Iran, abolita la polizia morale. Resta l'obbligo del velo, mentre le proteste continuano

Ad annunciarlo il procuratore generale Mohammad Jafar Montazeri: "Non ha niente a che fare con la magistratura". Ma la sospensione potrebbe essere temporanea

di MARIANNA GRAZI
5 dicembre 2022
L'Iran abolisce la polizia morale ++

L'Iran abolisce la polizia morale ++

"La polizia morale non ha niente a che fare con la magistratura, ed è stata abolita da chi l'ha creata". A pronunciare queste parole è stato, nella giornata di sabato 3 dicembre, il procuratore generale iraniano Mohammad Jafar Montazeri, che dalla città santa di Qom ha annunciato la decisione delle autorità competenti di chiudere la sezione delle forze dell'ordine che, circa tre mesi fa, ha acceso il fuoco delle proteste in tutto il Paese, con l'uccisione di Mahsa Amini. A riferirlo è l'agenzia di stampa Isna.

Una donna iraniana a Teheran: le proteste contro il regime vedono protagoniste proprio le cittadine del Paese, costrette a condizioni di vita degradanti e a obblighi che violano i loro diritti umani

La morte di Mahsa Amini e la rivolta

Al momento, mentre nelle strade e nelle piazze della capitale Teheran continua la rivolta cittadina, non ci sono state conferme ufficiali da parte della polizia sul fatto che questi agenti siano stati tolti dal servizio nelle strade e, allo stesso tempo, non c'è alcun indizio che faccia pensare a una possibile modifica o cancellazione della legge che impone alle donne iraniane l'obbligo di indossare l'hijab. Proprio la presunta non osservanza del codice di abbigliamento obbligatorio aveva portato, a metà settembre, alla morte della donna di 22 anni, arrestata da un'unità della polizia morale di Teheran. Le autorità hanno sempre negato la loro responsabilità sul caso, dichiarando ufficialmente - come riporta anche la perizia di un medico legale - che la donna non sarebbe morta a causa delle percosse ricevute, ma per ipossia, ovvero per carenza di ossigeno che ha provocato danni cerebrali e il rapido deterioramento di altri organi. Una morte simbolo delle proteste che sono scoppiate già a partire dal funerale della giovane, con centinaia, migliaia di donne che hanno iniziato a gridare contro le assurde imposizioni del regime, togliendosi il velo, tagliandosi i capelli, scegliendo di rischiare la vita. Per averne una. Perché quella che il governo iraniano chiama vita per loro è solo un'esistenza fatta di obblighi, mancate libertà, doveri e pochissimi diritti.

I furgoni scomparsi dalle strade

Quando il 3 dicembre ha parlato a un evento pubblico, per "descrivere la guerra invisibile durante i recenti disordini", che è il modo in cui i funzionari iraniani descrivono la presunta influenza straniera nelle proteste, il procuratore generale Mohammad Jafar Montazeri avrebbe affermato, secondo i media locali, che "le operazioni della polizia morale sono finite". Questa "non ha alcun legame con la magistratura ed è stata chiusa dallo stesso ufficio da cui era stata attivata in passato", ha dichiarato il funzionario. Non ci sono state però altre conferme sul fatto che il lavoro delle unità di pattugliamento - con l'obiettivo di garantire la "sicurezza morale" nella società - sia stato interrotto. Gli agenti incaricati giravano su furgoni bianchi e verdi, per lo più intimando alle donne per strada di aggiustare il velo o portandole nei cosiddetti centri di "rieducazione" se ritenuto necessario (come successo ad esempio nel caso di Mahsa Amini); proprio la recente scomparsa di questi mezzi di trasporto da Teheran e altre città ha fatto insospettire i giornalisti, che hanno quindi chiesto spiegazioni al procuratore.

Il velo come questione ideologica

L'obbligo del velo per le donne iraniane è scattato poco dopo la rivoluzione del 1979

Le donne sono state protagoniste delle proteste iniziate dopo la morte di Amini, con il suo nome e le sue immagini che sono diventati il simbolo della rivoluzione all'interno e all'esterno del Paese. "Donna, vita, libertà" è diventato il grido di protesta dei manifestanti, mentre le cittadine iraniane bruciavano i loro hijab e le donne di tutto il mondo si tagliavano i capelli in segno di protesta e solidarietà. Indossare il velo, azione obbligatoria per le iraniane da poco dopo la rivoluzione islamica del 1979, è una questione ideologica centrale per le autorità della Repubblica Islamica, che hanno ripetutamente affermato di non voler fare marcia indietro. Tuttavia, recentemente hanno segnalato la possibilità di rivedere le modalità di applicazione delle regole sull'abbigliamento imposto, senza però specificare i dettagli. Il governo di Raisi, che dopo settimane di pressioni anche da parte dell'Unhcr - che ha aperto un'inchiesta indipendente sulla repressione - ha ammesso 200 vittime tra i civili - meno della metà di quelle effettive - ha anche accusato gli Stati Uniti, Israele, le potenze europee e l'Arabia Saudita di celarsi dietro i persistenti disordini, affermando che hanno usato la morte di Amini come "scusa" per colpire il Paese e le sue tradizioni. Alcuni funzionari locali hanno svelato che è stato imposto loro di far ricorso a metodi di sorveglianza che utilizzano l'intelligenza artificiale o le riprese delle telecamere, in modo da imporre sanzioni pecuniarie ai trasgressori o intervenire laddove si registrano gravi violazioni della legge.