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Home » Scienze e culture » “Se le donne restano, la montagna non muore”. Perché parlare di clima è anche una questione femminile”

“Se le donne restano, la montagna non muore”. Perché parlare di clima è anche una questione femminile”

La scienziata Elisa Palazzi: "Tutte le ultime guerre hanno come matrice comune l’accaparramento di fonti fossili. Serve accelerare sulla transizione ecologica"

Linda Meoni
13 Febbraio 2023
La climatologa Elisa Palazzi

La climatologa Elisa Palazzi

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Il cambiamento climatico? Se ancora non fosse chiaro è un fatto che riguarda ognuno di noi, ma come sempre accade di fronte a una minaccia incombente c’è chi, in quella totalità, rischia un po’ di più. E non si tratta ‘solo’ dei Paesi “vulnerabili”, quelli cioè con situazioni geopolitiche già piuttosto fragili, ma anche di specifiche fasce di popolazione: le donne. Eppure, e lo dicono gli studi, basterebbero pari diritti a quelle stesse donne per poter garantire salvezza a una parte di questo pianeta.

Dunque parlare di clima è anche una questione femminile, come emerge dalle parole di Elisa Palazzi, scienziata e climatologa, professoressa associata all’Università degli studi di Torino dove insegna Fisica del clima. Di particolare interesse sono i suoi studi sul clima e i suoi cambiamenti nelle regioni di montagna, in particolare delle Alpi, della catena himalayana e dell’altopiano tibetano, ritenute “sentinelle” del cambiamento climatico. Divulgatrice sui temi del cambiamento climatico, Palazzi è autrice con Federico Taddia del libro “Perché la Terra ha la febbre?” (Editoriale scienza, 2019), con Sara Moraca di “Siamo tutti Greta” (Dedalo, 2019) e del podcast sul clima dal titolo “Bello mondo”.

La professoressa è testimonial della nuova edizione di “Sì… Geniale!“, mostra-concorso ideata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia destinata alle scuole pistoiesi, dall’infanzia alle superiori di secondo grado. È a Pistoia che la incontriamo, nel corso di una maratona di due giorni tra gli studenti.

Elisa Palazzi con gli studenti pistoiesi
Elisa Palazzi con gli studenti pistoiesi

Il cambiamento climatico non colpisce tutti allo stesso modo: chi è più a rischio?
“Da un lato Paesi già fragili, come la fascia del Sahel, dall’altro categorie più vulnerabili come le donne. I miei studi sull’ambiente montano hanno evidenziato come nei villaggi siano proprio loro a risultare le più schiacciate dalla crisi climatica. Riducendosi i modi di sussistenza, l’uomo di casa ha dovuto migrare in città. Sulla donna quindi sono gravate non solo tutte le cose che già faceva prima, gestire la famiglia, pensare all’educazione, reperire le risorse, ma anche quelle che prima erano prettamente maschili. Il risultato è che le donne sono diventate anche agricoltrici, mercanti e si sono date da fare a gestire le comunità montane. Con risvolti anche positivi: schiacciate da un lato, ma dall’altro capaci di generare un cambiamento pazzesco se solo messe in condizioni di avere pari diritti. Un detto recita: ‘se le donne restano, la montagna non muore’. Ed è così”.

Il suo principale pubblico di riferimento è fatto di giovani: che tipo di feedback riceve?
“Negli ultimi anni ho avuto a che fare età che vanno dalla fine delle superiori ai primissimi anni di università, specialmente del gruppo Fridays For Future. Da quando Greta Thunberg è uscita fuori, hanno identificato adulti di riferimento, professori o scienziati, per chiedere loro quante più cose possibili. Sono ipersensibilizzati al tema della crisi climatica, preparati, desiderosi di sapere e non per pura facciata, ma per non essere attaccabili né criticabili. Fanno attivismo in modo variegato, ciò che vogliono è non essere inattivi”.

La climatologa Elisa Palazzi
La climatologa Elisa Palazzi

“Ci avete rubato il futuro” è un motto ancora adeguato?
“I ragazzi vanno in piazza per la crisi climatica, per garantirsi un futuro, lavorativo, di vita confortevole e serena sul pianeta. Di libertà, di uguali diritti, uguale accesso alle risorse per tutti, perché hanno una visione a 360 gradi del problema. La crisi climatica per anni è stata percepita come un problema ambientale, gli ecosistemi che si degradano, i ghiacciai che fondono, il mare il cui livello si innalza, gli eventi estremi, ma non solo solo trasformazioni ambientali, sono anche crisi sociali, economiche, della salute. Tutte queste intersezioni pazzesche loro le hanno incorporate molto bene. Sono pragmatici, ma conservano la capacità di immaginare un futuro migliore, la creatività, la voglia, l’ottimismo”.

Cosa accadrebbe se il riscaldamento climatico s’innalzasse oltre quegli ulteriori due fantomatici gradi?
“Non è la fine di tutto. Quei numeri sono obiettivi che ci poniamo. Anche perché non abbiamo la certezza assoluta di cosa potrebbe accadere. Abbiamo semmai un’idea. Quindi limitare l’aumento di temperatura a un grado e mezzo/due significa intanto decelerare le conseguenze che stiamo già vedendo. Per non esacerbare questi effetti bisogna agire in un’ottica anche preventiva, cercare di percorrere quello che è lo scenario migliore che la scienza ci propone, cioè riduzione drastica delle emissioni e azzeramento netto al 2050″.

La crisi energetica e la guerra potrebbero incidere sulla riconversione green?
“I Fridays dicono sempre ‘la guerra è fossile, la pace è rinnovabile’. Ed è vero. Tutte le ultime guerre hanno come matrice comune l’accaparramento di fonti fossili. Allora o si accelera verso le fonti rinnovabili o, ciò che non mi auguro, si punta a soluzioni alternative che nell’immediato potrebbero essere però altri fossili. Spero che il conflitto sia una leva per accelerare la transizione ecologica verso le rinnovabili che non generano conflitti poiché non localizzate in singoli Paesi”.

Elisa Palazzi insieme agli studenti
Elisa Palazzi insieme agli studenti

Venendo alla politica, si potrebbe essere più incisivi in tema di transizione ecologica?
“Non c’è la giusta spinta per attivare una transizione efficace. Si deve fare di più, per rispondere agli impegni presi, per rendere conto all’Europa e alle Nazioni Unite. La questione è un po’ migliorata sulle rinnovabili ma c’è ancora molto da fare. Per utilizzare poi qualcosa di cui già disponiamo, senza inventarsi niente”.

Cosa fa lei nel suo quotidiano a tutela dell’ambiente?
“Ho abolito l’uso dell’auto, il mio stile di vita me lo consente. E poi una serie di azioni, anche banali: non lasciare i dispositivi in stand by, utilizzare browser a sfondo nero, acquistare poco on line, ho ridotto l’uso eccessivo di carne, ho scelto di sensibilizzare e divulgare. E poi far parte di una comunità e con questa fare pressione sulla politica”.

Ha mai avvertito l’essere donna come un ostacolo in un ambito come il suo prettamente maschile?
“No, ma è capitato a tantissime e tuttora capita. So che ci sono ragazze che pur avendo curiosità per discipline scientifiche poi non scelgono quel percorso; quelle che invece lo seguono hanno rendimenti molto alti. Credo in generale che se sei mosso da una cosa che ti piace funzioni sia che tu sia maschio sia che tu sia femmina. Sono semmai le posizioni di potere che sono molto più occupate dai maschi. E questo richiederebbe dei cambiamenti anche a livello più elevato e decisionale”.

Incentivare anche economicamente la partecipazione delle ragazze alle facoltà Stem può essere una strada da percorrere?
“Male non fa visto che la situazione resta critica. Ma si possono fare anche azioni a livello individuale: se ti capita di essere invitata a un convegno in un panel in cui c’è un’unica donna in mezzo a soli uomini secondo me occorre fare solidarietà e non andare quando non c’è una giusta distribuzione di figure. Perché a volte questa cosa è lampante e anche prendere posizioni in questo senso può servire”.

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

Torna anche quest’anno l
  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
Il cambiamento climatico? Se ancora non fosse chiaro è un fatto che riguarda ognuno di noi, ma come sempre accade di fronte a una minaccia incombente c’è chi, in quella totalità, rischia un po’ di più. E non si tratta 'solo' dei Paesi "vulnerabili", quelli cioè con situazioni geopolitiche già piuttosto fragili, ma anche di specifiche fasce di popolazione: le donne. Eppure, e lo dicono gli studi, basterebbero pari diritti a quelle stesse donne per poter garantire salvezza a una parte di questo pianeta. Dunque parlare di clima è anche una questione femminile, come emerge dalle parole di Elisa Palazzi, scienziata e climatologa, professoressa associata all’Università degli studi di Torino dove insegna Fisica del clima. Di particolare interesse sono i suoi studi sul clima e i suoi cambiamenti nelle regioni di montagna, in particolare delle Alpi, della catena himalayana e dell’altopiano tibetano, ritenute "sentinelle" del cambiamento climatico. Divulgatrice sui temi del cambiamento climatico, Palazzi è autrice con Federico Taddia del libro "Perché la Terra ha la febbre?" (Editoriale scienza, 2019), con Sara Moraca di "Siamo tutti Greta" (Dedalo, 2019) e del podcast sul clima dal titolo "Bello mondo". La professoressa è testimonial della nuova edizione di "Sì… Geniale!", mostra-concorso ideata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia destinata alle scuole pistoiesi, dall’infanzia alle superiori di secondo grado. È a Pistoia che la incontriamo, nel corso di una maratona di due giorni tra gli studenti.
Elisa Palazzi con gli studenti pistoiesi
Elisa Palazzi con gli studenti pistoiesi
Il cambiamento climatico non colpisce tutti allo stesso modo: chi è più a rischio? "Da un lato Paesi già fragili, come la fascia del Sahel, dall’altro categorie più vulnerabili come le donne. I miei studi sull’ambiente montano hanno evidenziato come nei villaggi siano proprio loro a risultare le più schiacciate dalla crisi climatica. Riducendosi i modi di sussistenza, l’uomo di casa ha dovuto migrare in città. Sulla donna quindi sono gravate non solo tutte le cose che già faceva prima, gestire la famiglia, pensare all’educazione, reperire le risorse, ma anche quelle che prima erano prettamente maschili. Il risultato è che le donne sono diventate anche agricoltrici, mercanti e si sono date da fare a gestire le comunità montane. Con risvolti anche positivi: schiacciate da un lato, ma dall’altro capaci di generare un cambiamento pazzesco se solo messe in condizioni di avere pari diritti. Un detto recita: ‘se le donne restano, la montagna non muore’. Ed è così". Il suo principale pubblico di riferimento è fatto di giovani: che tipo di feedback riceve? "Negli ultimi anni ho avuto a che fare età che vanno dalla fine delle superiori ai primissimi anni di università, specialmente del gruppo Fridays For Future. Da quando Greta Thunberg è uscita fuori, hanno identificato adulti di riferimento, professori o scienziati, per chiedere loro quante più cose possibili. Sono ipersensibilizzati al tema della crisi climatica, preparati, desiderosi di sapere e non per pura facciata, ma per non essere attaccabili né criticabili. Fanno attivismo in modo variegato, ciò che vogliono è non essere inattivi".
La climatologa Elisa Palazzi
La climatologa Elisa Palazzi
"Ci avete rubato il futuro" è un motto ancora adeguato? "I ragazzi vanno in piazza per la crisi climatica, per garantirsi un futuro, lavorativo, di vita confortevole e serena sul pianeta. Di libertà, di uguali diritti, uguale accesso alle risorse per tutti, perché hanno una visione a 360 gradi del problema. La crisi climatica per anni è stata percepita come un problema ambientale, gli ecosistemi che si degradano, i ghiacciai che fondono, il mare il cui livello si innalza, gli eventi estremi, ma non solo solo trasformazioni ambientali, sono anche crisi sociali, economiche, della salute. Tutte queste intersezioni pazzesche loro le hanno incorporate molto bene. Sono pragmatici, ma conservano la capacità di immaginare un futuro migliore, la creatività, la voglia, l’ottimismo". Cosa accadrebbe se il riscaldamento climatico s’innalzasse oltre quegli ulteriori due fantomatici gradi? "Non è la fine di tutto. Quei numeri sono obiettivi che ci poniamo. Anche perché non abbiamo la certezza assoluta di cosa potrebbe accadere. Abbiamo semmai un’idea. Quindi limitare l’aumento di temperatura a un grado e mezzo/due significa intanto decelerare le conseguenze che stiamo già vedendo. Per non esacerbare questi effetti bisogna agire in un’ottica anche preventiva, cercare di percorrere quello che è lo scenario migliore che la scienza ci propone, cioè riduzione drastica delle emissioni e azzeramento netto al 2050". La crisi energetica e la guerra potrebbero incidere sulla riconversione green? "I Fridays dicono sempre ‘la guerra è fossile, la pace è rinnovabile’. Ed è vero. Tutte le ultime guerre hanno come matrice comune l’accaparramento di fonti fossili. Allora o si accelera verso le fonti rinnovabili o, ciò che non mi auguro, si punta a soluzioni alternative che nell’immediato potrebbero essere però altri fossili. Spero che il conflitto sia una leva per accelerare la transizione ecologica verso le rinnovabili che non generano conflitti poiché non localizzate in singoli Paesi".
Elisa Palazzi insieme agli studenti
Elisa Palazzi insieme agli studenti
Venendo alla politica, si potrebbe essere più incisivi in tema di transizione ecologica? "Non c’è la giusta spinta per attivare una transizione efficace. Si deve fare di più, per rispondere agli impegni presi, per rendere conto all’Europa e alle Nazioni Unite. La questione è un po’ migliorata sulle rinnovabili ma c’è ancora molto da fare. Per utilizzare poi qualcosa di cui già disponiamo, senza inventarsi niente". Cosa fa lei nel suo quotidiano a tutela dell’ambiente? "Ho abolito l’uso dell’auto, il mio stile di vita me lo consente. E poi una serie di azioni, anche banali: non lasciare i dispositivi in stand by, utilizzare browser a sfondo nero, acquistare poco on line, ho ridotto l’uso eccessivo di carne, ho scelto di sensibilizzare e divulgare. E poi far parte di una comunità e con questa fare pressione sulla politica". Ha mai avvertito l’essere donna come un ostacolo in un ambito come il suo prettamente maschile? "No, ma è capitato a tantissime e tuttora capita. So che ci sono ragazze che pur avendo curiosità per discipline scientifiche poi non scelgono quel percorso; quelle che invece lo seguono hanno rendimenti molto alti. Credo in generale che se sei mosso da una cosa che ti piace funzioni sia che tu sia maschio sia che tu sia femmina. Sono semmai le posizioni di potere che sono molto più occupate dai maschi. E questo richiederebbe dei cambiamenti anche a livello più elevato e decisionale". Incentivare anche economicamente la partecipazione delle ragazze alle facoltà Stem può essere una strada da percorrere? "Male non fa visto che la situazione resta critica. Ma si possono fare anche azioni a livello individuale: se ti capita di essere invitata a un convegno in un panel in cui c’è un’unica donna in mezzo a soli uomini secondo me occorre fare solidarietà e non andare quando non c’è una giusta distribuzione di figure. Perché a volte questa cosa è lampante e anche prendere posizioni in questo senso può servire".
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