Di storie di violenza, nel corso della sua carriera, Elisa Caponetti ne ha sentite molte. Psicoterapeuta romana di 53 anni, consulente tecnico d’ufficio e perito del tribunale, consulente tecnico di parte nei procedimenti civili, penali e minorili in Tribunale, Caponetti ha svolto diversi incarichi istituzionali e collaborato con la Polizia di Stato. Ma, soprattutto, ha ascoltato le storie delle persone, principalmente donne ma non solo, che sono state vittime di maltrattamento e ha deciso di raccoglierle in un libro dal titolo "Vittime di violenza. Storie di ordinaria quotidianità" (Albatros Edizioni), nel quale racconta in terza persona esperienze rimaste nell'anonimato, ma riporta anche testimonianze di quanti hanno voluto raccontarsi in prima persona, con coraggio e capacità di resilienza, nonostante l'esperienza traumatica subita. "Lo scopo di questo libro - commenta l'autrice - è principalmente quello di aiutare chi vive in una condizione di violenza ad uscirne, identificandosi con persone reali che ci sono concretamente riuscite. Questo perché spesso le donne, o comunque chi subisce violenza, tende a sdrammatizzare, a sottovalutare la propria condizione di rischio, a normalizzarla o addirittura ad incolparsi, attribuendosi la responsabilità di aver scatenato reazioni violente".
Nel corso della sua carriera, Elisa Caponetti si è impegnata nella tutela, nella cura e nella riabilitazione psichica dei minori vittime di maltrattamenti ed abusi, e da anni è ospite di importanti programmi su Tv e radio nazionali per diffondere la cultura della possibilità di rinascita da parte delle persone che hanno subito maltrattamenti, a partire dal riconoscimento dei segnali che possono identificare una relazione tossica, prossima a sfociare nella violenza. Non soltanto testimonianze, infatti: il libro di Caponetti offre anche strumenti concreti per riconoscere e combattere una relazione malata o distruttiva, e attinge ai contributi dell'Avvocatessa Maria Letizia Sassi e del Questore di Caltanissetta Emanuele Ricifari, che offrono al lettore notevoli spunti di riflessione per comprendere che cosa spinga tante donne e uomini a non denunciare la violenza subita e come si possa fare prevenzione in un ambito così complesso.
Dottoressa Caponetti, cosa dobbiamo aspettarci dal suo libro? "Tante cose, si tratta di un volume piccolo e facilmente leggibile, ma dai contenuti molto intensi. È il frutto di un'esperienza professionale trentennale. È un testo dedicato sia alle persone comuni che agli addetti ai lavori. Il libro vuole offrire non soltanto spunti di riflessione in chi, come me, svolge la propria attività in campo forense e criminologico, ma vuole avere anche l’ambizione di sperare di suscitare una qualche forma di consapevolezza in tutti coloro che si trovano a vivere una situazione di violenza e che hanno difficoltà a riconoscerla e chiedere aiuto. Ho cercato di mettere a frutto l'esperienza di lavoro come psicoterapeuta, ma anche come consulente tecnico e perito per il Tribunale, raccontando la mia assistenza ai casi di violenza sotto due ambiti di intervento diversi: quello clinico e quello giuridico. Come psicoterapeuta incontro principalmente donne che faticano a rimettersi in carreggiata e che chiedono aiuto per allontanarsi da relazioni tossiche e disfunzionali. Ma la condizione di vittima di violenza non riguarda solo la sfera femminile. Anche gli uomini si rivolgono a me, seppur in numero inferiore, e per questo ho voluto riportare nel libro anche una loro testimonianza".
La cronaca nazionale però parla quasi sempre di violenza sulle donne... "È vero, perché il numero dei casi di violenza perpetrata a donne è maggiore. Ma se in Italia il mondo della violenza sulle donne è ancora troppo sommerso, quello che riguarda la violenza sugli uomini lo è ancora di più. Non abbiamo numeri precisi di chi subisce maltrattamenti, perché gli uomini hanno ancora più timore ad andare a denunciare. Spesso pensano che facendolo possa venir meno la propria virilità oppure di non essere creduti. Ho avuto casi in cui un paziente non sapeva se farsi refertare morsi sul viso e o altri segni di violenza ritenuti imbarazzanti".
Dunque le sono capitati anche casi di violenza fisica su uomini perpetrata da donne... "In Italia il fenomeno è poco studiato e numericamente inferiore, ma esiste anche la violenza fisica sugli uomini, anche se solitamente le donne esercitano maggiormente una violenza di tipo psicologico. I partner maschili invece, generalmente, a differenza delle donne agiscono più una violenza di tipo fisico, fatto questo dovuto anche a una componente biologica che li vede maggiormente dotati di forza. Le violenze sugli uomini da parte delle donne avvengono sia durante la convivenza che dopo la fine della relazione. Tra le forme di vessazione più diffuse agite su mariti, compagni ed ex compagni ci sono lo stalking e le minacce. Nel libro ho raccontato la storia di Giuseppe Morgante, caso nazionale trattato anche dalla trasmissione "Le iene", ragazzo che è stato sfregiato con l'acido, ma non è l'unico cui sia accaduto".
Nel libro dunque incontriamo tutte storie vere? "Sì, tutte realmente accadute. Alcune narrate da me, altre dagli stessi protagonisti che le hanno vissute. Solitamente i media si concentrano sulle storie ad esito infausto – come nel caso dei femminicidi – o comunque drammatico, le storie che ho voluto raccontare sono invece testimonianze positive, di resilienza. Inoltre, volevo far capire alle persone che esistono tantissimi tipi di violenza, non solo quella fisica. C’è anche una violenza più sottile, subdola ed eccessiva, basata sulla gelosia, sul controllo psicologico o su quello economico. Ci possono essere tante sfaccettature e sfumature. È un fenomeno multifattoriale e trasversale, che interessa strati sociali diversi, senza alcun limite di età. Ha una dimensione mondiale".
Cosa intende per controllo economico? "Per esempio, all'inizio di una relazione, ci sono uomini che dicono alla propria partner “Smetti di lavorare, penso io a mantenerti”, di modo da generare una dipendenza economica tale da rendere più difficile per la donna interrompere il rapporto. Altre forme di controllo possono essere quelle volte ad isolare la partner o il partner dalla famiglia e dagli amici, oppure a sminuirla, insultarla e renderla insicura e fragile, criticarla continuamente, impedirle di avere contatti con altre persone, essere eccessivamente possessivi e gelosi. L’utilizzo di una qualsiasi forma di controllo, negli uomini che agiscono violenza, aumenta la propria sicurezza".
Non solo testimonianze da parte delle vittime di violenza: il suo libro vanta anche contributi importanti... "Esatto, a partire dalla prefazione di Gian Marco Chiocci, direttore di Adnkronos. In conclusione, ci sono anche le testimonianze di specialisti che operano sul campo, come il Questore di Caltanissetta Emanuele Ricifari, che fornisce una serie di indicazioni e strumenti messi in atto dalla polizia di stato per chi ha subito violenza. Perché per combattere la violenza occorre fare un lavoro di rete, come sottolinea nel suo intervento l'Avvocatessa Maria Letizia Sassi del Foro di Roma. Tra le storie di maltrattamento ci sono anche quella di Roberta Beta, giornalista e opinionista, e un’intervista a Filomena Lamberti. Insomma, come dicevo, il mio è un libro piccolo ma denso di contenuti e di spunti. Nella prima parte spiego il fenomeno della violenza da un punto di vista culturale, il ruolo giocato dalla Tv, dai mass media in generale e dalla musica, trattando i diversi volti della violenza che vanno dal più estremo, il femmicidio, alla dipendenza affettiva, e sottolineando che la violenza non deve essere considerata una questione di genere".
Ma se è vero che gli uomini sono dotati di maggiore forza, come è possibile che davanti a un maltrattamento fisico da parte della partner non reagiscano? "È innanzitutto importante comprendere la differenza tra maltrattamento e conflitto. Con il maltrattamento, all'interno della coppia si verifica uno squilibrio di potere in cui uno dei due partner subisce e l'altro infligge. La relazione risulta quindi manipolata dalla persona che cerca di distruggere l'altra. Nel conflitto, invece, ogni partner gioca un ruolo attivo ed entrambi possono arrivare ad esercitare violenza psicologica e fisica. Stiamo parlando per esempio di conflitti coniugali accesi, in cui c'è violenza reciproca. In questi casi ad essere aiutato deve essere l'intero nucleo familiare, compresi i figli che spesso assistono. Quello dei figli è un capitolo a parte, perché quando ci sono in ballo i bambini, le donne hanno sempre maggiori difficoltà ad uscire dalla spirale della violenza, per timore che gli possano essere sottratti. Spesso inoltre, purtroppo, chi subisce violenza è vittima di senso di colpa e di vergogna, le donne pensano di essere in qualche modo responsabili e di aver provocato l'uomo. Insomma, quello della violenza è un fenomeno molto complesso, così complesso che non è possibile individuare un unico profilo di persona maltrattante, proprio perché il maltrattamento è agito in situazioni e condizioni profondamente diverse tra loro. Uscire dalla violenza però si può e si deve".