Era una ragazza poco più che ventenne quando ha cominciato ad accusare dolori seri, così seri da impedirle di condurre una vita normale. E mentre le sue amiche iniziavano ad affacciarsi al mondo del lavoro, uscivano la sera e frequentavano i ragazzi, per Laura era diventato difficile persino alzarsi dal letto, vestirsi da sola, camminare. Il suo brutto male che, nel tempo, è andato purtroppo peggiorando, si chiama fibromialgia, una patologia altamente invalidante, subdola e misteriosa, di cui poco si parla, che neanche è ufficialmente riconosciuta come tale e inserita entro i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Eppure, in Italia ne soffrono circa due milioni di persone. Nella sua pagina Facebook (Laura Fibromialgia) e sul suo profilo Instagram (winchester.laura) questa giovane donna di Ventimiglia, che oggi ha 32 anni, cerca risposte, offre occasioni di confronto e scambio di informazioni sulla patologia con altre persone che ne soffrono come lei; soprattutto, combatte perché i diritti dei fibromialgici vengano riconosciuti. Tanto che oggi, dalle pagine di Luce!, Laura lancia un appello rivolto alla premier Giorgia Meloni e al Ministero della Salute, per chiedere che anche la fibromialgia sia riconosciuta come patologia invalidante e annoverata tra le malattie per le quali sono previsti aiuti e una pensione di invalidità.
Laura, come ha scoperto di essere affetta da questa patologia? “Non è stato facile arrivare ad una diagnosi. Il mio percorso di indagini diagnostiche comincia diversi anni fa, ma posso dire di aver sempre sofferto di dolori ovunque nel mio corpo e di essermi sempre sentita debole. Tutti dicevano che si trattava solamente dei così detti 'dolori della crescita', dunque per anni nessun medico mi ha dato credito. Da adulta, ho iniziato a lavorare in un'impresa di pulizie, un lavoro duro quando si soffre di dolori di tipo reumatoide, ma al tempo non sapevo neanche di avere una malattia, per cui cercavo di condurre un'esistenza normale. Alla fine però ho iniziato a zoppicare, a sentirmi sempre peggio fino a non riuscire a lavorare. Mi sono licenziata e quando ho potuto riprendere a camminare ho cercato lavoro in un bar. Quella è stata la mia condanna: lo sforzo è stato grande, troppo grande per me. Una sera sono stata così male che il giorno dopo non potevo alzarmi dal letto, e per ben cinque mesi sono rimasta distesa”. Di che tipo di dolori stiamo parlando? Quali sono i sintomi della fibromialgia? “Si tratta di dolore muscolo scheletrico. Addosso, dappertutto, i muscoli bruciano, la pelle brucia, le ossa sembra che si spezzino. Spesso si infiamma anche la sciatica, il dolore si estende alla schiena e alla testa, fino ad avere anche la nausea. Il bacino e le gambe si bloccano. Quando avevo 27 anni la situazione era già diventata insostenibile, credevo di avere la Sclerosi multipla, non camminavo più, le gambe dovevo alzarmele con le mani per sollevarle. Mia madre doveva aiutarmi in tutto: vestirmi, lavarmi, alzarmi dal letto o dalla sedia. Spesso correvo in ospedale perché il dolore era troppo forte, mi bruciava dappertutto, sembrava che la pelle dovesse prendere fuoco e non sopportavo neppure il contatto con la stoffa dei vestiti. Per due lunghi anni ho fatto questa vita, correndo avanti e indietro in ospedale, cambiando medici ed opinioni, ma nessuno capiva cosa avessi. Ormai gli antidolorifici non bastavano più ed ero arrivata persino a prendere la morfina. Ogni giorno mi imbottivo di farmaci, anche inframuscolo, assumevo oppiacei e antidolorifici, che come controindicazioni davano dolore allo stomaco e nausea. Non mangiavo più, perdevo peso ed ero psicologicamente devastata. Ancora non sapevo neanche cosa fosse la fibromialgia perché nessuno dei medici aveva ponderato la possibilità che ne fossi affetta”.
Quando è riuscita ad avere finalmente una diagnosi? “Sentii parlare della bravura dei medici dell'Ospedale di Montecarlo. Convinta ancora che si trattasse di una patologia di pertinenza ortopedica, fissai una visita con l'ortopedico montecarlese che in appena mezz'ora diede un nome alla mia malattia. Poi mi spiegò che il suo ramo medico non era decisamente quello giusto a cui far riferimento. Avrei dovuto tornare in Italia e farmi prendere in carico da un reumatologo. Seguii il suo consiglio, una volta tornata a casa venni sottoposta al test di identificazione della fibromialgia, che consiste nella pressione di diciotto punti del corpo che, quando si è fibromialgici, se toccati ti fanno vedere le stelle. Il mio livello patologico era così alto che non sopportai neanche di essere sfiorata. Intanto ormai non riuscivo più a stare seduta. Quando dovevo recarmi a visita mi facevo accompagnare in ambulanza, distesa sul lettino. Durante il percorso diagnostico i medici indagarono se avessi anche altri problemi, come ernie ecc, ed effettivamente ne avevo. Il risultato fu che mi imbottirono di psicofarmaci e antidolorifici”. Con questo trattamento la sua condizione migliorò? “Per niente. Psicofarmaci e antidolorifici non risolvevo nulla. Anzi, per colpa delle medicine avevo lo stomaco spappolato, vomitavo tutto quello che mangiavo e bevevo. Ero arrivata a pesare 49 kg, rispetto ai 54 che ero stata prima”. Ma allora come è riuscita a migliorare la sua condizione? “Ho creato una pagina Facebook per cercare il contatto con altri fibromialgici come me, in modo da capire meglio di che tipo di patologia si stesse parlando. Oggi il mio gruppo conta 4.000 persone, grazie alle quali ho ottenuto dritte utili. Una mia cara amica, anche lei fibromialgica, mi ha indirizzata da medici che riconoscono il potere invalidante della fibromialgia (e già questo non è poco) e che, poco a poco, mi hanno permesso di tornare a camminare. A fare la differenza è stata la terapia del dolore a base di cannabinoidi, avviata all'Ospedale di San Remo. Inizialmente le dosi che dovevo assumere sotto forma di concentrato in gocce erano molto alte perché, contemporaneamente, dovevo poter diminuire la morfina, da cui ormai ero diventata dipendente. Ogni giorno mettevo le gocce di Cannabis su un pezzo di pane e lo ingerivo, tutto qui. Dopo tre mesi di terapia ho ricominciato a camminare appoggiandomi a due stampelle; dopo sei mesi mi appoggiavo su una stampella sola e dopo otto mesi riuscivo a camminare da sola, ma per un massimo di una o due ore al giorno. Piano piano, inoltre, sono riuscita anche ad eliminare la morfina”.
Adesso come si sente? “Ora riesco a camminare, ma in piedi reggo solo quattro ore, non di più. Il dolore è cambiato, nel senso che c'è ancora, a volte è più forte a volte meno, ma riesco comunque a gestirlo. Questo perché la Cannabis ha un effetto rilassante sia sui muscoli che sulla tensione nervosa. Una volta ammorbidito il muscolo, diminuiscono anche le contratture e il dolore”. Riesce a condurre una vita normale? “Purtroppo no. Potendo stare appena tre o quattro ore in piedi, non riesco a trovare un lavoro adatto a me. E nelle mie stesse condizioni ci sono tante altre persone, anche con figli piccoli, che non hanno le possibilità di gestire la propria vita e di occuparsi dei loro cari. Questa malattia è un mostro che compare dal niente, senza che neanche una persona se ne accorga. Ecco perché sui miei profili social mi batto per fare rumore, sollevare il caso, convincere lo Stato ad inserire anche la fibromialgia nei famosi LEA, di modo che ci vengano riconosciuti gli aiuti necessari. Invece la maggior parte della gente pensa che il dolore sia solo nella nostra testa, mentre noi intanto non siamo in grado di lavorare, mantenerci da soli, condurre una vita normale. Io per esempio non ho un compagno, e neanche lo cerco perché so che sarebbe difficile per me portare avanti una relazione. Inoltre ho paura che non capirebbe la mia situazione, come già è successo due anni fa con il compagno che avevo allora”. Ha detto che vuole lanciare un appello alla premier Giorgia Meloni... “Esatto. Voglio dirle che noi siamo invalidi veri, perciò abbiamo diritto di essere riconosciuti come tali. Abbiamo bisogno di un aiuto economico e di un lavoro adatto alle nostre esigenze. Chiedo che le Istituzioni si smuovano, che lo Stato smetta di considerarci normali, pretendendo che malati nelle nostre condizioni paghino normalmente le tasse senza avere neanche il modo di potersi guadagnare da vivere. Io sono malata, non ho lavoro, a trent'anni non so neanche che futuro potrò avere. Per favore, Signora Meloni, si metta nei miei panni, nei panni di mia madre che vede una figlia soffrire senza alcuna speranza di cura. Da madre a madre, sono sicura che neanche lei vorrebbe vedere sua figlia in condizioni simili. Come le ho scritto tante volte, venga a constatare con i suoi occhi la vita che fanno le persone come me e ci aiuti a far riconoscere questa malattia".