Ha già all’attivo quattro Sanremo, l’Eurovision Song Contest di Torino dell’anno scorso e a maggio, con tutta probabilità, volerà a Liverpool per l’Eurofestival 2023. Un curriculum da far invidia a tante star della musica ma non stiamo parlando di un cantante. Zena Vanacore, 30 anni, napoletano, è infermiere oltre che interprete e performer Lis (Lingua dei segni italiana) che durante il 73esimo festival di Sanremo è diventato virale con la traduzione di “Made in Italy”, il brano dell’eccentrico (e contestato) Rosa Chemical, pseudonimo di Manuel Franco Rocati.
Zena è diventato protagonista del festival semplicemente facendo bene il suo lavoro: il suo modo di trasferire le canzoni nella lingua dei segni è unico e appassionante. Grazie alle movenze e a quel muoversi a ritmo di musica, con cui accompagna i segni, riesce a rendere coinvolgenti le canzoni anche a chi non può udirle. Uno stile che ha conquistato tutti, compresa Luciana Littizzetto che subito dopo la finale di Sanremo 2023 l’ha voluto ospite a “Che tempo che fa” su Raitre. Zena, come mai conosce la Lis? “Sono figlio di una Coda (Child of Deaf Adult), cioè sono figlio di figli di genitori sordi. Devo a mia madre la conoscenza della Lingua dei Segni Italiana che ho acquisito per esposizione diretta. L’ho imparata in casa, così come i figli di genitori bilingue imparano la seconda lingua. La mia infanzia l’ho trascorsa al fianco di mia madre, ho frequentato fin da bambino l’Ens, la comunità sorda. E’ stata lei a insegnarmi la dattilologia. Poi crescendo ho deciso di frequentare dei corsi Lis fino a diventare interprete con tanto di certificazione riconosciuta dalla Regione Campania. E oggi faccio anche parte dell’Anios, l’Associazione interpreti di lingua dei segni italiana”. Si divide tra interprete Lis e infermiere: come concilia i due ambiti? “Bene, perché i due ruoli si incrociano. Mi sono laureato in Infermieristica all’Università Federico II di Napoli con una tesi sperimentale dal titolo: ‘Approccio infermieristico al paziente sordo, stato dell’arte, problematiche, limiti e possibili soluzioni’. La tesi è nata dall’esigenza di mettere a frutto una particolare esperienza personale, umana, linguistica, culturale ed emotiva. Nel contesto ospedaliero, oltre a comunicare con i pazienti, grazie alla mia conoscenza della Lis mi sono occupato di formazione rivolta ai professionisti sanitari circa l’approccio alla persona sorda e ho collaborato al progetto “Lis/Braille” dell’Ordine professioni sanitarie, traducendo testi in ambito sanitario”.
Il 19 maggio 2021 la Repubblica Italiana ha deciso di riconoscere, promuovere e tutelare la Lingua dei Segni Italiana. A che punto siamo nel processo di piena inclusione delle persone sorde e dell’abbattimento delle barriere della comunicazione? “Tanto è stato fatto, tanto c’è ancora da fare. In primis abbattere i pregiudizi: nell’immaginario collettivo, per esempio, si pensa sia corretto il termine ‘non udente’. Invece è sbagliato, perché sottolinea un’incapacità. Il termine giusto è ‘sordo’”. Quanto è importante conoscere e divulgare la Lis? “Tanto. La Lis è una vera e propria lingua e come tale impararla apre nuovi mondi e opportunità, oltre che rappresentare una minoranza linguistica, ovvero la comunità dei sordi che include anche gli udenti, come figli e parenti di persone sorde. E, come la lingua italiana, si compone di dialetti, ovvero piccole variazioni diatopiche regionali”. https://twitter.com/i/status/1226093821567610880 Come è arrivato sul prestigioso palco dell'Ariston di Sanremo? “L'edizione appena conclusa è il mio quarto festival. Nel 2020, per la prima volta, il festival è stato tradotto nella lingua dei segni. In quell’occasione feci un casting e fui selezionato. Da allora ogni anno sono stato richiamato per tradurre la kermesse”. Ricordi e curiosità sanremesi? “Nel 2020 ho tradotto Achille Lauro con ‘Me ne frego’, avevo un originale costume di scena con piume scure e mi ricordo durante il ritornello improvvisai una ‘slinguazzata’ con la collega Gloria Antognozzi (quest’anno l’abbiamo vista per la traduzione di “Furore” di Paola e Chiara, ndr). Quell’anno, poi, mi sono ritrovato a tradurre in diretta la scena, diventata famosissima, in cui Morgan è sul palco da solo e si chiede dove è Bugo. E’ stato un attimo, ho dovuto improvvisare perché non sapevo cosa stesse accadendo. Belle soddisfazioni me le ha date anche Aiello nel 2021 con ‘Ora’: tradurre il verso ‘Sesso ibuprofene’ mi ha fatto finire sulle pagine di ‘TrashItaliano’. Mi sono divertito anche l’anno scorso quando ho tradotto Rkomi con ‘Insuperabile’. Ma dietro a ogni Sanremo ci sono ore e ore di prove, un lavoro enorme. Quest’anno eravamo 14 persone tra performer udenti e persone sorde”. Tra gli altri palchi importanti, anche l’Eurovision Song Contest 2022? “Sì, e in quel caso il lavoro è stato ancora più impegnativo perché abbiamo tradotto tutte le canzoni prima in italiano e poi in Lis. Ed era la prima volta di un Eurovision completamente accessibile. Sia a Torino sia in precedenza a Sanremo ho avuto l’onore di tradurre ‘Brividi’, la canzone di Mahmood & Blanco insieme al collega Nicola Noro”. Prossimi impegni? “Ci sono diverse cose in ballo ma ancora non posso anticiparle. Una cosa è certa: spero di tornare in tv il prima possibile, significherebbe che sempre più programmi sono diventati accessibili. La mia speranza è che anche i programmi più culturali aprano alla Lis, perché come sosteneva il grande Piero Angela, la cultura ci può salvare”.
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