Il caso di Antonio e la legge sul fine vita che non c'è: una condanna all'eterna sofferenza

Il 44enne marchigiano, tetraplegico, ha ricevuto il parere positivo al suicidio assistito, ma senza indicazione del farmaco. Si ripete la dolorosa impasse per chi chiede solo di smettere di soffrire

di ETTORE MARIA COLOMBO
13 luglio 2022
Eutanasia, il Consiglio dei Ministri olandese ha deciso di renderla possibile quando si tratti di bambini molto malati che hanno esaurito le opzioni di cura

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La protesta di Mario, bloccato nella volontà dall’Asur Marche: “Ha i requisiti, ma…”

Una legge che ancora non c’è, ferma al Senato, e una sentenza della Corte costituzionale che c’è. È il dramma nel dramma dei pazienti che, ridotti in condizioni terminali, chiedono (anzi, urlano) la richiesta di porre fine alle loro troppe sofferenze, attraverso il suicidio medicalmente assistito. La questione torna di attualità perché, dopo quasi due anni di attesa, l’attivazione delle giurisdizioni sia penali sia civili, gli ordini del Tribunale, le diffide e le azioni pubbliche, è arrivata la risposta dell’Azienda sanitaria delle Marche che conferma che “Antonio” possiede tutte le condizioni stabilite dalla Corte costituzionale per accedere alla procedura ai sensi della sentenza 249 del 2019 sul "caso Cappato/Antonini", meglio noto come dj Fabo. Per il 44enne marchigiano, tetraplegico dal 2014, assistito dall’Associazione Luca Coscioni, purtroppo si ripete quanto già accaduto a Federico Carboni (era conosciuto come “Mario”), quando il parere sulle modalità fu inviato tardivamente e solo a seguito di diffida, e a Fabio Ridolfi, che non ha mai ricevuto la relazione della Asl. In assenza di tale passaggio, oggetto specifico sia della sentenza costituzionale sia dell’ordinanza del Tribunale di Fermo che aveva riconosciuto il dovere dell’Azienda sanitaria di procedere, il percorso subisce sempre un doloroso, tragico, stop per chi vuole porre fine, legittimamente, alle proprie sofferenze. “Questa stessa impasse era stata il motivo per cui Fabio Ridolfi aveva rinunciato al percorso di suicidio assistito, decidendo di procedere come non avrebbe voluto, ovvero con la sospensione delle terapie previa sedazione profonda” dichiara Filomena Gallo, segretario della Coscioni. “La Commissione medica, in buona sostanza – questa la denuncia dell’associazione – avrebbe potuto fornire indicazioni sul farmaco e sulle modalità di autosomministrazione, anche alla luce del parere già reso per Federico Carboni, ma ha preferito che invece fosse Antonio a fornire tali elementi. Proprio al fine di snellire le procedure e di facilitare l’attività di verifica della Commissione medica dell’ASUR Marche, come collegio legale abbiamo inviato comunicazione all’ASUR allegando la relazione del dottor Mario Riccio che individuano il farmaco idoneo e le modalità di autosomministrazione più opportune per Antonio”. A ora, però, tutto inutile.
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Gli ostacoli di Stato e le diffide della Coscioni

L'ostruzionismo non è però solo sulla mancata indicazione del farmaco. La relazione della commissione medica è poi passata al comitato etico dell’ASUR Marche, chiamato proprio ai sensi della sentenza della Consulta, ad esprimersi sulla completezza delle verifiche effettuate. Quest'ultimo, pur preso atto che "Antonio" possiede le condizioni previste dalla sentenza Cappato-Antoniani, fornisce un parere negativo sulla base del fatto che pur sussistendo tutti i requisiti, incluso quello relativo alla scelta consapevole del malato, sia opportuno tentare di rafforzare l’assistenza e le cure palliative. Tale parere, che non è vincolante, non tiene conto della volontà del paziente, che ha chiaramente ribadito in sede di verifica delle condizioni, la sua volontà di procedere con la morte assistita. Il parere comunque, proprio per la sua natura non vincolante, non può ostacolare il diritto di Antonio di accedere al suicidio assistito. La Coscioni contro-ribatte con una proposta di legge regionale che, “nel pieno rispetto delle competenze delle regioni, prevede la piena applicazione della sentenza Cappato/dj Fabo, anche alla luce della comunicazione del Ministero della Salute che ribadisce l’obbligo del rispetto e dell’applicazione della sentenza della Consulta e comunica ai Presidenti di regione che la parte di assistenza al malato successiva alle relazioni e ai pareri deve essere a carico del servizio sanitario regionale o nazionale”.

L’urlo di Antonio: “Così andrò in Svizzera”

"Antonio" alla notizia dell’arrivo della documentazione ha dichiarato: "Questa attesa è molto lunga. È chiaro che ho i requisiti, ma manca la parte di parere sul farmaco che poi è uguale per tutti. Sembrano pretesti per prendere tempo contro la mia volontà che invece è ferma, mi propongono assistenza come se fossi un bambino da convincere, per quale motivo? Sono capace di autodeterminarmi, ho ben presente la mia realtà, non mi mancano assistenza, affetti, cura. Farò prima se vado in Svizzera, sto valutando di riaprire la pratica iniziata. Spero sinceramente però che arrivi presto il parere sulla procedura per prendere le mie decisioni. Quando Federico, il 16 giugno, ci ha lasciati avevo pensato che avrei potuto presto smettere di soffrire e invece sono qui ad attendere i comodi degli altri”.
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La sentenza della Consulta e la legge che non c’è

Certo è che servirebbe una legge, ma questa – pur approvata in prima lettura alla Camera dei Deputati a maggio scorso – è ferma da mesi al Senato causa l’ostruzionismo del centrodestra. In sostanza, il suicidio medicalmente assistito, in Italia, è lecito, dopo la sentenza della Consulta, ma manca la legge che ne fissi tutti i parametri. I “paletti” richiesti sono quattro: la richiesta deve essere di una persona che sia tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario previo parere comitato etico competente. Quello che manca, da decenni, è appunto la legge. Quella detta sul ‘fine vita’, che vuole evitare "l’omicidio del consenziente", e dunque qualsiasi pratica di eutanasia. Per Cappato e la Luca Coscioni “Basta la sentenza, e non serve una legge, che è una pessima legge”. Resta, però, il problema, politico, oltre che morale.

Cosa prevede, nello specifico, la proposta di legge Bazoli-Provenza approvata alla Camera

marco cappato

Per Marco Cappato la legge in discussione in Parlamento è "una pessima legge"

La proposta di legge sul "fine vita" (cosa ben diversa, come vedremo, dall’eutanasia) ha ricevuto il via libera della Camera con 253 voti a favore (tra cui quelli dei deputati di Forza Italia Renata Polverini, Elio Vito e Simone Baldelli), 117 contrari (tra cui i deputati di Iv Gabriele Toccafondi, Maria Teresa Baldini e Cosimo Ferri) e un astenuto su 371 presenti, il 10 marzo scorso. Vediamo nel dettaglio cosa prevede il testo: La proposta di legge rende non più punibile il fine vita se praticato autonomamente dal paziente. Si tratta del suicidio medicalmente assistito, pratica differente dall'eutanasia dove ad agire invece sono i medici. Il testo recepisce la sentenza del 2019 della Corte costituzionale che ha chiesto al Parlamento di colmare il vuoto normativo, dopo essersi pronunciata sul caso di Marco Cappato, processato e poi assolto per avere aiutato dj Fabo a morire. In otto articoli la legge sana il ritardo e l'incapacità della politica italiana di affrontare la questione. Lo dimostrano le vicende di Piergiorgio Welby, Eluana Englaro, oltre che di Dj Fabo, e infine la scelta di "Mario".

Chi può farne richiesta

Sono posti, però, una serie di paletti. Dai relatori, il dem Alfredo Bazoli e il grillino Nicola Provenza sono state accolte anche alcune richieste della destra, nella speranza di una condivisione che evitasse alla legge sul fine vita il naufragio toccato al ddl Zan. Può chiedere il suicidio assistito il paziente maggiorenne, in grado di intendere di volere, che sia stato già coinvolto in un percorso di cure palliative e le abbia rifiutate. Deve essere affetto da una patologia irreversibile e da prognosi infausta, che cagioni sofferenze fisiche e psicologiche assolutamente intollerabili. Inoltre - uno dei punti che peraltro i radicali contestano - il paziente deve essere tenuto in vita da trattamenti sanitari di sostegno vitale, la cui interruzione provocherebbe il decesso del paziente. Sempre per venire incontro alle obiezioni del centrodestra (e anche della Cei) è stata data la possibilità di obiezione di coscienza per i sanitari ed è stato previsto che le sofferenze del paziente siano "fisiche e psichiche" e non "fisiche o psichiche"; e ancora, il paziente deve essere tenuto in vita da trattamenti sanitari di sostegno vitale. La richiesta deve essere indirizzata dal medico di medicina generale o dal medico che ha in cura il paziente. Spetterà poi al comitato di valutazione clinica dare il via libera.

Obiezione di coscienza

I medici e in genere il personale sanitario possono sollevare l'obiezione di coscienza. Però gli ospedali pubblici sono tenuti in ogni caso ad assicurare che sia possibile esercitare il diritto al suicidio assistito. Spetta alle Regioni il controllo. Non c'è reato per il medico. È espressamente riconosciuta l'esclusione della punibilità per i medici e il personale sanitario, quindi gli articoli del codice penale 580 (Istigazione o aiuto al suicidio) e 593 (omissione di soccorso) non si applicano ai sanitari chiamati al suicidio assistito. Inoltre non è punibile chi sia stato condannato, anche con sentenza passata in giudicato, per aver agevolato in qualsiasi modo la morte volontaria di una persona prima dell'entrata in vigore della legge.

La differenza con l'eutanasia

Non si parla qui dell'articolo 579 del codice penale che riguarda l'omicidio del consenziente, l'eutanasia, su cui sono state raccolte un milione e 200 firme mila per un referendum abrogativo, promosso dalla Luca Coscioni e Radicali, referendum che, però, successivamente, è stato bocciato dalla Consulta.