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"Non è un Paese per madri": la crisi demografica e la 'questione delle donne' spiegate da Alessandra Minello

Come si abbatte il mito della maternità? Come risolvere la disparità nel rapporto tra vita privata e lavoro? Nel libro l'autrice sottolinea i timidi passi avanti ma soprattutto quelli ancora da fare

di MARGHERITA AMBROGETTI DAMIANI -
26 ottobre 2022
maternità 2

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I seminari, gli eventi, i convegni, le conferenze, i manifesti politici sulla 'faccenda' delle donne in Italia si sprecano. Eppure, ancora siamo costrette a fare i conti con disparità salariali, una condivisione pressoché inesistente nel sistema culturale, un welfare niente affatto capace di rispondere alle esigenze di una società in continuo cambiamento e una legittimazione della leadership femminile ancora percepita come un traguardo da raggiungere, una sfida da vincere. Bisogna dire la verità: la situazione continua ad essere complessa e, pur essendo l’obiettivo a pochi metri, pare proprio che l’ultimo sforzo sia incredibilmente insopportabile. In un testo interessante e pieno zeppo di spunti che, in un modo o nell’altro, toccano tutte e tutti, Alessandra Minello saggiamente ci racconta tutto questo, partendo da un assunto strategico e provocatorio: "Non è un Paese per madri". Con questo titolo, la Minello punteggia nitidamente la condizione della donna nel Belpaese, dicendo senza mezzi termini che ancora siamo in alto mare, nonostante qualche timido ma utile passo in avanti. E non è tanto e solo una faccenda di essere migliori di come siamo, quanto, piuttosto, provare a fare in modo che il meccanismo non si inceppi. Perché, diciamocelo una buona volta, senza un pieno riconoscimento dei diritti delle donne, senza dare loro la possibilità di lavorare e avere una famiglia, la società andrà presto in crisi. Per capirci qualcosa in più, abbiamo intervistato l’autrice.

Alessandra Minello

Crollo della natalità in Italia: nel suo libro evidenzia problemi di carattere culturale e dinamiche strutturali. Come ci si salva? "Ci si salva, appunto, agendo contemporaneamente su struttura e cultura. La prima riguarda le carenze e accessibilità ai servizi all’infanzia, ripensando in congedi di maternità e paternità in maniera paritaria, ma anche investendo sulla precarietà che segna le carriere dei e delle lavoratrici troppo a lungo. La seconda riguarda il cambio di passo in termini di parità di genere, affinché le mansioni della cura siano più equamente divise nelle coppie. È chiaro che si tratta di una spirale in cui non è possibile agire solo su una parte tralasciando l’altra, così come non è possibile che un cambiamento di struttura, ad esempio, non cambi anche la cultura. Facciamo un esempio su tutti: i congedi paritari. Una modifica strutturale nel passaggio da un congedo di maternità di cinque mesi e di paternità di dieci giorni, come sono quelli attuali, ad un congedo paritario e obbligatorio di cinque mesi per entrambi i genitori, proprio come ci hanno insegnato recentemente Spagna e Finlandia, incentiva non solo una distribuzione più equa del lavoro di cura, ma anche un approccio più paritario al mondo del lavoro in cui assumere una donna non porterà con sé lo spettro della maternità". Quando parla di mito della maternità racconta un’evidenza che, nei fatti, potrebbe andare in frantumi al cospetto delle giovanissime e dei giovanissimi. Una rivoluzione già in atto o una regressione? "Sono fiduciosa rispetto al cambiamento generazionale, ma non così tanto da pensare che il mito della maternità vada in frantumi. Le giovani generazioni sono sicuramente più paritarie e di ampie vedute di quelle precedenti in tanti ambiti, ma sono cresciute con esempi di cura molto tradizionali, in cui sono le madri ad essere le depositarie quasi esclusive della cura, a rinunciare più che i padri alla carriera, ad essere sottoposte a modelli e stereotipi di genere ancora molto marcati. Negli ultimi anni, poi, la complessità della società ha in qualche modo amplificato le pressioni alla perfezione subite dalle donne quando diventano madri, ma anche dalle non madri, su queste tematiche. Quello che auspico è che ci sia comunque maggiore consapevolezza, più grande possibilità di affrontare la maternità guardandone anche i lati meno fiabeschi, di condividere esperienze e modi diversi di essere genitori".
maternità

Per Minello bisogna abbattere il mito della maternità

Donna e realizzazione professionale: quali sono le discriminazioni da scardinare e su cui le istituzioni devono immediatamente lavorare? "Il mondo del lavoro non è ancora pensato per la presenza femminile: avanzamenti di carriera, modelli di leadership, produttività sono improntati in un modo che avvantaggia gli uomini, perché creati a loro immagine e somiglianza. Ho già fatto cenno alla necessità di ridurre lo svantaggio che alle donne deriva dalla maternità, attraverso l’equilibrio dei congedi, e l’aumento della percentuale di retribuzione garantite in caso di congedo parentale, ma queste non sono le sole azioni da intraprendere. La parità salariale è chiaramente un obiettivo, per cui si sono fatti passi e che non ci vede molto svantaggiati rispetto a ciò che avviene all’estero, ma sicuramente un tema di rilievo quando la discriminazione si esplicita attraverso differenze legate alle diverse prospettive di carriera. Così come abbiamo un mito della maternità che spinge le donne verso la cura, abbiamo anche un mito del lavoro maschile, ma anche della paternità come corrispondente al sostentamento della vita economica familiare tale per cui le carriere maschili, soprattutto dei padri, sono più veloci e appaganti. Tutti questi meccanismi, insieme al paternalismo e, ovviamente, alle vere e proprie forme di violenza, vanno messi in discussione". Parlare di donne significa parlare di madri e viceversa? "Chiaramente no. Io mi occupo di maternità, o meglio di fecondità e genitorialità, partendo dalla prospettiva demografica, ma è chiaro che l’universo femminile è molto più ampio. Non solo perché le non madri sono molte, e sempre più crescenti – basta pensare che nella generazione delle nate negli anni ’70 un quarto non sono madri – ma anche perché alcune donne non vogliono essere madri, e altre non possono esserlo. Chi non vuole figli, le donne per cui la realizzazione personale non passa attraverso la maternità sono le childfree, un gruppo ancora esiguo in Italia – il 2% della popolazione di età 18-49 anni, secondo stime Istat – ma che porta un’importante istanza identitaria. Le non madri non per scelta sono un gruppo meno omogeneo, hanno storie e percorsi di vita individuali molto diversi tra loro, si scontrano anche con i limiti del diritto italiano. Per quanto pensi che il tema della maternità meriti ancora di essere esplorato a fondo, e anzi, che si compia un percorso di ridefinizione di molte questioni legate alla maternità, auspico anche l’equazione donna-madre diventi sempre più sbiadita, a fronte di identità femminili più complesse e molteplici".