Prima, il giorno del giuramento, è stato il
tacco 12 che, ovviamente, non andava bene.
Per la sinistra e per le femministe era troppo il tacco, era troppo il top nero, con sopra il decolleté, era troppo tutto. Il giorno dell’insediamento, il look è cambiato ma di poco: prima un paio di comodi mocassini, utili a passare in rassegna le truppe schierate nel cortile di palazzo Chigi, poi di nuovo i tacchi, per la cerimonia della campanella, il passaggio di consegne con Draghi, per la precisione sempre un paio di decolleté nere.
Cambio di scarpe, a sua volta, assai
criticato.
Altra critica estetica: il cambio dei colori
Altra critica, che arriva sempre da
sinistra e sempre da donne. Sono scomparsi – lo notava pure il settimanale Vanity Fair - i colori pastello e le mille e una indefinibili nuance color del mare di gonnelloni plissettati e top morbidi, via i sandali che ci potresti andare in spiaggia, via le giacche senza forma ma con tante tasche, così pratiche e rassicuranti, della campagna elettorale. I
primi look da premier di Giorgia Meloni sono stati definiti "
di foggia maschile" (un tempo, neanche tanto lontano si diceva così, oggi sembra archeologia del costume e della moda), caricando implicitamente questa definizione di ideologia. Il look, inteso come fotocopia dell'immagine del potere così come lo abbiamo conosciuto finora è l’uno/due di picconate anti-battaglie femministe?
Giorgia Meloni durante la seduta alla Camera per il voto di fiducia al governo (Ansa)
Quello che sembra, piuttosto, è che Giorgia Meloni abbia voluto, semplicemente, anche con le sue giacche nuove e con i suoi pantaloni, non dare adito a nessuna
critica pretestuosa, annullando qualsiasi appiglio di cicaleccio per lasciare che tutta l’attenzione si focalizzasse su quanto avesse da dire e si apprestava a fare. Saggiamente. "E se parliamo dei suoi vestiti - di quelli di Mario Draghi non l'avremmo fatto - è perché, purtroppo, per
una donna di potere è ancora oggi
più difficile che per un uomo conquistare l'attenzione e il rispetto, senza che la prima si impigli su dettagli ininfluenti come la lunghezza dell'orlo di una gonna e il secondo, conseguentemente, affievolisca" nota Vanity. Giorgia Meloni, ora, vuole che a parlare per lei sia unicamente
il suo operato da Primo Ministro. E affida proprio a un completo scuro questo suo statement. Un corto circuito molto interessante.
Si scrive “Il” o “La” presidente del Consiglio?
L’altra – severissima – critica è
grammaticale. La lancia soprattutto la ex presidente della Camera,
Laura Boldrini, ma anche molte altre donne, soprattutto le femministe più radicali. La pietra dello scandalo sta tutta nel fatto che, nelle prime comunicazioni ufficiali del nuovo governo, Giorgia Meloni è citata – perché ha impartito ordine di fare così – come
il presidente del Consiglio, e non la presidente del Consiglio, cosa che è stata interpretata come una sua preferenza per essere definita al maschile in riferimento al suo nuovo incarico. Non è una grossa sorpresa, in realtà, sia perché Meloni usava già l’articolo maschile nel definirsi presidente del suo partito, Fratelli d’Italia, sia perché questo tipo di scelta è spesso comune tra le donne di orientamento di destra. Era rivendicata, ad esempio, da
Maria Elisabetta Alberti Casellati (FI), ex presidente del Senato e prima donna a ricoprire questo ruolo. E, in modo ancora più evidente, il maschile è notoriamente preferito dalla direttrice d’orchestra
Beatrice Venezi, peraltro figlia di un membro di Forza Nuova (organizzazione neo-fascista della estrema destra radicale) che ha più volte detto di voler essere definita "direttore d’orchestra". Al contrario, proprio l’ex presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, chiedeva di essere definita con l’articolo "la". Vero è che, dal punto di vista grammaticale, quella di Boldrini
è la preferenza corretta, per quanto per anni (e per alcuni tuttora) l’utilizzo dell’articolo femminile associato alla parola "presidente" possa essere suonato strano causa la
scarsità di donne presidenti di qualcosa e in particolare di importanti organi dello Stato. Per questa stranezza, negli anni Ottanta, ai tempi di Nilde Iotti, prima donna presidente della Camera, e anche successivamente, era consuetudine dire "il presidente".
I pareri degli accademici (Crusca e Treccani) e il conservatorismo linguistico
Giorgia Meloni alla Camera dei Deputati. Prima donna alla guida del governo italiano, ha chiesto di essere chiamata "il presidente"
L’agenzia di stampa AdnKronos ha chiesto un parere sulla scelta di Meloni ad alcuni
linguisti.
Claudio Marazzini,
presidente dell’Accademia della Crusca, ha detto che chi usa i titoli al femminile «accetta un processo storico ormai ben avviato» osservando che chi preferisce i maschili, come Meloni, Casellati e Venezi, "ha comunque
diritto di farlo" per mettere in luce "il valore ideologico delle opzioni linguistiche sul genere: le proprie e indirettamente anche quelle avverse)". Non si tratta insomma di una semplice questione grammaticale, c’entrano anche "
determinate posizioni ideologiche". Appunto. Generalmente, le donne di
orientamento politico progressista e femminista danno
importanza all’uso dei femminili delle professioni e degli incarichi non solo per la sua correttezza formale, ma per dare importanza alla rappresentanza delle donne nella società. Le
donne di destra preferiscono, invece, tendenzialmente, il
conservatorismo anche nell’uso della lingua, o rivendicano il maschile per prendere le distanze dalle prese di posizione di orientamento diverso dal loro. Invece, in ambiti non politici, molte donne preferiscono definirsi "avvocato" o "architetto" e via dicendo perché percepiscono che ai femminili sia associato ancora un tono derisorio, o perché pensano che usandoli venga ribadita una assenza di differenze tra loro e i colleghi maschi. Sempre Marazzini precisa che la formula "il presidente" per parlare di una donna non è "a-grammaticale o anti-grammaticale", ma "semplicemente di un
uso tradizionale", "ben radicato nel passato della lingua". Il presidente della Crusca dice che bisogna "abituarsi a non avere paura di queste oscillazioni linguistiche" perché "la lingua non è un mai un monolite".
Valeria Della Valle, condirettrice del
Dizionario della Lingua Italiana Treccani, sottolinea, invece, che la "risposta linguistica" è che Meloni debba essere chiamata "la presidente", ma ha anche detto che "
mai una persona che fa il mio mestiere direbbe che va
imposto un uso al posto di un altro". Né l’Accademia della Crusca, né l’Istituto Treccani, e nessun ente statale italiano, possono ovviamente imporre scelte di uso della lingua, né a chi svolge incarichi pubblici, né a nessun altro parlante. "In Italia, durante il fascismo, c’è stata una politica linguistica", ha ricordato Della Valle, "ora, invece, non siamo nel fascismo: se queste persone amano essere declinate al maschile è una loro scelta personale e ideologica che non corrisponde all’uso grammaticale".
La nota dell’Usigrai, l’amaca di Michele Serra
Sui giornali si è comunque molto discusso di una
nota dell’Usigrai, il sindacato dei giornalisti della RAI, che ha
contestato il fatto che le direzioni dei tg "stanno chiedendo alle colleghe e ai colleghi di usare il maschile per indicare il nuovo incarico di Giorgia Meloni perché è lei a chiederlo". Il sindacato ha ricordato che "la
policy di genere aziendale, recentemente approvata dal consiglio di amministrazione della Rai indica di
usare il femminile lì dove esista". L’Usigrai non ha, però, cercato di obbligare i giornalisti della Rai-tv a usare l’articolo femminile, cosa che del resto non ha il potere di fare, ha solo detto che, sulla base delle regole attuali dell’azienda non si potrebbero obbligare i giornalisti a usare il maschile, osservando che sono "tenuti a declinare al femminile i nomi". Nell’
ambito giornalistico la questione è un po’ diversa rispetto al contesto generale di chi parla italiano, perché - come avviene per tanti altri aspetti variabili della lingua - una testata potrebbe chiedere ai propri redattori e collaboratori di
seguire una linea editoriale omogenea, che può essere o no adeguata a un orientamento politico. Su questo tema si è espresso, tra gli altri, il giornalista Michele Serra nella sua rubrica su Repubblica: "Avendo scritto spesso contro le costrizioni lessicali e grammaticali 'di sinistra' mi sento a buon diritto autorizzato a dire malissimo di quelle 'di destra'.
Ognuno chiami Giorgia Meloni come considera giusto, il presidente o la presidente. Io non ho dubbi, è la presidente del Consiglio, ma mi auguro che nessuno si prenda la briga di dare direttive nel merito".
Il discorso della Meloni e il suo vocabolario
Giorgia Meloni durante il discorso programmatico alla Camera
E arriviamo al
discorso programmatico di Giorgia Meloni sulla fiducia, nell’aula della Camera. La
A di aborto, la
B di Bibbiano ("mai più"), la
C di cristallo (il famoso tetto, ormai infranto), fino alla
U di "underdog", lo sfavorito nel linguaggio dei bookmaker inglesi, che alla fine, però, sovverte tutti i pronostici. È il
vocabolario Meloni, nel primo discorso da premier. Nell'aula della Camera, la leader di FdI parla veloce ("così finiamo alle tre" dice a Salvini dopo l'ennesimo applauso che parte dai banchi della sua destra…) e beve un bicchiere d'acqua dietro l'altro ("sto a morì", la intercettano i microfoni di Montecitorio).
Il mix di ben 16 donne citate solo per nome
Non può che cominciare dal tetto, Meloni: "Tra i tanti
pesi che sento gravare oggi, c'è quello di essere
la prima donna a guidare questa nazione". Ringrazia dunque chi ha "costruito, con le assi del proprio esempio, la scala" che l'ha portata a Palazzo Chigi.
Cita 16 donne, solo per nome. Un mix variegato e bipartisan:
Cristina (Trivulzio di Belgioioso, patriota del Risorgimento),
Rosalie (
Montmasson, una dei Mille),
Alfonsina (
Strada, ciclista)
Maria (
Montessori) e
Grazia (
Deledda). E ancora
Tina (
Anselmi),
Nilde (
Iotti),
Rita (Levi Montalcini),
Oriana (
Fallaci),
Ilaria (
Alpi),
Mariagrazia (
Cutuli),
Fabiola (
Giannotti),
Marta (Cartabia),
Elisabetta (Casellati),
Samantha (Cristoforetti),
Chiara (
Corbella Petrillo). Ringrazia "per i consigli" il presidente
Sergio Mattarella. E ringrazia il suo predecessore,
Mario Draghi, per il passaggio di consegne "veloce e sereno": "Si è molto ricamato su questo aspetto, ma così dovrebbe essere sempre e così è nelle grandi democrazie".
Meloni nel discorso cita 16 grandi donne, da Cristina Trivulzio di Belgioioso a Samantha Cristoforetti
I temi: sovranità, materie sensibili, il fascismo
Batte tre volte sul tasto della "
sovranità". Quella
del popolo che le ha affidato il mandato di governare, a differenza dei "governi deboli", dice la premier, che l'hanno preceduta. Ma anche la sovranità "
tecnologica" da conquistare e quella, ormai famosa, "
alimentare", come da dicastero appena coniato. "E non significa che vogliamo mettere fuori commercio l'ananas, ma che non dipenderemo da nazioni distanti da noi per dare da mangiare ai nostri figli". Tocca temi che sa essere sensibili. La
famiglia, "nucleo primario della nostra società". "Mai più casi Bibbiano", scandisce, con tono da comizio. Sui
diritti promette: "Un governo di centrodestra non limiterà mai la libertà. Anche su
diritti civili e
aborto vedremo chi mentiva sulle nostre reali intenzioni in campagna elettorale". Passaggio sul
fascismo: "Combatteremo qualsiasi forma di
razzismo e antisemitismo. Non ho mai provato simpatia per alcun regime, fascismo compreso. Le leggi razziali del 1938 furono il punto più basso della storia italiana, una vergogna che segnerà il nostro popolo per sempre". Condanna però anche "l'antifascismo militante" nel cui nome "ragazzi innocenti venivano uccisi a colpi di chiave inglese". Non ha cambiato idea sull'
immigrazione: "In Italia non si entra illegalmente. Si entra legalmente con i decreti flussi". Evoca il blocco navale, ingentilito col rimando alla "missione Sophia" dell'Unione europea. Promette un
Piano Mattei per l'Africa e qui è il primo premier a citare Enrico Mattei, potente presidente dell’Eni, scomparso in un incidente aereo e in circostanze mai chiarite. L'
Europa, nelle parole della neo-premier, è quella delle radici "giudaico cristiane" (con citazione del patrono d’Europa, San Benedetto).
L’Europa, le istituzioni Ue, la Nato, il PNRR
Stoccata alla
ministra francese Boone: "Negli ultimi giorni, anche fuori dai confini nazionali, c'è chi ha detto di
voler vigilare sul nostro governo. Possono spendere meglio il loro tempo. Chi lo dice non manca di rispetto a me, ma al popolo italiano".
Ringrazia, come da prassi istituzionale,
i vertici comunitari, da Von Der Leyen a Michel a Metsola, al "mio amico Petr Fiala, presidente (ceco,
ndr) di turno". Ma non lesina
critiche a Bruxelles: "L'Italia farà sentire forte la sua voce, senza subalternità. Non concepiamo l'Unione europea come un circolo elitario con soci di serie A e serie B. Questo governo rispetterà le regole in vigore e fornirà il suo contributo su quelle che non funzionano, come il patto di stabilità". Assicura che rispetterà gli impegni
Nato: "L'alleanza atlantica garantisce un quadro di pace e sicurezza che troppo spesso diamo per scontato". E dunque "
sostegno al popolo ucraino che si oppone all'aggressione russa. Non bisogna cedere al ricatto di Putin sull'energia". Promette
interventi sul gas: "I nostri mari possiedono giacimenti che abbiamo il dovere di sfruttare a pieno". Parla del
PNRR come di "un'opportunità straordinaria per ammodernare l'Italia" (con un grazie a Giulio Tremonti, per essere stato fra i primi a parlare di debito comune europeo).
“Nave in gran tempesta” e l’Amerigo Vespucci
Mette in risalto le
difficoltà economiche, i numeri complessi di oggi, che potranno essere un alibi domani: la "recessione prevista dal Fondo monetario internazionale". Parla dell'Italia come di una "imbarcazione in tempesta", che retoricamente diventa "la nave più bella del mondo, come
l'Amerigo Vespucci", anche se la citazione sottesa è quella di Dante nella "Divina commedia" (“
nave sanza nocchiero in gran tempesta”).
Per Meloni "l'Italia è un'imbarcazione in tempesta" e cita l'Amerigo Vespucci, "la nave più bella al mondo"
La riforma costituzionale e l’autonomia
La riforma della Costituzione si farà. Col contributo dell'opposizione, ma anche senza: "Contro l'instabilità politica serve una riforma costituzionale
in senso presidenziale, modello francese. E non rinunceremo a riformare l'Italia se ci troveremo davanti opposizioni pregiudiziali". Concede alla Lega un passaggio sull'autonomia differenziata, "modello virtuoso", ma insiste anche sulla riforma dei poteri per
Roma Capitale, cara a FdI, e la
questione meridionale. Strizza l'occhio alle
imprese. Il motto del nuovo governo, dice, sarà "non disturbare chi vuole fare". Quindi "meno regole, ma più chiare per tutti". Propone un
patto fiscale, la riduzione del cuneo. Cita brevemente la
flat tax (la chiama in italiano: tassa piatta), molto limitata rispetto ai sogni forza-leghisti: si partirà da quella per le partite Iva. Promette una "tregua fiscale" e la lotta contro i "grandi evasori", misure contro il caro bollette. E di intervenire sulle
pensioni, "una bomba sociale, specie per quelle delle generazioni più giovani che continuiamo a ignorare".
Le menzioni speciali sono per due Papi
Menzioni speciali per
due papi.
Giovanni Paolo II, con a tema la libertà, e
Papa Francesco, che ha appena condannato l'assistenzialismo come strumento per combattere la povertà. Il richiamo è al
reddito di cittadinanza. "Una sconfitta per chi è in grado di fare la propria parte". Il sostegno economico dello Stato rimarrà per chi non può lavorare. "Per gli altri la soluzione è il
lavoro". Nel passaggio sui
giovani, torna a parlare di
lotta alle "devianze", ma dall'elenco scompare l'obesità: restano alcolismo, criminalità, droga.
Niente "cannabis libera", naturalmente. Il passaggio sull'
ambiente è striminzito: "Difendiamo la natura con l'uomo dentro". Presagisce le proteste di piazza, soprattutto dei ragazzi. "Ma conoscendo l'impegno politico giovanile, difficilmente non proverò simpatia per chi manifesterà anche contro questo governo. Ricordo una frase di Steve Jobs: siate affamati e siate folli. Aggiungo: siate liberi", agli studenti.
La pandemia e le citazioni dei magistrati uccisi dalla mafia, Falcone e Borsellino
La premier, nel suo discorso programmatico, cita anche Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e il generale Dalla Chiesa
Sulla pandemia,
ammicca ai no-Pass. "L'Italia ha limitato fortemente le libertà personali. Non replicheremo in alcun caso quel modello. E occorrerà fare chiarezza su quanto avvenuto, affari milionari con la compravendita di mascherine e respiratori". La
standing ovation più convinta scatta per il
richiamo a Paolo Borsellino,
Giovanni Falcone e
Carlo Alberto Dalla Chiesa (una mostra in corso a Montecitorio vede protagonisti loro): "Affronteremo il cancro mafioso a testa alta".
La postura sulla difensiva dell’underdog
Ma, oltre ai proclami, colpisce
la postura sulla difensiva della premier. Critica i "potentati" che le remano contro e che "potremo scontentare, ma non ci tireremo indietro". "Non sarà una navigazione facile", dice all'inizio e alla fine del discorso, "anche per un pregiudizio politico. Sono
la prima donna incaricata come presidente del Consiglio nella storia d'Italia, provengo da un'area culturale che è stata spesso confinata ai margini della Repubblica, e non sono certo arrivata fin qui fra le braccia di un contesto familiare e di amicizie influenti. Rappresento ciò che gli inglesi chiamerebbero l'
underdog. Lo
sfavorito che per affermarsi deve stravolgere tutti i pronostici. Intendo farlo ancora" è la promessa.
La vera sberla: la prima donna premier…
Ma, riprendendo i ragionamenti iniziali, va detto che
la prima, vera, sberla per la sinistra è arrivata con una
sberla da destra, la stessa elezione di Meloni a
prima donna scelta per governare l’Italia non solo dalla nascita della Repubblica o da quella del Regno d’Italia, ma proprio dalla fondazione di Roma, si può dire… E visto che, dalle parti dei dem, si parla di costituente e di ritrovare una identità forte e rinnovata, sarebbe meglio cominciare a cercare le risposte giuste per superare i
troppi ritardi, liberando e proiettando di nuovo al futuro i neuroni costretti nel recinto umorale delle vecchie e superate correnti interne. Per quanto riguarda la presidente del Consiglio, ieri alla Camera e oggi al Senato per presentare il suo programma e ottenere la fiducia della maggioranza di governo in entrambe le Camere, a colpire non solo le
urgenze economiche (gas, bollette, occupazione), ma anche alcune
parole d’ordine di Meloni, vera bussola per l’azione di governo dei prossimi anni. Alcune di queste bussole, prima ancora che nel suo discorso, sono rintracciabili, per esteso nel
suo libro,
"Io sono Giorgia", la cui lettura è davvero istruttiva.
Un libro istruttivo e utile: "Io sono Giorgia"
Giorgia Meloni è la prima donna nella storia italiana a diventare presidente del Consiglio
Patria e non Paese, come piace a sinistra, che, come ha detto più volte Meloni "parla sempre di bene del Paese… sempre restia a utilizzare i termini ‘nazione’ o ‘patria’". "Vocabolario alla mano – scrive la Meloni nel suo libro – il significato di Paese è ‘insediamento umano’ quello del termine nazione è ‘gruppo di individui cosciente di una propria peculiarità e autonomia storica e culturale’. Quello di patria è ‘territorio abitato da un popolo e al quale ciascuno dei suoi componenti sente di appartenere per nascita, lingua, cultura, storia e tradizioni'".
Ambiente ed ecologia. Meloni rivendica anche su questi temi
il primato della destra e dei
conservatori, lo fa citando il pensatore conservatore inglese Scruton: "I conservatori fanno propria la visione della società di Burke, che la concepiva come un’alleanza fra i vivi, i non nati e i morti: credono nell’associazione civile fra i vicini, piuttosto che nell’intervento dello Stato e ammettono che la cosa più importante che un vivente può fare e di insediarsi, farsi una casa e passarla poi ai propri figli.
L’amore per la propria casa si addice alla causa ambientalista ed è sorprendente che molti partiti conservatori del mondo non si siano impossessati di questa causa". E, aggiunge Meloni, "Questo spiega perché non vi sia in Italia un movimento politico più coerentemente ecologista del nostro". Poi,
la Destra come leva: "Compito di chi ne assume la guida in un determinato momento storico è fare della destra la leva per sollevare un destino comune al di sopra delle angosce individuali, senza paura né soggezione […] Carica della mitezza, dell’umanità e della pietà che solo chi non perde il contatto con il mondo reale può custodire […] Valori che non possono appartenere a chi è convinto di essere nel giusto".
Difesa della famiglia e del matrimonio, Meloni non sfugge alla critica personale: "Parlo di famiglia fondata sul matrimonio e non sono sposata […] È vero, se lo facessi mi sposerei in Chiesa al cospetto di Dio. Ma questa è una scelta personale. Se decidi di farlo di fronte allo Stato sai che comunque questo premierà quell’impegno alla stabilità che ti stai prendendo. Puoi decidere di non farlo ed è quello che per ora ho fatto io, consapevole di perdere qualcosa. Ma il punto è che non pretendo che lo Stato riconosca a me gli stessi privilegi che riserva a chi quell’impegno lo ha messo per iscritto […] perché il problema è che viviamo in una società nella quale pare
non esistere più alcun nesso tra diritti e doveri. Ogni desiderio diventa un diritto, persino ogni capriccio, e di contro è sparito qualsiasi richiamo alla responsabilità. Io rivendico una società nella quale sia chiaro che a ogni scelta corrispondono delle conseguenze. Alla libertà serve responsabilità. Invece da noi l’egoismo si trasforma in programma politico". Sono solo alcuni dei temi cari alla premier, che sicuramente faranno capolino nella sua azione di governo a partire da oggi e che gli avversari politici farebbero bene a non sottovalutare.