libere di scegliere e di autodeterminarsi in questo tipo di esperienza che loro affrontano in modo assolutamente solidaristico e per amore.
A nessuna mamma è stato strappato dall’utero il suo bambino. Questa immagine fosca, ma efficace, denota una grande e grave ignoranza, anche perché ci sono sempre due donne coinvolte nel percorso della GPA: una dona l’ovulo che viene fecondato da uno dei due papà, l’altra accetta di portarlo in grembo per i nove mesi successivi. La donna che ha portato in grembo Martino Libero non ha alcun legame biologico col bambino e ti garantisco che ne era del tutto cosciente”.
Ritiene che il vostro desiderio egoistico di essere genitori non abbia tenuto in alcun conto i diritti del bambino?
“Io credo che voler essere genitori sia una scelta egoistica a prescindere: talvolta serve per tentare di sanare un conflitto all’interno della coppia, oppure soltanto per cementare un amore, o ancora perché ci si sente completi solo se si è in tre. Non si può negare poi che sia un atto di coraggio, visto come va il mondo, con tutti i danni che l’umanità sta causando all’ambiente e visto il clima di insicurezza che si respira. La scelta di avere un bimbo con la GPA non è più egoistica di quelle più tradizionali e vale ancora una volta ricordare che questo percorso non è compiuto solo da coppie di papà, da persone omosessuali: per più del 90% dei casi sono coppie eterosessuali a cercare nella gestazione per altri una soluzione ai propri problemi procreativi”.
Non dovrebbe essere un atto d’amore?
“Lo è, assolutamente, senza limiti e senza differenze rispetto alle altre coppie di genitori. La nostra relazione dura da 15 anni, ci siamo uniti civilmente cinque anni fa, dopo 10 anni di fidanzamento e vita assieme. Ma ricordo il nostro primo appuntamento a Milano, su una terrazza vista Duomo. La prima cosa di cui abbiamo parlato? Della relazione con i nostri padri e madri e quasi subito della comune volontà di essere a nostra volta genitori. Questo è stato il nostro primo appuntamento. Per questo ci piace dire che Martino Libero è nato tredici anni prima di quando è realmente venuto al mondo”.
Ma l’idea che vostro figlio cresca privato di una figura femminile di riferimento non le sembra terribile?
“No, intanto perché la nostra società è da sempre composta da formule familiari le più disparate possibili. Ci sono padri e madri vedovi, oppure genitori singoli, vi sono molti casi in cui vi è una mancanza di una delle due figure. È chiaramente una preoccupazione corretta ed è per questo che semplicemente faremo di tutto per offrire a Martino Libero la possibilità di avere delle figure di riferimento femminili positive: ci sono le nonne, le tate, le educatrici del nido che lui frequenta e ci sono in primis le nostre amiche, perché la nostra famiglia di sangue è una cosa, ma la nostra famiglia reale allargata e un’altra ed è ricca di stimoli e di riferimenti.
Noi offriremo a Martino Libero la verità su come è venuto al mondo, anche per questo vogliamo continuare a mantenere i rapporti con Melissa, la donna che ha reso possibile la sua gestione. Per quanto piccolo, Martino sa già di essere figlio di due papà… da quando ha iniziato a parlare chiama uno ‘papi’ e l’altro ‘papà’. Detto questo credo sono persuaso che sia importante che abbia intorno a sé figure maschili e femminili, ma ancora più fondamentale è che riceva tutta la cura e l’attenzione che sicuramente noi non gli faremo mai mancare”.
Vi siete interrogati sui rischi potenziali che una famiglia come la vostra può determinare sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere dei bambini che cresceranno insieme a Martino Libero? Intendo dire, vostro figlio diventerà un elemento di confusione per chi gli starà intorno?
“Assolutamente no. Innanzitutto, non lo sarà per se stesso, perché io e Davide, il mio unito civile, siamo nati e cresciuti in famiglie eterosessuali, per certi aspetti neppure particolarmente progressiste, eppure siamo persone diverse da quelli che sono i nostri genitori. E quindi il presunto ‘effetto fotocopia’ non sta in piedi. Martino Libero un domani potrà essere omosessuale, transessuale, oppure eterosessuale a prescindere da quello che sono i genitori che gli sono capitati in sorte. Poi, rispetto alle persone che vivono intorno a noi, ci siamo assunti la responsabilità di condividere con trasparenza la vita e la quotidianità della nostra famiglia. È già capitato che i bambini un po’ più grandi al nido chiedano notizie della mamma di Martino e noi rispondiamo semplicemente che lui ha due papà, che la nostra famiglia è fatta così e ti garantisco che questa cosa viene candidamente accettata da un bambino di 2 o 3 anni.
Lo stesso impegno lo abbiamo nel confronto con le famiglie di questi bambini, anche perché non c’è nulla di speciale o di sorprendente in noi, siamo solo uno dei tanti modelli familiari che la società di oggi offre: coppie ricostituite, coppie separate, coppie composte da due papà o due mamme, coppe etnicamente o religiosamente eterogenee. Nel nido frequentato da Martino – e ti garantisco che non lo abbiamo scelto per questo – su 21 bambini tre hanno due papà. Questo per darti un termometro di come la società stia cambiando. Il tentativo, purtroppo, è di stoppare questo cambiamento. La legge approvata la settimana scorsa non parla di un’ipotesi, di qualcosa che potrebbe accadere se non viene fermata, ma di qualcosa che esiste già, che è reale. Il danno di questa legge è che condanna con uno stigma indelebile bambini e famiglie che sono già esistenti nella nostra società”.
Giusto per buttare un po’ di benzina sul fuoco, la GPA è vietata nel nostro paese dal 2004. La Legge Varchi non fa che imprimere un perverso e giuridicamente discutibile salto di qualità nel definirla ‘reato universale’. Mi domando, perché in tutti questi anni non ci sia stato un dibattito, una campagna di carattere culturale, di sensibilizzazione all’interno della comunità LGBTQIA+ su questo divieto? Perché non si è fatto un lavoro che potesse portare a un esito totalmente differente, magari con l’approvazione di una legge che determinasse norme, regole, paletti, ma che rendesse possibile la GPA nel nostro Paese così come accade in molte altre nazioni del mondo?
“In verità, qualcosa c’è stato. Diverse proposte di legge sono state depositate in questi anni…”
Sì, ma la verità è che proposte di legge se ne depositano ogni giorno in Parlamento a iosa. Ho la sensazione che sia mancato qualcosa di davvero efficace, un impegno concreto. Tanto che chi ha ha voluto fare una scelta come la vostra è dovuto andare all’estero, dove era legale. Crede davvero che si sia fatto tutto ciò che era necessario?
“Io credo che quotidianamente qualcosa succeda e succeda grazie all’impegno di Famiglie Arcobaleno, un’associazione che esiste da vent’anni, di cui anche noi facciamo parte e che all’inizio era stata originata da uno sparuto gruppo di sole mamme, dal momento che per loro la procreazione era più facile grazie ai percorsi medicalmente assistiti. La progressione del fenomeno e la visibilità crescente delle coppie omogenitoriali maschili hanno cercato di agire sul cambiamento della percezione ostile da parte dell’opinione pubblica. Però, sicuramente condivido quello che tu dici, cioè che movimento e popolazione LGBTQIA+ in Italia sono chiaramente frammentati, spesso non hanno una visione comune e una concreta efficacia nella rivendicazione dei diritti”.
Tanti sorrisi e tante pacche sulle spalle quando sfilate al Pride, ma non ho avuto la percezione di un grande impegno nei vostri confronti. Eppure, siete un’avanguardia importante…
“Ci sono momenti in cui il movimento – qualunque cosa si intenda con questo termine – dovrebbe ritrovare unità: non penso soltanto a noi Famiglie Arcobaleno, ma anche a ciò che riguarda e tocca la comunità transgender, che negli ultimi mesi è stata sottoposta a pretestuosi controlli (vedi il caso dell’ospedale di Careggi) che hanno generato inquietudine. Non nego che vi siano state azioni, appelli e sostegno, ma è pur vero che dobbiamo renderci conto che c’è un attacco indiscriminato in senso più largo a tutti i diritti, come dimostrato dall’ingresso nei consultori delle cosiddette associazioni pro vita. Non ha più senso fare battaglie di parte, perché in questo momento siamo tutti sotto attacco e la risposta deve essere comune e compatta”.
Davide, nel corso di tutta l’intervista ha continuato a definire il suo compagno con la formula unito civile. Immagino che a questa scelta sia sottesa un’insoddisfazione nei confronti dell’unico istituto concesso alle persone dello stesso sesso, l’unione civile, e una rivendicazione del matrimonio ugualitario. Sbaglio?
“Non sbagli. Io e il mio compagno siamo uniti civilmente, ma se fossimo mariti probabilmente potremmo vivere la nostra vita in una maniera del tutto differente e migliore. Temo che quando si è scelto di portare a casa le unioni civili ci sia stata una incresciosa mancanza di coraggio. Il matrimonio egualitario avrebbe reso possibile aspirare a percorsi di procreazione medicalmente assistita e avrebbe reso tutte le famiglie autenticamente uguali. Per questo credo che il matrimonio egualitario sia il prossimo concreto obiettivo per cui battersi. È lo stesso motivo per cui noi non abbiamo iniziato un iter per ottenere la step child adoption, che non è che un ipocrita palliativo rispetto alla realtà della nostra famiglia. Questa scelta ci costringe ad accettare l’idea che Martino Libero ha un padre biologico e uno adottivo, quest’ultimo una sorta di padre di serie B. Noi Famiglie Arcobaleno sappiamo che non è così, che entrambi i padri o entrambe le madri sono uguali di fronte ai loro figli e per questo non smetteremo mai di batterci. Negli ultimi anni abbiamo dato troppa importanza alla parola resilienza, ci siamo adattati pensando che ci si dovesse accontentare di fare piccoli passi per raggiungere lo scopo finale. Forse è arrivato il momento di pensare in grande e di rivedere la propensione al compromesso a ribasso”.
Come avete scelto il nome di vostro figlio?
“Martino è un nome che ci piaceva molto, un nome allegro, spensierato, che suonava bene. Libero, invece, esprime il desiderio, l’augurio che nostro figlio possa essere libero anche grazie a quello che noi potremo fare per lui in questi anni. Cosa può augurarsi un genitore di più bello per il proprio figlio se non che possa essere felice per ciò che è veramente?”.