Ha coltivato e catturato la bellezza in ogni suo film
Franco Zeffirelli, nato
cento anni fa a Firenze. Lo ha fatto con le opere liriche che ha messo in scena, con il "Troilo e Cressida" che fece parlare di sé per anni, portato in scena al giardino di Boboli. Lo ha fatto con i suoi film più celebri, con il "
Romeo e Giulietta" interpretato da due quindicenni, o con Mel Gibson che interpretava per lui, sullo schermo, Amleto.
Il suo cinema, come il suo teatro, potevano sembrare ancorati alla tradizione, persino lontani dal mondo che – negli anni ’60 e ’70 – si muoveva sulle onde di una rivoluzione che era movimento, dinamismo, lotta, e forme cinematografiche meno scintillanti, meno patinate, più crude e più contemporanee.
L'episodio del giovane seminarista
Un giovane Franco Zeffirelli dà indicazioni agli attori prima di entrare in scena (ANSA)
Lui, Zeffirelli,
credeva nei bei volti, ben illuminati, radiosi. Credeva in un cinema che si rifaceva all’arte rinascimentale. Però, se leggi la sua bella "Autobiografia" – pubblicata da Lorenzo de’ Medici press – scopri un
uomo molto libero, moderno, in molti casi inedito. Uno che ha idee sul
sesso e sul
diritto di ciascuno alla felicità molto più moderne di quanto si pensi. In una pagina di quel libro, Zeffirelli racconta di un giovane seminarista che guarda insieme a lui, ragazzino, altri seminaristi giocare a pallone, nel chiostro di San Marco, a Firenze. Il
seminarista cinge con un braccio Zeffirelli, si eccita al contatto fisico con lui. Zeffirelli non lo incoraggia, ma capisce che l’altro è ormai sopraffatto dal desiderio: il maestro racconta l’episodio con una delicatezza e, soprattutto, con una comprensione dell’imbarazzo dell’altro che colpiscono. Qualche pagina dopo, scrive: "A me pare che Gesù non parli
mai di sesso nei Vangeli. Nutro ammirazione per coloro che
rispettano la castità, e in nome della fede compiono questo sovrumano sacrificio: ma resto sempre perplesso".
Le contraddizioni: omosessuale cattolico, anti abortista, contrario ai matrimoni gay
Non gli sembrava possibile che un Dio che ama gli umani li costringesse a soffrire corporalmente, a
mortificare la propria carne. E conclude: "Quel povero frate non voleva farmi alcun male, solo
esprimere con il corpo il bene che mi voleva". Non c’era violenza, seduzione, dominio di un adulto su un ragazzino: c’erano due giovanissimi, uno con la tonaca e l’altro no, che si "parlavano" con il linguaggio del corpo.
Omosessuale e cattolico. Antiabortista. Zeffirelli è stato un coacervo di contraddizioni. Era stato partigiano, ma poi era conservatore. Era convinto che il Papa avesse il diritto – "e anzi", diceva, "il dovere" – di difendere la
famiglia tradizionale. Era
ostile al matrimonio fra persone dello stesso sesso. Non alla loro convivenza: "Conosco molti amici gay che vivono serenamente in coppia: ma non c’è bisogno di creare una pseudo famiglia ‘legale’ per me inaccettabile", diceva. Era contrario al diritto di
adozione per coppie omosessuali: per lui, la famiglia era quella con un babbo e una mamma. Ciò non gli ha impedito di adottare due persone, che hanno vissuto con lui gran parte dei suoi ultimi decenni, e a cui era legato da immenso affetto.
Cattolico e omosessuale, per la libertà sessuale ma contro il matrimonio gay e l'adozione per le coppie dello stesso sesso (ANSA)
Quello che forse non gli piaceva nel concetto di adozione da parte delle coppie omosessuali era, in realtà, il pensiero che si trattasse di
coppie fragili: "In età giovane ci si prende e ci si lascia con grande facilità: è un mondo incostante, quanto di più inadatto per crescere un figlio", diceva. Insomma, in realtà era
contro l’instabilità che temeva nelle coppie omosessuali, più che contro la possibilità in sé che un omosessuale potesse adottare dei figli. Come, del resto, ha fatto lui stesso. Forse aveva in mente il suo grande amico e maestro
Luchino Visconti. "Era uno che si faceva i cavoli suoi come gli pareva, e poi tanti saluti". Allo stesso modo Zeffirelli,
cattolico convinto e praticante,
detestava i Gay pride. "Già le marce in sé non mi piacciono - confessava a Giuseppina Manin nel 2011 -. Quella che abbiamo visto a Roma nell’anno del Giubileo è solo una provocazione. E poi contesto anche
il nome: ‘gay’ è improprio e ipocrita". Lo diceva spesso, di detestare quel termine. Molto probabilmente perché Zeffirelli, che parlava correntemente l’inglese, associava a questo termine il suo significato originario: "gaio", "allegro". Qualcosa di troppo leggero, per definire una scelta di vita, una condizione esistenziale da vivere anche con fatica, con dolore.
L'odio per la parola Gay: "Che c’è di gaio nell’essere omosessuale?"
Franco Zeffirelli con l'amata cagnolina Blanche (ANSA)
"Gay è un
eufemismo di cattivo gusto", diceva. "Che c’è di gaio nell’essere omosessuale? Quanto al ‘pride’, non vedo la necessità di sottolinearlo con sciocca enfasi. Forse che gli eterosessuali sbandierano l’orgoglio di esserlo?".
Non gli piaceva l’ostentazione della propria omosessualità. "Quel modo di esibirsi non aiuta certo a sfatare i luoghi comuni che da sempre intrappolano gli omosessuali in tristi cliché". Insomma: il Gay pride era per lui un modo per proseguire con i luoghi comuni su boa di struzzo e paillettes. Tutto ciò che lui, omosessuale dall’eleganza British e dalla voce profonda, aborriva. "
L’omosessuale non è uno che sculetta e si trucca", diceva. E di questo era molto convinto. Per lui l’omosessualità si richiamava all’arte classica, alla Grecia, all’antica Roma. All’amore di Achille e Patroclo. E diceva spesso: "Sono omosessuale, non gay". Ed era, infine, fieramente
antiabortista.
Negava alle donne il diritto di decidere della propria gravidanza. Fino al paradosso: "Metterei la pena di morte per le
donne che abortiscono". E dunque? Reazionario? Moderno? Tradizionalista? Spregiudicato? Contraddittorio? Coraggioso? Provocatore? Bisbetico indomabile? "
Si apra il dibattito!", urlerebbe in mezzo alla Casa del popolo un personaggio di "Berlinguer ti voglio bene", il film con
Roberto Benigni. Un altro che, pur toscano come lui, a Zeffirelli non andava troppo a genio.