Non bastavano i divieti a recarsi al lavoro, ad avere accesso in molti luoghi pubblici, a viaggiare senza essere accompagnate da un uomo, quelli - gravissimi - all'istruzione superiore. Con un ulteriore giro di vite i talebani in Afghanistan hanno ordinato a tutte le ong straniere e nazionali di non lavorare più con le donne, dopo "gravi lamentele" perché queste non avrebbero seguito un codice di abbigliamento appropriato. Lo ha annunciato con un ordine di servizio il ministro dell'Economia afghano Qari Din Mohammaed Hanif: "Ci sono state gravi lamentele sul mancato rispetto dell'hijab islamico e di altre norme e regolamenti relativi al lavoro delle donne nelle organizzazioni nazionali e internazionali", si legge nella nota del ministero, che è responsabile dell'approvazione delle licenze per tutte le associazioni umanitarie che operano nel Paese. È stato anche precisato che "in caso di inosservanza della direttiva (...) la licenza dell'ente che era stata rilasciata da questo ministero sarà annullata".
Non è chiaro se la direttiva riguardi il personale femminile straniero delle ong stesse, anche se Save The Children e due gruppi non governativi internazionali che operano nello Stato hanno confermato di aver ricevuto la notifica e di aver chiuso le loro attività. La nuova stretta nei confronti delle cittadine afghane, che non solo sono escluse da gran parte degli esercizi pubblici e dagli impieghi nazionali, ma d'ora in poi non potranno nemmeno più collaborare con le ong, arriva appena quattro giorni dopo la decisione del governo talebano di vietare alle donne di frequentare le università pubbliche e private del Paese per un periodo indefinito. Anche in questo caso, la scelta è stata giustificata con il fatto che le donne "non hanno rispettato le indicazioni sull'hijab", ha detto il ministro dell'Istruzione superiore, Neda Mohammad Nadeem. Giustificando così, attraverso leggi non rispettate che però vanno a limitare l'autonomia e l'auto determinazione femminile, quello che agli occhi del mondo non sembra altro che l'ennesimo tentativo di "tappare la bocca", imbavagliare, togliere la voce a migliaia di donne e ragazze, private dei diritti fondamentali e costrette a sottostare ad un regime che le vede e le ha sempre viste come cittadini di serie B, di scarso valore, utili piuttosto ai fini riproduttivi e poco altro. E rispondendo con durezza e violenza alle proteste: sabato 24 dicembre, alle manifestazioni di Herat contro l'ordine si sospensione per tutte le studentesse dal frequentare le università nel Paese, le autorità hanno risposto con i cannoni ad acqua per disperdere le donne e gli uomini scesi in strada.
Nonostante le loro promesse di essere più flessibili, dopo il ritorno al potere nel 2021, i talebani sono infatti tornati ad un'interpretazione ultra-rigorosa della legge islamica, come quella che ha segnato il loro primo periodo di governo dell'Afghanistan, dal 1996 al 2001. Dall'agosto dello scorso anno, le misure draconiane si sono moltiplicate, in particolare contro le donne che sono state progressivamente escluse dalla vita pubblica. Il coordinatore umanitario e capo della missione Onu nello Stato mediorientale, Ramiz Alakbarov, si è detto "profondamente preoccupato per le notizie secondo cui le autorità de facto" talebane "hanno vietato a tutte le dipendenti donne delle organizzazioni nazionali e internazionali di recarsi al lavoro". Secondo Alakbarov si tratta di una "chiara violazione dei principi umanitari. Il ruolo fondamentale delle donne in tutti gli aspetti della vita e della risposta umanitaria è innegabile", sottolinea con forza. Una condanna rilanciata anche dall'Unione europea, che ha annunciato di stare rivalutando l'impatto sui suoi aiuti nel Paese. "L'Unione europea condanna fermamente la recente decisione dei talebani di vietare alle donne di lavorare nelle Ong nazionali e internazionali - ha detto una portavoce del capo della politica estera dell'Ue Josep Borrell -. Stiamo valutando la situazione e l'impatto che avrà sui nostri aiuti in loco". "I nostri team hanno iniziato a lavorare in Afghanistan più di quarant'anni fa e da allora hanno fornito assistenza medica a milioni di persone. Le donne sono quelle che l'hanno reso possibile. Senza di loro, non ci può essere assistenza sanitaria", scrive su Twitter Medici senza Frontiere. Anche l'Unicef esprime il suo dissenso contro la decisione: "Al di là dell'evidente arretramento dei diritti fondamentali queste decisioni avranno conseguenze di vasta portata sulla fornitura di servizi essenziali per i bambini e le famiglie in tutto il Paese, in particolare nei settori della salute, della nutrizione, dell'istruzione e della protezione dell'infanzia, ambiti in cui le operatrici umanitarie hanno un ruolo incommensurabilmente importante da svolgere. Questo - osserva la ong - include la programmazione dell'Unicef, attraverso la quale forniamo servizi a 19 milioni di persone, tra cui più di 10 milioni di bambini, in tutto il Paese. Vietando il lavoro alle donne delle Ong, le autorità talebane di fatto negano questi servizi a una parte significativa della popolazione e mettono a rischio la vita e il benessere di tutti gli afghani, in particolare di donne e bambini". L'organizzazione chiede infine "alle autorità 'de facto' talebane di revocare immediatamente entrambe le decisioni, sull'istruzione superiore e sul lavoro umanitario, e di permettere a tutte le studentesse di tornare a scuola e alle operatrici delle ong di continuare il loro importante lavoro in Afghanistan nel settore umanitario".Deeply concerned that the Taliban’s ban on women delivering humanitarian aid in Afghanistan will disrupt vital and life-saving assistance to millions. Women are central to humanitarian operations around the world. This decision could be devastating for the Afghan people.
— Secretary Antony Blinken (@SecBlinken) December 24, 2022